Uno dei primi atti del governo Monti, il 3 gennaio dello
scorso anno, cioè nella fase più aspra dell’attacco speculativo al nostro debito
pubblico e mentre si stangavano lavoratori e pensionati, fu di versare una
cifra pari a 2.567.000.000 di euro alla
potente banca americana Morgan
Stanley, la stessa che proprio in questi giorni festeggia utili miliardari per
il 2012. Si trattò di un’operazione di “estinzione” su una posizione in
derivati del Tesoro. Molti contratti sui
derivati prevedono che, dopo un certo numero di anni, una delle due parti può
chiedere la chiusura della posizione. Però non accade spesso con il debito
statale, e ciò per motivi che non è qui il caso di mettere in dettaglio. Ci
sarebbe soprattutto da chiedersi del perché c’era una clausola di
risoluzione anticipata a favore della
banca e non un consenso bilaterale alla risoluzione del contratto.
Ad ogni buon conto, l’operazione sarebbe consistita in una triangolazione: Banca Imi (gruppo Intesa
Sanpaolo), quella del ministro Passera, è subentrata a Morgan Stanley consentendo
così agli americani di “alleggerirsi” rispetto alla Repubblica italiana.
I media, in generale, cercarono come sempre di ricondurre il tutto alla
normale gestione del debito pubblico, come se con i derivati si potesse scherzare.
Nel marzo scorso, Marco Rossi Doria, sottosegretario all’istruzione (?!),
rispondendo ad una interrogazione parlamentare, affermò che l’Italia ha un valore di contratti
derivati di circa 160 miliardi di euro,
quasi il 10 per cento – all'epoca – dei 1624 miliardi di obbligazioni italiane in
circolazione. Sorvoliamo poi sui contratti derivati stipulati dalle varie amministrazioni locali. Secondo l’agenzia Bloomberg,
contratti derivati
sarebbero ancora in essere con i cinque
principali operatori di swap americani, Goldman Sachs, Morgan Stanley, Bank
of America, Citigroup e JPMorgan Chase.
L’agenzia Reuters riferiva come l'uso di strumenti derivati in Italia per
garantire il suo debito pubblico avesse prodotto una perdita di 2 miliardi di
euro nel 2011 – sotto forma di pagamenti di interessi più elevati – e 4
miliardi di euro nel periodo 2007-2010, secondo i dati ufficiali. Da segnalare – come mera curiosità – che nel 1994, quando il
Tesoro stipulò il contratto con la Morgan
Stanley, a capo della direzione del Tesoro c’era Mario Draghi. Nel 2012,
invece, a condurre l’operazione è il vice ministro Vittorio Grilli, ex
direttore generale del Tesoro, e la richiesta di Morgan Stanley parte
dall’ex direttore generale del Tesoro Domenico Siniscalco, il quale dirige la branch
italiana della banca Usa.
Tra l’altro, il figlio di Mario
Monti, Giovanni, ha "lavorato" prima a Citigroup e poi a Morgan & Stanley: a
Citigroup è stato responsabile di acquisizioni e disinvestimenti per
alcune divisioni del gruppo, mentre alla Morgan si è occupato in
particolare di transazioni economico-finanziarie sui mercati di Europa, Medio
Oriente e Africa. Chissà perché i figli di questi “tecnici” seguono pedissequamente le
orme dei genitori, sarà forse un fatto genetico? Resta da vedere cosa farà
Bersani (e Monti) sul conflitto d’interessi, un provvedimento sbandierato come
urgentissimo, tra i primi del nuovo governo.
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