È normale che in un continente la nazione più vasta,
popolosa, economicamente sviluppata e socialmente progredita assuma un ruolo
guida, tanto più se tale si dimostra la volontà e la determinazione delle sue
classi dirigenti e le circostanze storiche si presentano a ciò favorevoli. È
questo il caso della Germania odierna in Europa, lo dimostra il ruolo decisivo
che essa assume in tutte le decisioni che riguardano la UE. In tale prospettiva
c'è dunque da ragionare sull’ineguale sviluppo dei paesi europei, sul
processo di profonda ristrutturazione in atto, quindi sulla centralizzazione
dei poteri riguardanti la moneta unica e tra l’altro sulla recente costituzione
di un’unione bancaria europea, eccetera. Il tutto nella cornice della grande
contesa mondiale dei capitali e dei poteri politici che li rappresentano,
ossia, dal punto di vista delle evidenze politiche, della crisi delle relazioni
globali che si va approfondendo. Tutti temi molto vasti e assi complessi che
troveranno sicuramente ampio risalto su twitter e dintorni. Per quanto mi
riguarda, solo un cenno: sta nella percezione comune di questa crisi, per dirla
in una battuta, che il consumo a debito e il relativo circuito di flussi della
spesa pubblica non è più sostenibile come un tempo e dal momento che le aree di
produzione della ricchezza non sono più le stesse. In attesa dell’agognata
unione fiscale della zona euro e soprattutto che i livelli di spesa e di
parassitismo delle nuove potenze economiche si avvicinino ai nostri,
soprattutto per legittimare la tesi dei “vasi comunicati” sostenuta da certi
ideologi borghesi, si prenda atto almeno del fatto che la “crisi della
democrazia” in Occidente ha a che fare essenzialmente e direttamente con le contraddizioni del ciclo capitalista.
Ripropongo – con lievi modifiche – uno dei primi
post scritti per il blog, nel quale è descritta una situazione politica, un
caso storico, di cui cade l’80° anniversario in questo mese di gennaio e che, apparentemente, non c’entra nulla con la
premessa di cui sopra. Buona lettura.
*
Bahnhof
Zoo di Berlino. È l’alba del 30 gennaio 1933, cielo color piombo ma non nevica.
Al terzo binario è in arrivo un treno che per tutta la notte e parte del giorno
prima ha attraversato da sud a nord la Germania. In uno scompartimento
riservato di una carrozza di prima classe trovano posto il generale Werner von
Blomberg e il suo aiutante di campo, colonnello Walter von Reichenau. Sono
partiti da Ginevra, dove il generale rappresenta la Germania alla conferenza
per il disarmo. Indossa un cappotto privo di martingala e con collo in
pelliccia. Il colonnello è già nel corridoio del vagone e sta scrutando dal
finestrino due ufficiali superiori in attesa sulla banchina.
I
viaggiatori scesi dal treno sono raggiunti dai due ufficiali che scattando nel
saluto militare. Il primo ufficiale è il colonnello Oskar Hindenburg, aiutante
di campo del padre, il presidente della Repubblica, feldmaresciallo Paul Ludwig
Hindenburg; l’altro ufficiale, è il maggiore von Kuntzen, aiutante di campo del
generale Hammerstein-Equord, comandante in capo dell’esercito. Il generale
Blomberg è atteso dal presidente, convocato d’urgenza, e il colonnello
Hindenburg gli farà strada. Anche il maggiore von Kuntzen invita Blomberg a
seguirlo, gli vuole parlare il capo dell’esercito, Hammerstein. Dopo un momento
di comprensibile imbarazzo, Werner von Blomberg decide di salire nell’auto del
colonnello Oskar Hindenburg, per dirigersi verso il luogo dell’incontro con il
presidente della Repubblica, in Wilhelmstrße, 73.
Il 15 gennaio, Kurt von Schuschnigg, allora ministro
austriaco della Giustizia, in visita dal cancelliere Schleicher, assicurò che
«il signor Hitler ha cessato di costituire un problema, il suo movimento non
rappresenta più un pericolo politico, tutta la questione è risolta, non è più
che una cosa del passato». Quello che il ministro austriaco forse non sapeva,
ma di cui Schleicher era abbastanza avvertito, è che per tutto il mese di
gennaio von Papen e la lobby agraria e gli elementi più aggressivi delle forze
armate si erano dati un gran daffare per convincere Hindenburg a dimissionare
Schleicher ed ad aprire la porta ad un esecutivo Hitler-Papen, nella
convinzione di poter poi manovrare a piacimento il capo del NSDAP. Da ultimo, a
far pressione, si era aggiunto anche Oskar, il figlio del presidente.
Due giorni prima dell’arrivo di von Blomberg al
palazzo presidenziale, il generale Schleicher aveva rassegnato le proprie
dimissioni nelle mani del presidente Hindenburg. Già alcuni giorni prima, il 23
gennaio, in una precedente visita, aveva comunicato all’ottuagenario
feldmaresciallo di non essere riuscito a formare una maggioranza e pertanto
invocava poteri d’emergenza per governare mediante decreti, in base all’art. 48
della Costituzione. Questa insistenza per ottenere i poteri d’emergenza,
collegata con la proposta di provvedimenti contro lo scandalo degli “aiuti
orientali”, irritava il presidente. Sarebbero bastati un paio di mesi, quindi
la convocazione di nuove elezioni (che a quel punto i nazisti, vista la loro
situazione, esplicitamente temevano) e le previsioni del ministro austriaco
della Giustizia, così come quelle di tutti gli altri osservatori, si sarebbero
avverate. A quel punto sarebbe sortita dalle urne una situazione nuova, in cui
sarebbe stata possibile una coalizione tra moderati di centro e di sinistra.
Hindenburg si rifiutò di accordare pieni poteri a
Schleicher, Papen e la camarilla di palazzo gli avevano assicurato che con un governo
dove lo stesso Papen fosse stato vicecancelliere del Reich e primo ministro
della Prussia, quindi in un gabinetto con il NSDAP in netta minoranza, Hitler
in qualità di cancelliere si sarebbe potuto cavalcare e manovrare a piacimento.
Hindenburg accettò e pose la condizione che Hitler nelle sue visite alla
presidenza fosse sempre accompagnato da von Papen. Congedando Schleicher,
Hindenburg gli aveva detto: «Ho già un piede nella tomba e non sono certo che
in seguito, in cielo, non rimpiangerò una simile azione». Schleicher, abbattuto
e disilluso, gli rispose: «Non sono certo, signore, che dopo questo tradimento
voi andrete in cielo».
La borghesia e gli agrari tedeschi volevano farla
finita con la Repubblica e la democrazia, essi puntavano sul ritorno a una
Germania di tipo imperiale. La nobiltà e l’esercito chiedevano il ripristino
degli antichi privilegi di casta, nonostante la Repubblica avesse trattato le
classi alte – come scrive Shirer nella sua opera sul Terzo Reich – con estrema
generosità e tolleranza: «Aveva permesso all’esercito di continuare a
costituire una specie di Stato entro lo Stato, aveva dato modo agli uomini
d’affari e ai banchieri di realizzare ampi profitti e agli Junker di mantenere
le loro proprietà improduttive mediante prestiti del governo, che non venivano
mai ripagati e che solo di rado venivano usati per la miglioria delle loro
terre [p. 205]». Dal canto loro, i conservatori e i nazionalisti più moderati,
non assunsero mai responsabilità di governo o di opposizione. Per quanto
riguarda i comunisti, essi perseguivano la “strategia” di Mosca di
contrapposizione dura ai socialdemocratici, spezzando l’unità politica delle
classi lavoratrici. Mancando una classe media politicamente forte,
l’instabilità e il mercanteggiamento politico erano inevitabili. Il ruggito più
forte venne dalla crisi economica.
Torniamo a quel primo mattino del 30 gennaio,
nell’anticamera dell’ufficio presidenziale dove ad attendere di essere ricevuto
da Hindenburg c’è il nostro generale von Blumberg, il quale, va detto, era
caduto “sotto l’ascendente del proprio capo di stato maggiore von Reichenau”
che, come abbiamo visto, era divenuto un fervente sostenitore di Hitler. La
porta dello studio presidenziale s’aprì e fece capolino Meissner, che con un
cenno cortese invitò il generale ad entrare. Hindenburg lo accolse con
cordialità, anche se dalla sua faccia era evidente uno stato di forte tensione
e forse di malessere. La conversazione, dopo i primi convenevoli, si spostò
sulla Conferenza di Ginevra, sulla quale Blomberg ragguagliò il presidente per
sommi capi. Si passò poi, più volentieri, al tema della convocazione urgente,
cioè la situazione politica e l’intendimento del presidente di conferire a
Hitler-Papen l’incarico di formare un nuovo esecutivo. Hindenburg offrì a
Blomberg la poltrona di Ministro delle forze armate, con il chiaro mandato di
mantenere l’ordine e di stroncare qualsiasi colpo di mano dell’esercito, cioè
di tenere a bada Hammerstein (contrario ad Hitler) e Schleicher, «ma anche a
far sì che i militari appoggiassero il nuovo governo che sarebbe stato nominato
qualche ora dopo [Shirer, p. 201]».
Blomberg fu fatto giurare e assunse da quel momento
l’incarico di ministro, in un esecutivo annunciato ma che ancora non esisteva!
Hitler aveva appreso le decisioni di Hindenburg la sera prima, al Kaiserhof,
abbuffandosi di dolciumi. Per l’ex caporale e il suo partito i guai stavano per
finire. La mattina dopo, appunto il 30 gennaio, verso le 10.30, Hitler,
Hugenberg e altri membri del costituendo gabinetto, si riunirono nell’ufficio
di Papen posto nei pressi del palazzo presidenziale. Verso le undici,
attraversarono il giardino e si diressero verso l’ufficio del presidente. Si
fermarono nell’ufficio di Meissner a discutere ancora tra loro. Secondo la testimonianza
di Papen riportata da Shirer [p. 202], «Hitler rinnovò subito le sue
rimostranze per non essere stato nominato commissario per la Prussia. Pensava
che ciò limitasse grandemente i suoi poteri». Quando si dice che lo stile fa
l’uomo! Hitler disse che i suoi poteri (stava per essere nominato cancelliere
del Reich!) non potevano subire simili limitazioni e minacciò nuove elezioni.
Nacque un’accesa discussione tra lui e il suo compare Hugenberg, che stupido
evidentemente non era e le elezioni non le voleva di certo. Hindenburg,
furioso, era in attesa, minacciò anche di andarsene. Papen temeva «che la
nostra nuova coalizione si spezzasse ancor prima di nascere … Alla fine fummo
accompagnati dal presidente … Hindenburg tenne un breve discorso sulla necessità
di una piena collaborazione nell’interesse della nazione; dopodiché giurammo.
Il gabinetto Hitler era stato formato».
Pertanto la nomina di Hitler non avvenne in forza
dell’esito del voto, di una nuova maggioranza parlamentare che non sarà nella
realtà dei numeri fino alle elezioni del 5 marzo 1933. Elezioni indette subito
da Hitler che aveva ora in mano tutte le leve del potere statale. In febbraio
vi fu l’incendio del Reichstag, con la conseguente decretazione d’urgenza e
l’arresto dei leader comunisti. Il 5 marzo – in un clima di caccia alle streghe
– il NSDAP ottiene alle elezioni il 43,9% dei voti: alleandosi in parlamento
con i nazionalisti del DNVP (8%) raggiunse finalmente la maggioranza con
complessivi 340 (288+52) seggi su 647. Per far passare in Parlamento la legge
delega che gli dava poteri dittatoriali, in vigore poi dal 27 marzo, Hitler ha
bisogno della maggioranza dei due terzi: la trova questa volta nell'appoggio
del Partito di Centro. Il leader del partito è monsignor Ludwig Kaas; l’appoggio
a Hitler venne dato in cambio dell’accelerazione della stipula del Concordato
tra la Germania e la Santa Sede.
Schleicher uscì di scena e l’anno dopo fu assassinato
sulla porta di casa da elementi delle Ss.. Hammerstein e la sua famiglia furono
tra i pochi che opposero resistenza a Hitler. Blomberg fu il fautore della
riorganizzazione dell’esercito tedesco. Nel 1938, quando non servì più, fu
costretto a mettersi da parte a causa di uno scaldaletto sessuale. Oskar, il
cui padre morì nell’agosto del 1934, parlò alla radio invitando i tedeschi a
votare a favore dell’unificazione delle cariche di presidente e cancelliere
nella persona di Hitler; fu promosso maggiore generale. Scrisse Albert Speer
nelle sue memorie: «Poco tempo dopo partecipai a un’assemblea della sezione del
partito a Mannheim e rimasi colpito dalla modestia delle persone e del loro
livello spirituale [per un tedesco il termine ha un’accezione
straordinariamente ampia]. “Con gente simile” ripetevo a me stesso “non ci si
può illudere di governare uno stato”. Ma la mia era una preoccupazione
superflua, perché il vecchio apparato burocratico continuò a funzionare
imperterrito e senza inciampi anche sotto Hitler [p. 37]».
Bibliografia essenziale: William L. Shirer, Storia del Terzo Reich, Einaudi, s.i.d.;
Joachim C. Fest. Hitler, Rizzoli,
1974; Adam Tooze, Il prezzo dello
sterminio, ascesa e caduta dell’economia nazista, Garzanti, 2008; Jonathan
Petropoulos, Royal and the Reich,
Oxford Universit Press, 2006; Werner Maser, Hitler
segreto, Garzanti, 1974; Colin Cross, Adolf
Hitler, Mursia, 1977; Albert Speer, Memorie
del Terzo Reich, 1971.
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