Veniamo alla questione del voto elettorale. Marx ed
Engels erano favorevoli o contrari? Il pensiero politico dei due era troppo
smaliziato e molto meno dogmatico di certi “sinistri” di oggi, perciò
rispondere a tale domanda semplicemente in modo affermativo o negativo è come tentare
di tagliare l’acqua col coltello. Essi sapevano reagire immediatamente di
fronte a tutte le questioni poste dal movimento operaio e dalla politica
mondiale. È vero che sostennero la partecipazione alle elezioni tedesche del
partito socialdemocratico, ma perché si puntava a realizzare le condizioni
minime per costringere il dominio politico delle vecchie classi feudali entro
condizioni democratiche (*). Per il resto Marx è categorico quando scrive, a
proposito della Costituzione francese del 1848, quanto segue:
«Il dominio
borghese come emanazione e risultato del suffragio universale, come espressione
della volontà popolare sovrana, questo è il significato della Costituzione
borghese».
Pertanto, non si facevano illusioni sulla possibilità
di un radicale cambiamento della società borghese per mezzo del suffragio
universale, e a tale riguardo basterebbe leggere la loro corrispondenza,
oppure, per farla breve, avere a mente la celebre frase secondo cui lo Stato
moderno è il “comitato d’affari della borghesia”. La frase esatta è contenuta
nel primo capitolo del Manifesto: «Il
potere politico dello Stato moderno non è che un comitato, il quale amministra
gli affari comuni di tutta quanta la classe borghese (MEOC, vol. VI, p. 488)» [Die moderne Staatsgewalt ist nur ein
Ausschuss, der die gemeinschaftlichen Geschäfte der ganzen Bourgeoisklasse
verwaltet].
*
Il potere è una cosa reale, mentre le idee, di per
sé, non hanno potere se non sono ancorate a determinati interessi e forze. Il
potere della borghesia, come classe dominante, è anzitutto il suo potere
economico. Tuttavia la borghesia non è un monolite, così come non lo sono le
altre classi sociali; essa si divide in fazioni e interessi particolari,
laddove la pluralità di tali interessi si definisce in rapporto alla forza
specifica.
Gli interessi particolari del capitale noi oggi li
vediamo all’opera nello scontro elettorale in atto, apparentemente politico. La
vicenda della banca MPS non è frutto della casualità ma dello scontro tra
interessi particolari e divergenti, laddove la questione del governo della
spesa pubblica e del controllo dei meccanismi di ripartizione fiscale è
diventato un terreno di scontro vitale, non meno della lotta per la conquista
dei posti chiave nell’apparato statale, bancario, assicurativo ecc..
Non si deve credere che la borghesia – che non va
confusa solo con chi ha “i soldi” – non sia unita negli scopi strategici
generali e negli interessi fondamentali. Spicca anzitutto e naturalmente quello
di perpetuare le condizioni sociali del proprio dominio. Per questo scopo, l’ideologia
svolge un ruolo fondamentale e l’impiego dei mezzi di comunicazione di massa,
in mano alla grande proprietà, si rivela decisivo. Per esempio nell’attribuire
la responsabilità dell’esplosione del debito all’eccesso di spesa per
l’assistenza, la previdenza, sussidi, ecc., mentre sarebbero virtuose le voci
d’intervento diretto e indiretto a sostegno delle imprese con
defiscalizzazioni, salvataggi e, non ultimo, con una legislazione che consente
ampie franchigie di elusione ed evasione d’imposta e degli oneri di previdenza.
In tal modo passa l’idea – per nulla secondaria negli
effetti più diversi e nella propaganda elettorale – che la crisi abbia un
carattere sovrastrutturale, quando essa invece trova le proprie ragioni
profonde nelle contraddizioni che scuotono il modo di produzione capitalistico,
una loro effettiva spiegazione solo a partire dalla struttura della produzione.
Ecco dunque che seppellito il mito dello Stato assistenziale, si fa strada
quello dello Stato sussidiario dell’intervento privato, della “democrazia
limitata” – concetto elaborato dalla Trilaterale di Monti già all’epoca
Huntington – e commissariata, in buona sostanza il mito del controllo sociale
totale.
Ed è proprio nella crisi più acuta e devastante del
dopoguerra, nell’incapacità del sistema di garantire livelli di vita decente e prospettive
ai giovani e di adeguata assistenza agli anziani e agli incapienti, che lo
Stato rivela sempre più la sua natura di classe, la sua crisi ideologica, politica e di sovranità. Si tratta di una
dinamica inesorabile, posto che i parlamenti nazionali – non meno di quello
europeo svuotato di effettivi poterei – assomigliano sempre più a dei gusci
vuoti ai quali è stata staccata la polpa, buoni solo a simulare che il
meccanismo delle decisioni politiche riposi sui cittadini per il tramite di
quei partiti politici che ormai appaiono, da un lato, succubi degli organi
tecnici sovrannazionali, e, dall’altro, comunque impotenti di fronte al
movimento del capitale e della speculazione finanziaria.
Quando mai il processo d’interdipendenza tra Stati
diseguali, sotto l’egemonia del capitale tedesco-americano, può essere inteso
come movimento tendenziale verso un’effettiva integrazione? L’operazione che
mira al consolidamento del debito e dei bilanci pubblici degli Stati risponde
anzitutto agli interessi economici della borghesia imperialistica e in
particolare del suo segmento più forte in Europa, quello tedesco. È così che la
dominanza degli Stati più forti dell’area completa un processo ormai definito
nelle sue linee generali e che prevede il dominio del capitale più forte, la
gerarchizzazione e funzionalizzazione dei ruoli dei singoli Stati all’interno
della divisione internazionale del lavoro (quella che chiamano competitività,
tanto per capirci).
Ed è così che deputati e senatori, svestiti di potere
effettivo, mostrano la loro infamia: sfruttatori politici degli sfruttati e
degli ingenui manipolati dai media, ricompensati con una poltrona nel baraccone
della burocrazia parassitaria dei partiti a spese, come sempre, dei salariati.
Un ospizio di politici suonati o di pescecani in erba che cercano di soddisfare
la propria ambizione, a loro la borghesia imperialistica ha affidato il compito
di suonare il piffero della democrazia per distogliere i proletari dai suoi
reali maneggi.
(*) Vedi legge contro i socialisti del 1878. Sui
rapporti tra Marx-Engels e il partito socialdemocratico, cfr. anche – tra le
tante – la lettera di E. a J.P. Becker del 1° aprile 1880. Per i rapporti con
il Partito socialista francese, vedi QUI.
Una bella risposta a Bentornata bandierossa di oggi
RispondiEliminache recensisce il libro di Piero Bernocchi “Benicomunismo”.
Ma capiranno?
ciao gianni
figurati
EliminaVedo che hai capito bene, ma per chi legge preferisco spiegare che il commento era riferito al post successivo: Minima propedeutica...
EliminaPer una mia distrazione l'ho postato qui,sorry.
E già che ci sono bello l'ultimo sul plusvalore, assoluto e relativo. La tua capacità di attualizzare Marx, senza fare sconti, è veramente una manna nel deserto.
Ciao,gianni
Complimenti.
RispondiEliminaSpecialmente apprezzate le ultime sei righe.
Ciao.
ciao
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