lunedì 19 settembre 2011

Deboli con i forti, spietati con i deboli



Scusate se non mi occupo assiduamente della prostituzione d’alto bordo, quella del “presidente” e quella bipartisan, ma sarebbe un po’ come ridurre la storia dell’impero romano alle stravaganze sessuali della classe dirigente d’allora. Veniamo ad un’altra Gomorra, quella che ha ispirato il libro di Saviano e nota anche per il successivo film.

Tutti i 97 (novantasette) imputati del film, pardon, dell’inchiesta Casssiopea, chiamata così forse perché come la costellazione circumpolare il traffico dei rifiuti tossici, sversati illegalmente dal Nord al Sud era sempre visibile, in movimento e senza nessuna intenzione di tramontare, sono stati liberati e i reati prescritti. Senza possibilità d’appello. Dopo nove anni. Dice il Gup Giovanni Caparco, che le prove non sono sufficienti.

Domanda chi avrà depositato un milione di tonnellate di rifiuti altamente velenosi ma declassificati attraverso la falsificazione dei risultati delle analisi, le coperture e le compiacenza che non sono mai gratuite? E pensare che ciò avviene dopo le sentenze del gip, dopo le diatribe tra avvocati, dopo che addirittura gli imputati si erano dichiarati colpevoli (autosuggestione, evidentemente).

«La prescrizione è il risultato dei meccanismi perversi della macchina della giustizia». Così dice il pubblico ministero Donato Ceglie. Il quale si consola così: «Vi assicuro però che quegli imputati hanno comunque conosciuto le patrie galere». E tanto basta. Ma se sono colpevoli, come adombra Ceglie, dovevano scontare la pena, non basta che abbiano conosciuto le patrie galere. Se invece non lo sono, allora la questione si complica ancor più.

C’è un dato di fatto, un filo nero che percorre la storia d’Italia fino ad oggi, ed è quello che riguarda il comportamento di larghissima parte della magistratura nelle più turpi ed oscure vicende, confermando un’evidenza palmare, la sua consustanzialità nella gestione del fallimento, il suo asservimento alla canaglia politica ed economica. Nella loro cittadella conclusa non conta il merito e l'intelligenza, basta il senso di appartenenza e dell'opportunismo. E non mi si vengano a elencare i soliti Falcone, Borsellino, Livatino, ecc.. Il loro isolamento e la loro eliminazione fisica è anzi proprio la conferma di questo stato di cose.

Come diceva quel magistrato di Palermo scrivendo sul Corriere (pagina degli spettacoli!)? Ah, ecco:

«Centinaia di processi che costringono a rileggere la storia della mafia non più come una storia altra, che non ci appartiene e non ci chiama in causa, ma piuttosto come un terribile e irrisolto affare di famiglia, interno a una classe dirigente nazionale tra le più premoderne, violente e predatrici della storia occidentale, la cui criminalità si è estrinsecata nel corso dei secoli in tre forme: lo stragismo e l’omicidio politico, la corruzione sistemica e la mafia. Tre forme criminali che essendo espressione del potere sono accomunate non a caso da un unico comun denominatore, che è il crisma stesso del potere: l’eterna impunità garantita ai mandanti eccellenti di stragi e omicidi politici e ai principali protagonisti delle vicende corruttive».

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