L’unico merito storico che può essere attribuito a Silvio
Berlusconi è di aver rotto il monopolio televisivo di Stato, ma per creare un monopolio
parallelo e personale. Vent’anni fa il giudizio prevalente su Berlusconi, anche
e soprattutto da parte dei suoi avversari, era ben diverso da quello odierno. Egli
era considerato quasi unanimemente come un esperto di televisione e come un
grande comunicatore. Noi oggi possiamo vedere ciò che egli è sempre stato in
forza dei suoi soldi e del suo potere televisivo, ossia uno scaltro imbonitore
che ha saputo sfruttare a proprio vantaggio soprattutto le debolezze, le compromissioni e le divisioni degli altri.
Per quanto riguarda invece Mario Monti, un anno fa il
giudizio prevalente gli riconosceva di essere un “tecnico” di prim’ordine, un
economista e un riformatore avveduto e capace, tanto da essere nominato sul
tamburo senatore a vita per poi affidargli l’incarico di presidente del
consiglio. Sulla cosiddetta “autorevolezza” e sul “prestigio” recuperato
dall’Italia grazie al profilo di Monti, si tenga conto che si partiva da una
situazione governata dai clown del circo. Oggi, per contro, anche i suoi
sponsor si sono finalmente resi conto che oltre le sue ricette di risanamento –
contenenti dosi massicce d’iniquità e sperequazione a danno soprattutto
dei soggetti sociali più esposti – non vi è stato in 13 mesi di governo un solo
provvedimento decisivo o almeno importante contro la crisi e a favore della
tanto decantata “crescita”.
Inoltre, un po’ alla volta, anche i più asettici osservatori
stanno scoprendo un Monti il cui atteggiamento è sempre più improntato
all’insofferenza verso i meccanismi della partecipazione democratica (per
quanto discutibili e in crisi), così come si fa notare la sua aperta ostilità verso
chi osi porsi criticamente in rapporto alle sue ben note tavole della legge di
rinascita nazionale. Tutto ciò non può essere ricondotto semplicemente a un
generico dato caratteriale di una mentalità conservatrice, ma è il prodotto da
un lato di precisi interessi e dall’altro il risultato di una concezione
generale dei rapporti sociali in cui il denominatore è un sentimento di tipo
autoritario e reazionario, non privo di un robusto odio di classe.
Senza voler tracciare un improbabile parallelo tra
Berlusconi e Monti, con tale nota ho cercato semplicemente di rilevare come sia
sempre in ritardo il giudizio più meditato dei diversi commentatori sui fatti e
i personaggi nel nostro fantastico paese.
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Per quanto possa apparentemente sembrare strano, il pensiero
economico borghese è come una religione, ossia non tollera che vi siano
“verità” diverse e alternative che riguardino l’ordine economico-sociale
esistente. L’apologetica capitalistica, poiché di questo si tratta, è impegnata
a dimostrare – a chiunque sia disposto a sospendere il proprio giudizio critico
– che: 1) il sistema economico borghese è il migliore; 2) è anche l’unico che
si possa conciliare con la “libertà”; 3) costituisce la forma assoluta della
produzione.
Si tratta di “verità” verso le quali l’apologetica autorevole
insegnata nelle scuole e università, propagandata incessantemente dai media, esige,
al pari delle religioni monoteiste, un atto di fede assoluto. Tutto ciò che
contrasta con tali “verità” è dichiarato sbagliato, eretico, e perciò deve
essere ignorato e condannato alle fiamme della damnatio memoriæ. Queste “verità” di base comportano tutta una
serie di conseguenze e di affermazioni che finiscono per condizionare
pesantemente il pensiero e i comportamenti sociali, intesi nell’accezione più
ampia, tanto è vero che in genere non si riesce più a parlare, scrivere e
leggere di qualcosa che non abbia come riferimento diretto o riflesso i temi
dell’economia.
Nel caso degli apologeti del capitalismo, la preoccupazione
maggiore è quella di non analizzare
scientificamente il modo di produzione capitalistico e quindi di non prendere in considerazione le reali
cause della crisi; ma anche laddove i temi dell’economia sono trattati da un
punto di vista critico, si tratta spesso di una critica laterale che non va mai
alla radice delle questioni e che anzi propone soluzioni di “buon senso” intese
a salvare il sistema. Un po’ come certa critica neotestamentaria che solleva
dubbi e perplessità su questo e quello, arrivando fino a sostenere che Gesù fosse
un comune mortale, ma che si guarda bene dal mettere in esame con il rigore critico
necessario le pretese storiche a fondamento del cristianesimo. In entrambi i
casi si tratta, appunto, di un atteggiamento a-scientifico e squisitamente
apologetico.
A sostegno del commento, ciò che esce dall'analisi(?) di un economista oggi incensato:
RispondiElimina"Manifesto capitalista. Una rivoluzione liberale contro un'economia corrotta" di Luigi Zingales, economista di scuola neoliberista. In pratica il problema come sempre per questi nuovi guru non è il sistema, ma la "corruzione", con semplici giochetti ritorna tutto a posto per tutti (meno tasse, competizione, "meritocrazia", privatizzazioni, ciliegina sulla torta le elezioni all'americana, che il sistema elettorale per questi guru risolverebbe i problemi). Mi sa che anche in situazioni di altri tempi (crack '29 o altro) qualche economista dell'epoca se ne usciva con tesi simili.
Per info, ll tizio in questione è per il "capitalismo per il popolo". Curioso poi, "Manifesto capitalista per una rivoluzione liberale", "capitalismo per il popolo", suonano da slogan di sinistra modificati.
Saluti,
Carlo.
esattamente Carlo, ciao
Eliminacara Olympe, scusami il "fuori argomento", ma ero curioso di sapere la tua posizione verso tutte quelle folcloristiche "avanguardie" destrorse di estremisti neri che paiono abbiano alzato la testa di recente (grazie anche a connivenze in "alte sfere") , parlo di casa pound, la destra, forza nuova...e via discorrendo...non trovi che stiano diventando un fenomeno fin troppo preoccupante?
RispondiEliminaciao
gg
mi spiace, ma francamente non ne so nulla. posso segnalarti un post:
Eliminahttp://sollevazione.blogspot.it/2013/01/riflessioni-sul-neofascismo-italiano.html
ciao