giovedì 6 settembre 2012

Non ci sono scorciatoie


Una delle condizioni fondamentali per la produzione di merci è la divisione sociale del lavoro. Viceversa, non è indispensabile la produzione di merci per la divisione sociale del lavoro. Del resto, non ci si alza la mattina mettendosi a fare il chirurgo, il falegname, il sarto o il macellaio. Così come non è detto, però, che un individuo debba fare esclusivamente e continuativamente nel corso della sua vita il chirurgo o il macellaio (difatti a volte si assiste all’inversione di questi due ruoli).

Un’altra condizione indispensabile per produrre merci è che vi siano persone costrette a farlo, cioè dei poveracci che per sopravvivere devono vendere la propria forza-lavoro. Non è stato facile, per esempio, costringere i piccoli agricoltori a cedere i loro poderi e a rinunciare al pascolo comune, insomma a sottometterli al padrone, ai suoi sorveglianti e farli sgobbare in fabbrica come schiavi. Alla bisogna sopperì lo Stato e le sue leggi: con l’inganno, la frode e la violenza furono espropriati i piccoli contadini inglesi [*].

Gettati sul lastrico, nullatenenti, o entravano in fabbrica o diventavano mendicanti. Quando questi ultimi superarono un certo numero, il monarca non trovò di meglio che promulgare una legge che prevedeva per loro l’impiccagione immediata. Siccome i salari non erano sufficienti a mantenere le famiglie, anche le donne e i ragazzini dovettero farsi 14 ore di fabbrica. Nemmeno la prole degli antichi schiavi veniva in genere sottoposta a simili vessazioni, ci volle l’imprenditore compassionevole moderno.

Abbiamo quindi il problema di chi deve svolgere il lavoro, soprattutto determinate attività lavorative. I più arguti studiosi e premi Nobel propongono che il lavoro sia fatto fare alle macchine. Scrivono testualmente: «Ciò che proponiamo come un abbozzo per un nuovo modo di vivere si può riassumere nella frase: Lavorino le macchine, noi godiamoci la vita». Sanno di che parlano, perché loro se la spassano già, c’è chi produce per loro le macchine, le fa funzionare, le ripara e c’è chi serve a tavola, lava la biancheria e spazzola i loro vestiti mentre essi sono intenti a svelare al mondo simili cose.

Sembrerà strano, ma le macchine in genere non si riproducono da sole e per funzionare hanno bisogno dell’intervento umano. Pertanto, bisognerà stabilire, anche nel “nuovo modo di vivere”, soprattutto un nuovo modo di lavorare, quindi nuovi rapporti sociali di produzione, i quali se non liberano gli uomini dal bisogno, quindi dal dipendere da altri, non servono a mutare la situazione ma solo a simulare il cambiamento. Premessa fondamentale per liberare gli uomini dal bisogno e rendere il lavoro non più una costrizione ma una necessità della persona e del suo sviluppo, è quella che i mezzi materiali per la produzione della vita non siano in mano a dei padroni.

Pertanto i grandi mezzi di produzione devono essere socializzati, ma non basta per realizzare le condizioni della liberazione dal bisogno, è necessario che vi sia anche abbondanza e non miseria, penuria. Chiaro che abbondanza non significa spreco. E va inteso che lo spreco è, sotto questo aspetto, l’essenza del modo di produzione capitalistico, ma dubito che questo concetto peraltro così evidente nella sua realtà pratica riesca a far presa in certe teste troppo felici.

Resta poi da vedere tutta la problematica della ricomposizione tra lavoro intellettuale e lavoro manuale, di studio e lavoro, di ciascun individuo e di tutta la collettività, per tutto l’arco della vita. Quindi, non si tratta di recuperare dal medioevo i modelli di ricomposizione sociale come scrivono certi intelligentoni. Si tratta invece della riunificazione della mano col cervello e dell’individuo con la comunità, presupposto del passaggio dalla comunità illusoria alla comunità reale.

Si tratta di trasferire per quanto possibile alle macchine il lavoro come dicono i premi Nobel di cui sopra, ma nel quadro del superamento del modo di produzione capitalistico e come passaggio ad un nuovo stadio dell’evoluzione umana, al controllo cosciente delle forze della natura e della materia sociale, all’assunzione collettiva del lavoro creativo, di progettazione delle finalità e di direzione del processo di lavoro, attraverso una complessa battaglia che si snoda sui terreni della appropriazione delle conoscenze tecnico-scientifiche e del rovesciamento dell’esercizio effettivo dei poteri.

2 commenti:

  1. Un economista che scrive sul blog del Fatto Quotidiano , un certo Scacciavillani, "Chief Economist Fondo d'investimenti dell'Oman", dice che "la liberalizzazione dei movimenti di capitale nei primi anni 90" ha creato le condizioni della crescita e l'uscita dalla povertà di paesi come la Cina, crescita di cui stanno beneficiando adesso diversi paesi dell'Africa. Il propellente di tutto questo è stata la crescita demografica, alla faccia di Malthus.
    Insomma è tutto a posto, il PIL mondiale sarà eternamente in crescita, siamo tutti in una botte di ferro, nel mondo migliore possibile. Le idee del "barbuto" sono al più inutili orpelli del passato. Di cosa ci dobbiamo lamentare? :-)
    Saluti.
    Carlo.

    P.S.: a me pare che il fenomeno della crescita dei paesi in via di sviluppo sia una cosa già prevista in un certo modo da Marx, direi almeno già nel 1848 nel Manifesto, quindi questi geni di oggi fanno un pò ridere.
    Fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/09/06/ma-cos%E2%80%99e-questa-crisi/343955/

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    1. ciao Carlo. anche attilio regolo stava in una botte di ferro

      sì, è come dici, marx l'ha scritto cento volte

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