Gli impianti sono sottoutilizzati e le fabbriche chiudono, la disoccupazione e la precarietà aumentano, cala il potere d’acquisto dei salariati, eppure i padroni chiedono più produttività e maggiore “flessibilità” che tradotto significa solo e sempre aumento dello sfruttamento. Chiedono che si vada in pensione più tardi, anche le donne, cioè vogliono succhiare la vita ai salariati ad oltranza. Per produrre merci che non riescono a vendere (Fiat docet). Si tratta di una contraddizione evidente, ma i media non sono autorizzati a parlarne.
«La produttività del lavoro italiano arranca: negli ultimi 30 anni è cresciuta a una media annua dell'1,2% e già nell'ultimo decennio il suo valore è risultato negativo dello 0,5%. Ma nel periodo 2007-2009, pur in presenza di una sensibile caduta del monte ore lavorato, la produttività ha fatto registrare un vero e proprio crollo: -2,7 per cento in media d'anno». (Il Sole 24 Ore).
Si tratta del solito uso terroristico della statistica. Misurano la produttività del lavoro secondo parametri a cazzo di cane. La produttività del lavoro è data invece dal rapporto tra capitale variabile investito (salari) e plusvalore prodotto (profitto), detto anche saggio di sfruttamento. Il monte ore cala perché c’è meno manodopera impiegata. Nell’ultimo quindicennio i profitti sono aumentati del 75%. Solo che questi profitti non sono andati in investimenti produttivi (in un trentennio -38,7%), ma in parte notevole nel grande casinò della speculazione finanziaria.
Allora cosa serve lavorare di più? Perché una parte consistente del plusvalore sia presa direttamente e indirettamente dalle tasche dei lavoratori e trasferita dallo Stato alle banche com’è successo in Usa e in GB e altri posti? Il nuovo direttore del FMI ha proposto per le banche europee proprio questa cura. Del resto le banche non producono valore, la speculazione se lo spartisce. Oppure perdono parte della propria capitalizzazione azionaria alla roulette della Borsa. Le due maggiori banche italiane hanno perso negli ultimi mesi circa i tre quarti del prezzo delle loro azioni. La loro patrimonializzazione iscritta a libro si è ridotta di oltre l’80%. Una qualunque altra attività avrebbe chiuso i battenti. Invece le banche e i colossi industriali seguono le leggi di mercato solo quando fa loro comodo.
Ormai dovrebbe essere diventato chiaro che questo sistema economico non funziona, eppure si spera nella “ripresa”, sempre annunciata e sempre più lontana. Sottoposti come siamo a un bombardamento incessante da parte dei media, tale evidenza stenta ancora a diventare consapevolezza comune di una coscienza sociale che invece resta prigioniera della logica schizoide del sistema. I media sono il collante necessario di questo sistema, senza il flusso ossessivo della loro propaganda, senza la menzogna demente, lo sviamento e l’occultamento sistematico della realtà, il sistema sarebbe in grave pericolo. Ha quindi ragione Mc Luhan quando scrive che questo tipo di comunicazione è diventata “talmente penetrante nelle sue conseguenze personali, politiche, economiche, estetiche, psicologiche, morali, etiche e sociali, da non lasciare nessuna parte intatta, vergine, immutata”.
Anche la comunicazione alienata dei media è attività in gran parte economicamente fallimentare e se non fosse sostenuta dalla pubblicità che tutti noi paghiamo, volenti o nolenti, all’atto dell’acquisto di qualsiasi merce, chiuderebbe. Ecco un altro motivo “vitale”, un conflitto d’interessi palpitante, per tenere in piedi il teatrino capitalistico e con esso la nuova Babilonia.
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