Parlare del nulla. Dicono tutti che vogliono ridurre le
tasse, togliere o modificare anzitutto l’Imu. Mentono sapendo di essere dei
spudorati bugiardi e noi facciamo finta di credergli. Se non a quel cialtrone a
quell’altro. L’illusione della scelta. Ma i fatti stanno ben diversamente.
Quanti elettori sanno almeno vagamente cos’è il Trattato sulla stabilità, coordinamento e
governance nell'unione economica e monetaria? Il cinque per cento? Ma via, inguaribili ottimisti!
È un contratto che ognuno di noi, per il tramite di chi l’ha
firmato in nostra vece nel marzo scorso e poi approvato in parlamento, dovrà rispettare nei prossimi
vent’anni. Volente o nolente. È entrato in vigore il primo gennaio. Prevede l'inserimento
in Costituzione del pareggio di bilancio e l'obbligo per tutti i paesi di non
superare la soglia di deficit strutturale superiore allo 0,5% oltre a imporre
una significativa riduzione del debito al ritmo di un ventesimo all'anno, fino
al rapporto del 60% sul Pil nell'arco di un ventennio. Gli Stati inoltre s’impegnano
a coordinare i piani di emissione del debito col Consiglio dell'Unione e con la
Commissione europea (art. 6).
Alla radice dei provvedimenti governativi presi e da prendere
sta dunque questo Trattato approvato in
luglio dalla Camera e dal Senato in dicembre. Non è un caso che dei suoi dettagli si parli
poco, pochissimo. Come al solito gli eruditi lo chiamano in inglese:
fiscal compact. A complemento del Trattato ci sta il Mes. Sta
per Meccanismo europeo di stabilità. È
anzitutto un’organizzazione con sede a Bruxelles sul modello del Fondo
monetario internazionale. È il cosiddetto "fondo salva stati", quel fondo, tanto
per capirci, che è costato finora 15 miliardi all’Italia, cioè, a essere
precisi, a quelli che le tasse le pagano fino all’ultimo centesimo. Perché
costretti, non perché probi cittadini: non raccontiamoci balle.
Ma chi ha votato per ‘sti cazzi di trattati e pozzi senza
fondo? I sì per il fiscal compact alla Camera sono stati 380, 59 i no, 36 gli
astenuti; gli assenti erano 103 e "in missione" 27. Nella votazione del MES
addirittura meno della metà dei deputati si è espresso a favore: 325 sì, 53 no,
36 astenuti mentre gli assenti erano 188 e "in missione" 26. Dati questi che ci danno la misura di molte cose.
Il Trattato
sulla stabilità, o
fiscal compact, impegna l'Italia da quest’anno a ridurre a zero il deficit
dello Stato, quando in Giappone, Inghilterra, Stati Uniti il deficit rimane
sopra l'8% del PIL annuo e sostiene in questo modo l'economia e quando, ad
esempio, persino la Francia ha deficit pubblici sul 4-5% del PIL. Non solo, lo
Stato per ridurre di un ventesimo l’anno il proprio debito, dovrà incassare
ancora molto di più e ciò potrà avvenire – stante la situazione economica e gli
indicatori di crescita in picchiata – solo aumentando le tasse e tagliando la
spesa, alias la sanità pubblica, assistenza, scuola e il resto che conosciamo
bene.
Il Pdl ha votato il fiscal compact (con 4 contari, alcuni
astenuti e molti assenti). L'Udc e il Pd hanno votato compatti anch'essi e non sono nemmeno pentiti di averlo fatto. Di Monti non serve dire nulla. Di Pietro
si è astenuto, Rifondazione e Ingroia parlano d’altro. Per votare e dare il voto a questa gentaglia bisogna essere deficienti.
Ma no, ma sta andando tutto bene. Siamo noi comunisti a vedere tutto nero. Sempre i comunisti che si lamentano!
RispondiEliminaVa tutto bene. Ieri sul Corriere della Sera Dario di Vico ci informava che grazie agli orari allungati delle filiali di Intesa Sanpaolo, "le famiglie potranno programmare con più libertà il salto in filiale". Perché il salto in banca è la principale attività ricreativa delle famiglie, come è noto. Un salto a farsi ridere in faccia quando si chiede un mutuo. E poi è così rigenerante andare in banca. Un vero spasso. Non si arriva alla terza settimana del mese, ma vuoi mettere il frisson di un salto in filiale?
mauro
mi hai strappato un sorriso
EliminaDeficienti e masochisti, come prendersi a martellate nelle palle da soli.
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