Nel post precedente ho scritto: … la
borghesia non è un monolite come non lo sono le altre classi sociali; essa si
divide in fazioni e interessi particolari diversi; la
pluralità di tali interessi, dei singoli poteri, agisce nelle volontà politiche
dello Stato e la democrazia si definisce in relazione alla loro forza
specifica.
Che cosa significa
interessi particolari diversi? Gli interessi particolari di un rentier possono essere diversi di quelli di un industriale. Per
esempio, quest’ultimo può avere interesse che la tassazione delle rendite e
delle transazioni finanziare sia tassata a un livello più alto di quello
vigente. Precisavo anche nel post: Tuttavia
non si deve credere che la borghesia – che non va confusa solo con chi ha “i soldi”– non
sia unita negli scopi strategici generali e negli interessi fondamentali.
Allo stesso modo che la borghesia non è una classe sociale omogenea
per quanto riguarda la sua composizione e gli interessi particolari delle sue
varie fazioni, anche il proletariato è una classe sociale che presenta al suo
interno delle differenze, a volte anche sociologicamente notevoli. Tuttavia se
vogliamo partire da una definizione scientifica di proletariato, essa deve essere sempre messa in relazione al capitale inteso quale
rapporto sociale.
Un
operaio può, per esempio, avere interessi contingenti diversi da un lavoratore
della sfera della circolazione, ma questo non significa che la classe degli
espropriati non abbia oggettivamente scopi strategici generali e interessi
fondamentali comuni. Che cosa significa “oggettivamente”? Indipendentemente
dalla coscienza dei singoli soggetti. Sostenere poi – come fanno alcuni – che
Marx ed Engels non avessero presenti tali distinzioni, è affermare un’enorme
sciocchezza (resta da stabilire quanto in malafede e quanto per ignoranza).
Il proletariato può essere grossomodo diviso in: 1)
lavoratori immediatamente produttivi di plusvalore (agricoltura, industria
estrattiva, manifatturiera, costruzioni, trasporti, comunicazioni e spedizioni;
2) lavoratori che realizzano il plusvalore nella sfera della circolazione
(commercio, ecc.); 3) lavoratori dei servizi (pubblici e privati); 4) impiegati
e tecnici proletarizzati; 5) esercito industriale di riserva e popolazione che
non ha ancora una collocazione all’interno della sfera della riproduzione del
capitale. Pertanto, certe sciocchezze sulle classi medie, la piccola borghesia,
è meglio risparmiarcele poiché non hanno rapporto con un metodo scientifico.
Ogni soggetto che rientri nelle condizioni descritte
è a pieno titolo un proletario, anche se ha un po’ di grana, una bella casa e
si sente, beato lui, un “signore”.
Prendiamo ad esempio i lavoratori della sfera della
circolazione. Il processo di circolazione, essendo una fase del processo di
produzione, è altrettanto indispensabile a quest’ultimo. Il plusvalore prodotto
e incorporato nelle merci deve essere realizzato nel più breve tempo possibile,
“quindi – scrive Marx – gli agenti della circolazione sono
altrettanto necessari che gli agenti della produzione”. Pertanto i
lavoratori della sfera della circolazione hanno in comune con quelli della
sfera della produzione la riproduzione del capitale sociale. Scrive sempre quel
“neoplatonico” e incorreggibile hegeliano di Marx:
[Al capitalista] il
lavoro non pagato di questi commessi, pur non creando plusvalore, gli rende possibile l’appropriazione di
plusvalore, il che, per quanto riguarda questo capitale, produce esattamente il
medesimo risultato; esso è quindi la fonte del suo profitto.
[…] Come per il capitale produttivo il lavoro
non pagato degli operai crea direttamente del plusvalore, così il lavoro non pagato dei lavoratori
commerciali procura al capitale commerciale una partecipazione a
quel plusvalore (*).
Per quanto riguarda invece i lavoratori dei servizi, anch’essi fanno
parte del proletariato. Le loro prestazioni o servizi
producono un valore d’uso che mantiene un effetto utile per chi ne fruisce
direttamente o indirettamente, oppure si rende necessario all’attività lavorativa
in generale. Tuttavia tali prestazioni o servizi – che non si oggettivano in un
prodotto distinto dal lavoro e restano valori d’uso – non sono lavori
produttivi di valore (sul punto non insisto oltre avendovi dedicato diversi
post). L’estendersi del lavoro salariato nell’attuale fase dello sviluppo
capitalistico, fa sì che quest’ultimo tenda a sussumere ogni forza-lavoro
impadronendosi dei servizi e delle attività a essi collegate, trasformandone
gli operatori in salariati del capitale. Vendendo la forza-lavoro, i salariati
dei servizi ricevono in cambio un puro salario di sussistenza; una parte del
loro lavoro non viene pagata e, similmente per quanto avviene nella sfera della
circolazione, il capitale estorce il profitto che gli permette di economizzare
sui suoi redditi, aumentando l’accumulazione.
Esaminiamo ora il caso della classe operaia. Ciò che la
distingue dagli altri lavoratori proletarizzati è che essa, mentre produce
capitale, riproduce il modo stesso di produzione capitalistico. Lo dico per
quelli che hanno superato l’”utopia” marxiana: la classe operaia non produce
solo merci ma anche rapporti sociali. Perché essa è oggettivamente rivoluzionaria? Perché produce contemporaneamente la
fine di questo modo di produzione, la fine di questi rapporti sociali. Dice
Marx: “Di tutti gli strumenti di produzione, la più grande forza produttiva è
la classe rivoluzionaria stessa”.
Tradotto, sempre per le testine di cui sopra: l’essere
soggetto rivoluzionario, per la classe operaia coincide totalmente con
l’oggettività dei rapporti di produzione di cui è espressione e creazione.
Attenzione, belli: non è rivoluzionaria solo perché lotta, come andate
blaterando nei vostri blog, ma perché riproduce continuamente le condizioni di questa lotta. Scrive
Marx: «Ciò che conta non è che cosa questo o quel proletario, o anche tutto il
proletariato si rappresenta
temporaneamente come fine. Ciò che conta è che
cosa esso è e che cosa sarà costretto storicamente a fare in conformità a
questo suo essere. Il suo fine e la
sua azione storica sono indicati in modo chiaro, in modo irrevocabile, nella
situazione della sua vita e in tutta l’organizzazione della società civile
moderna» (*).
Ecco anche perché Marx si
astiene da qualsiasi prescrizione predittiva o normativa lasciando spazio
all’inesorabile necessità storica.
(*) Questo brano marxiano, pur nella sua concisione, vale più
di qualche migliaio di tonnellate di spazzatura editoriale che si trova in
circolazione. Esso è proposto anche in internet, per esempio in Wikipedia, ma a
volte in modo impreciso e sempre incompleto, sovente senza indicazione
bibliografica precisa: La sacra famiglia,
MEOC, vol. IV, p. 38. Questo a dimostrazione, se mai ve ne fosse bisogno, che
per quanto utili e preziosi possano essere i nuovi strumenti tecnologici per la
conoscenza e la ricerca, essi non possono soppiantare del tutto una delle più
grandi rivoluzioni tecniche della modernità: il libro a stampa. Purtroppo apprendo dell'incendio dell'antica biblioteca araba, piccola ma preziosa, di Timbuctu (su di essa esiste un buon doc. Rai). Spero la notizia venga smentita.
(**) Il Capitale,
III, cap. 17.
Riposto il commento qui, ti ho rispost sul FQ..
RispondiEliminaSi grazie, ho letto, hai ragione, comunque è interessante quello che mi linkasti, minima propedeutica marxista se ricordo bene. L'analisi marxiana del Capitale è ancora attualissima e di meglio ancora non si trova, in quello in particolare non ho niente da ridire, le cose che però sono sempre meno convinto è il ruolo storico rivoluzionario del proletariato, ma sono io che non ho molta fiducia in questo ruolo , va da sè che anche da rivedere tutto il discorso sulla fase transitoria e sulla dittatura del proletariato, molto interessante è un sito che si chiama il Lato cattivo, poi quelli che mi paiono interessanti come siti sono Infoaut, finimondo. Ciao