Ho ricevuto un commento a un mio post che riflette una
posizione molto diffusa e perciò penso meriti, per quanto sarò capace
ovviamente, una risposta un po’ articolata. La prima parte della mia risposta ha
in esame un presupposto che ritengo irrinunciabile e propedeutico per ogni successivo
discorso sulla nostra condizione. Nella seconda parte cercherò di rispondere
anche nello specifico della considerazione esposta dal Lettore, il quale
scrive:
Difficilmente con le elezioni si può cambiare
regime e oggi la democrazia borghese è divenuta una truffa bella e buona, basti
pensare che il ns. paese definito democratico è l'unico ad avere sia una soglia
di sbarramento che un premio di maggioranza. Anche se al momento nessuno ne
parla. Alle elezioni, se c’è un'organizzazione politica
democratica, o anche tendenzialmente tale – senza parlare di organizzazioni
comuniste assolutamente inesistenti –, bisogna partecipare perché tale presenza
crea uno dei pochi momenti di dibattito politico che questa società offre.
*
* *
Noi viviamo in un sistema sociale che non ha i caratteri
illiberali delle dittature, la nostra è invece una democrazia costituzionale
che garantisce almeno i diritti umani e civili più elementari. Su questo non ci
piove e non è venuto gratis. Siamo però davvero sicuri che nei fatti siano
garantiti a tutti quantomeno i diritti più elementari? Faccio solo un esempio:
mentre il diritto di proprietà è garantito indiscutibilmente nei fatti e
tutelato dalla legge, viceversa il diritto al lavoro è spesso solo un principio
enunciato. E, di là di tale aspetto non marginale in tema di diritti, di quale
tipo di lavoro stiamo parlando?
La condizione umana – materiale e spirituale – è
determinata dallo sviluppo raggiunto storicamente dalle forze produttive e dai
rapporti di produzione. Per quanto
riguarda segnatamente le forze produttive capitalistiche, dobbiamo intendere in
primo luogo la classe dei lavoratori produttivi (di capitale) che è la
principale forza produttiva. Per rapporti di produzione e di scambio s’intendono
tutti quei rapporti oggettivi, cioè indipendenti dalla coscienza, che si
stabiliscono tra gli uomini nella realizzazione del prodotto sociale e nella
successiva ripartizione di esso. I rapporti
di proprietà dei mezzi di produzione sono, tra i rapporti di produzione,
quelli essenziali poiché da essi dipende la forma di tutti gli altri.
Perciò ogni discorso sulla libertà e l’uguaglianza non può
prescindere dall’analisi di tali rapporti. Prendiamo in considerazione uno degli aspetti
salienti di essi.
La sfera della circolazione, ossia nello scambio delle merci
e quindi laddove avviene la compera-vendita della forza-lavoro, è un vero paradiso dei diritti innati dell'uomo. Qui
vi regnano soltanto Libertà, Eguaglianza, Proprietà.
Libertà! Poiché compratore e venditore d'una merce, per esempio della forza-lavoro, sono
determinati solo dalla loro libera volontà. Stipulano il loro
contratto come libere persone,
giuridicamente
pari. Il contratto è il risultato finale nel quale le
loro volontà si danno un’espressione giuridica comune.
Eguaglianza! Poiché essi entrano in rapporto reciproco soltanto come possessori
di merci, e scambiano equivalente per equivalente.
Proprietà! Poiché ognuno dispone soltanto del proprio.
Ognuno dei due – capitalista e salariato – ha a che fare solo con
se stesso, l'unico potere che li mette l'uno accanto all'altro e in rapporto tra
loro è quello del proprio utile, del loro vantaggio
particolare, dei loro interessi privati.
Questo
è ciò che vogliono farci cedere e la storia universale ha bisogno di molto
tempo per scoprire l’arcano di tale
scambio tra persone giuridicamente libere e che scambiano alla pari.
Facciamo un passo indietro: quando prendiamo in esame il lavoro degli schiavi è del
tutto evidente come essi lavorino per il loro padrone, come ad esso appartenga tutto
il prodotto del loro lavoro, persino la parte della giornata lavorativa in cui
lo schiavo non fa che reintegrare il valore dei propri mezzi di sussistenza –
cibo, vestiario, ecc. – sembra appartenere al padrone. Perciò tutto il lavoro
degli schiavi appare come lavoro non retribuito. Nelle prestazioni di
lavoro feudali, invece, il
lavoro eseguito dai servi per se stessi è distinto nello spazio e nel tempo, in
maniera tangibile e sensibile, dal lavoro coatto per il signore del fondo,
oppure dai lavori di corvè.
Lo sfruttamento del lavoro però non è prerogativa solo degli
antichi modi di produzione, ma anche del modo di produzione capitalistico. E
anche molto specificamente, in quanto solamente nel capitalismo lo sfruttamento
assume la forma storica e determinata di appropriazione di lavoro non pagato. Infatti, pur avendo il
lavoro salariato come presupposto lo scambio libero tra persone alla pari, il
rapporto monetario che s’instaura tra capitalista e operaio cela il lavoro che l’operaio salariato compie senza alcuna retribuzione,
ossia quella quantità di lavoro che l’operaio non impiega per produrre il
proprio salario.
Anche
parlare di valore del lavoro è però un’espressione
irrazionale poiché si tratta di valore
della forza-lavoro (*), il quale deve essere sempre minore della sua
produzione di valore, in quanto il capitalista fa funzionare la forza-lavoro
sempre per un tempo maggiore di quello
necessario alla riproduzione del valore della forza-lavoro. Scrive al
riguardo Marx nel cap. 17 de Il Capitale:
«Si comprende quindi l’importanza
decisiva che ha la metamorfosi del valore e del prezzo della forza-lavoro nella
forma di salario, ossia in valore e prezzo del lavoro stesso.
Su questa forma
fenomenica che rende invisibile il rapporto reale e mostra precisamente il suo
opposto, si fondano tutte le idee
giuridiche dell’operaio e del capitalista, tutte le mistificazioni del modo di
produzione capitalistico, tutte le sue illusioni sulla libertà, tutte le
chiacchiere apologetiche dell’economia volgare».
Perciò, il capitale, in quanto potere di governo sul lavoro
e sui suoi prodotti, diventa il vero Principe della situazione. Il capitalista
– osserva Marx nei Manoscritti –
possiede questo potere non in virtù di qualità personali o umane, ma in quanto
è proprietario del capitale. Il potere d'acquisto del suo capitale, che nulla può contrastare, è il suo
potere.
In altro
luogo della sua opera, Marx scrive: «Lo
schiavo romano era legato al suo proprietario da catene; l’operaio salariato lo
è al suo da invisibili fili. L’apparenza della sua autonomia è mantenuta dal
continuo mutare dei padroni individuali e dalla fictio juris del contratto» (Il Capitale,
I, cap. XXI).
Marx – lo sappiamo – era un poco di buono, un
sovversivo. Sentiamo invece un autorevole e pacato esponente dell’onorata
società: «Allorché un individuo è costretto a pagare e a lavorare per
altri, questo individuo è lo schiavo degli altri» (Maffeo
Pantaleoni, La caduta della Società Generale di Credito mobiliare
Italiano, UTET, 1988).
Oppure Cicerone: «I mercanti non possono
guadagnare senza mentire, e non c'è nulla di più spregevole della menzogna [...] tutti
coloro che vendono la loro fatica e la loro industria, [...] chiunque offra il
suo lavoro in cambio di denaro vende se stesso e si mette a livello degli
schiavi» (Dei doveri, I, XLII).
Pertanto, condizione preliminare a ogni libertà è di essere liberi
dal lavoro salariato. Ciò comporta la rimodellazione delle forze produttive, della
tecnica e della scienza entro un nuovo quadro di razionalità fondato sulla
liberazione del lavoro. Naturalmente sarà necessario, tra l’altro, ridefinire
il concetto di ricchezza fondandolo non più sul tempo di lavoro ma sul tempo
disponibile. Ed infatti il lavoro necessario per la riproduzione della società
nelle attuali condizioni può essere effettivamente ridotto a misure
estremamente piccole creando una massiccia liberazione del tempo disponibile
per ogni individuo e per l’intera società. Ciò non può prescindere a sua volta
dall’eliminazione della proprietà privata, quindi dalla appropriazione/gestione
sociale dei mezzi di produzione sulla base di rapporti di collaborazione e di
mutua assistenza affinché il libero sviluppo di ciascuno sia effettivamente la
condizione del libero sviluppo di tutti. E a tutto ciò è indispensabile un
effettivo internazionalismo proletario.
N.B. : la seconda parte
della risposta nel prossimo post.
(*) Per forza-lavoro o capacità di lavoro intendiamo l'insieme
delle attitudini fisiche e intellettuali
che esistono nella corporeità, ossia nella personalità vivente d'un uomo, e che
egli mette in movimento ogni volta che produce valori d'uso di qualsiasi genere (Marx, I, cap. 4).
Grazie.
RispondiEliminaGrazie.
RispondiEliminave la state cavando con poco voi due, prego inviare scatola cioccolatini assortiti al liquore, in alternativa anche solo cioccolatini o solo liquore
EliminaMassima stima Olympe. Appunto quello serve: un'organizzazione di classe rivoluzionarie internazionale e internazionalista. Un abbraccio.
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