«Il rigore colpisce gli statali, i lavoratori dipendenti con redditi fino a 50.000 euro lordi, i pensionati. Colpisce gli enti locali e le cooperative. Colpisce e colpirà il "welfare". Dunque un rigore socialmente partigiano in un'economia a crescita zero».
Cosa significa rigore socialmente partigiano? Un rigore che colpisce una sola parte sociale, e proprio quella che già dà tutto, col suo lavoro e il prelievo fiscale alla fonte, lasciando largamente indenne l’altra parte sociale, quella del capitale che vive di profitti e di rendita, di sfruttamento e speculazione. “Partigiano” ha, in tal caso, un significato preciso: "di classe", e ha per condizione la dittatura della classe borghese e del suo braccio armato, il governo (di qualsiasi colore).
Questo Eugenio Scalfari non potrà mai scriverlo esplicitamente, non rientra nel suo vocabolario, nei modi di dire della sua classe di appartenenza (e degli utili idioti che tengono bordone), quella degli sfruttatori e degli speculatori, gli stessi che confiscano la nostra vita e sviliscono i nostri sogni. La differenza tra lui e, per esempio un Sacconi, sta nella diversa tattica con la quale intendono affrontare il conflitto di classe e il fallimento del riformismo, ma non c’è diversità strategica. Tanto è vero che Scalfari approva le parole di Napolitano:
« […] la terapia suggerita dal presidente della Repubblica è quella di anticipare il pareggio del bilancio dal 2014 al 2013, con misure chiare ed efficaci senza preoccuparsi della loro maggiore o minore popolarità ».
Il punto di scontro, quindi, con il governo, è un altro, non il “rigore socialmente partigiano”, tanto è vero, per esempio, che Scalfari s’è detto esplicitamente contrario al contributo di solidarietà per chi dichiara tra i 7mila e i 13mila euro il mese:
«La manovra-schifezza per anticipare il pareggio del bilancio ha bisogno di […] 1 miliardo dalle rendite tassate al 20 per cento, un altro miliardo dal contributo dei redditi oltre i 90mila e i 150mila euro. […] Schifezza perché pagano solo i meno abbienti e i soliti noti. Insufficienza perché questa schifezza non basta».
Scalfari non poteva dirsi contrario al contributo per chi dichiara più di 150mila euro annui per il semplice motivo che già lo scrive Vittorio Feltri, anche se lui non ha mancato di sottolineare:
«È vero che la fascia di reddito tra i 90 e 150 mila euro lordi appartiene al nerbo del ceto medio e sarebbe pericoloso penalizzarla perché scoraggerebbe i suoi consumi e i suoi risparmi, ma per i redditi oltre i 150 mila questa preoccupazione è ingiustificata. Si tratta di chiedere un contributo per tre anni, deducibile dalle dichiarazioni di reddito [...]. Il prelievo (chi scrive lo sa per diretta esperienza) ammonterebbe a circa 20 mila euro complessivi per i tre anni».
Eh già, Scalfari lo sa per diretta esperienza, poiché tale contributo avrebbe colpito, se il provvedimento non fosse stato poi revocato, i redditi dichiarati, non invece, tanto per dire, i patrimoni immensi e i redditi da capitale in gioco nel casinò della speculazione finanziaria. Insomma, briciole con le quali l’alta borghesia avrebbe potuto fare, una tantum, la sua bella figura.
Il punto di scontro, dicevo, è un altro e riguarda la cosiddetta “crescita”. Ma non c’è crescita se non c’è consumo (non è fatta di solo export). Per il consumo ci vogliono i soldi e questi ci sono, e tanti, ma nelle mani sbagliate. Per far ritornare qualche briciola nelle mani giuste e favorire i consumi si dovrebbe (sia mai aumentare i salari e pensioni, per carità!) diminuire le trattenute in busta paga, cioè far pagare effettivamente qualcosa di più agli evasori (siamo sempre lì) ma questo non è possibile farlo realmente per il semplice motivo che l’evasione è il cemento di questo sistema e uno dei pilastri della rendita e del debito pubblico.
I giornali della borghesia hanno il compito di far passare la nostra servitù nel dovere morale della servitù e timbrare la garanzia del debito statale col nostro sangue.
O.T.
RispondiEliminaIlluminante, il commento di Franceschini, a proposito della morte di Martinazzoli:-FRANCESCHINI, SENZA DI LUI NO ULIVO E PD -
"Con Mino Martinazzoli se ne va un uomo che ha messo passione, competenza e cultura in ogni passo della sua vita professionale e politica. Se ne va anche un 'pezzo' decisivo e importante della storia politica italiana: Senza la sua scelta coraggiosa di traghettare i cattolici democratici dalla Dc nella nuova stagione politica degli anni 90, non sarebbero nati l'Ulivo e il Pd. Un'intera generazione gli è poi debitrice di indimenticabili momenti di entusiasmo e speranze. Alla sua famiglia le condoglianze di tutti i deputati del gruppo del Pd e mie personali, con affetto e dolore". Lo afferma Dario Franceschini, capogruppo del Pd alla Camera in un messaggio di cordoglio".
http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/politica/2011/09/04/visualizza_new.html_727956203.html