venerdì 27 marzo 2020

Per il dopo, basta bugie



Dopo che questa buriana sarà passata, noi che ne siamo stati nostro malgrado i diretti protagonisti e in non pochi casi vittime, non potremo farci raccontare comode bugie, che già si comincia a diffondere.

Prima tra tutte quella che vuole l’epidemia virale sopraggiunta inaspettata e con effetti non prevedibili. Da settimane si sapeva in dettaglio ciò che stava succedendo in Cina e quali draconiane misure di contenimento erano state adottate (s’irrideva e catalogava come tipiche di un paese totalitario). In Italia la SARS-Cov-2 è stata diagnosticata il 29 gennaio, due giorni dopo il governo dichiarava lo stato d’emergenza, ma non seguivano provvedimenti concreti. Anzi, si rilasciavano interviste dove si sosteneva di essere ben pronti all’evenienza.

Si sapeva o si sarebbe dovuto sapere che questo nuovo virus, al contrario nel suo omologo precedente, in Cina era risultato contagioso solo al manifestarsi dei sintomi specifici, e  dunque dopo parecchi giorni dall’incubazione. Pertanto gli infetti asintomatici o non ancora conclamati, già presenti nel nostro territorio nazionale, avrebbero senz’altro potuto trasmettere in lungo e in largo il contagio, cosa puntualmente avvenuta stante l’assenza di immediate misure prudenziali di contenimento.

Anche dopo che importanti focolai furono individuati e delimitati in Lombardia e nel Veneto, si è continuato a dire e a fare come nulla, ossia come se il contagio fosse circoscritto solo alle “zone rosse” e scongiurato nel resto del paese. Anzi, vi furono inviti espliciti a continuare le nostre vite come prima.

Il 19 febbraio, mezzi di trasporto pubblici strapieni portavano 45.000 tifosi italiani e ispanici a San Siro per la partita Atalanta-Valencia. Un’occasione straordinaria che meglio non si poteva concepire e organizzare per diffondere il contagio.

Ancora alla fine di quel mese, il prof. Rezza dell’Iss dichiarava: “Il virus in circolo 1-2 settimane prima del caso indice. Focolai abbastanza circoscritti”. Mai quell’“abbastanza” fu più frettoloso e approssimativo.

Secondo fonti giornalistiche, una nota riservata dell’Istituto Superiore di Sanità  evidenziava, già lo scorso 2 marzo, “l’incidenza di contagi da Covid-19 nei comuni bergamaschi di Alzano Lombardo e Nembro, e anche in quello bresciano di Orzinuovi, raccomandandone l’isolamento immediato e la chiusura, con la creazione di una zona rossa come quella di Codogno”. Ciò tuttavia non è avvenuto e quell’area è il focolaio principale che ha fatto diventare Bergamo e Brescia i lazzaretti d’Italia.

A Milano, ancora per settimane, i mezzi pubblici hanno trasportato stipati i lavoratori verso i luoghi di lavoro, tanto che un operaio ebbe a scrivere al presidente del consiglio Conte: “Buongiorno presidente, sono un sardo residente nella bergamasca e dopo il decreto sulla chiusura totale, che in realtà non ha chiuso niente, mi sono sentito come un figlio che viene pugnalato alle spalle. Io lavoro nel settore della gomma plastica, ma non facciamo beni primari, bensì giocattolini”.

Si sono creati, con una comunicazione tardiva e incerta, i presupposti per scatenare il panico e l’isteria, con fughe in massa dalle città del nord verso il centro-sud. S’è dovuto attendere sabato 21 marzo perché con un decreto ministeriale si desse il via alla chiusura delle fabbriche di “giocattolini”.

Simili errori di sottovalutazione sulla diffusione del contagio sono stati commessi in tutti i paesi d’Europa, in Giappone, negli Stati Uniti e anche altrove. Ciò non deve assolvere i vertici decisionali centrali e locali italiani per l’estensione del contagio. Il virus in sé non ha gravi effetti sulla stragrande maggioranza della popolazione resa infetta, ma con ritardi e inerzie, con misure inadeguate e confuse (salvo poi arrivare al coprifuoco marziale per l'intera penisola), è stata resa possibile l’estensione del contagio e la concentrazione del suo potenziale micidiale verso le fasce di popolazione più anziane e più fragili, in particolare di alcune province, con picchi di letalità divenuti strage anomali. Complice involontario anche un sistema sanitario carente sotto il profilo delle strutture, dell’organizzazione e delle dotazioni, anche se com’è noto gli operatori di ogni ruolo, pur in tali condizioni di inedita difficoltà, si sono prodigati oltre ogni limite con rischi personali.

4 commenti:

  1. ciao Olympe bella. D'accordo.
    Ma: non han contenuto subito perché non volevano o perché non si poteva? Io penso all'incapacità più che all'insipienza.
    2. il blocco totalitario realizzato con tanto ritardo e soprattutto attraverso i media, avrà ancora un senso profilattico? Senz'altro ne ha uno squisitamente politico. Ciao

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    1. osservo semplicemente:
      si poteva sulla base dell'esperienza cinese, che poteva essere conosciuta in dettaglio dalle autorità italiane, contenere e controllare meglio l'epidemia?
      es: evitare gli assembramenti folli tipo atalanta-valencia; evitare la riduzione dei trasporti e dunque l'affollamento; chiudere prima delle attività; firmare i contratti di fornitura di mascherine e altre dotazioni prima della fine di marzo, ossia 30-40 gg prima? quindi predisporre un po' prima la produzione degli ausili necessari; stabilire protocolli più definiti per gli ospedali, per esempio per quanto riguarda i percorsi di entrata dei positivi; predisporre tamponi plurimi a tappeto per tutti gli operatori ospedalieri e per i medici di famiglia, quindi per personale e degenti case di riposo?

      non si tratta della luna, ma di predisposizioni per i casi, appunto, d'emergenza (dichiarata il 31 gennaio dal governo).

      come scrissi verso l'11 marzo, attirandomi le critiche di un lettore, le misure di contenimento andavano prese e modulate diversamente. al punto in cui siamo non si possono revocare d'emblée, anche perché non sappiamo quanti asintomatici ci sono ancora in casa (e in circolazione).

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    2. guarda che quel lettore criticava perché il 10 marzo c'era ancora chi titolava "una sindrome virale finora ben contenuta"... dando i numeri...

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    3. infatti, fino ad allora e in genere anche oggi, salvo che poi è esplosa in alcune province lombarde ed emiliane per i noti motivi

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