L’assuefazione al peggio che ci attanaglia tutti può portare
a scegliere il “meno peggio”? Sembrerebbe tale scelta di ripiego una soluzione
di pragmatico buon senso, un calcolo razionale, ma è effettivamente così?
Ognuno risponde per sé e non ho la pretesa di interferire sulle scelte
legittime e cristalline di altri, tanto più quando sono corroborate da
personalissime e articolate argomentazioni, ivi compresa l’immancabile riserva
che chiamo pentimento preventivo a futura memoria.
È, quella sulla scelta del “meno peggio”, una domanda che inevitabilmente
capita tra i piedi a chiunque non pratichi il voto elettorale come una scelta
condizionata dall’appartenenza a un partito padre-padrone o per un malinteso
senso civico e simili. Per quanto mi riguarda non si tratta però di una domanda
inesausta, in quanto a essa ho già dato risposta. Non che non si possa cambiare
opinione secondo il mutare degli eventi e delle stagioni della vita, per
carità, ma quando si sostiene, come sostengo convintamente e ripetutamente da
lunga data, che la democrazia,
questa democrazia, è diventata solo una scatola vuota, l'involucro del potere intangibile soprattutto di una
classe sociale che fa e disfa come vuole ed è interessata a mantenere lo status
quo, allora poi è difficile per me trovare dei motivi – anche i più minuti e
pratici – per mutare repentinamente atteggiamento verso il voto elettorale in
costanza della medesima situazione di fatto. E che le circostanze sociali ed
economiche non siano mutate non è una semplice sensazione e faccio grazia ai
lettori del blog di non dovere motivare una volta di più il perché e il
percome.
A meno il mio mutamento d’opinione e l’adesione
al voto non risponda, e ciò è sempre possibile, a un’illusione stravagante da
farmi ritenere si possa in qualche modo porre un freno a ciò che ci sta
capitando addosso in nome di questo e di quello. Ma come, dopo che il Pd ha
votato la fiducia al governo Monti, quindi il pareggio di bilancio in
costituzione e dopo che è passata unanime la riforma delle pensioni per molti
aspetti iniqua e demenziale, quindi l’abrogazione dell’articolo 18? Si dirà: il
Pd vi è stato costretto. Ah, sì? Ma l’abbiamo letta l’illuminante intervista di
Bersani al Wall Street Journal sul
proseguimento della linea Monti – Merkel, e cioè che tutti gli impegni europei dettati dalla Germania verranno
rispettati e non rinegoziati? È evidente, a me pare, che il Pd non ha un chiaro programma popolare sulle tasse e
la spesa pubblica, attaccato all'idea che basti liberalizzare per fare crescere
l'economia (le lenzuolate), così come è ecumenico il punto di riferimento
culturale e politico dichiarato da Bersani (papa Roncalli) e quello del
cattolico Nichi Vendola (il defunto cardinale Martini). Inoltre, il Pd non
vuole identificare avversari politici e nemici sociali, mentre la gente soffre,
le fabbriche chiudono, aumenta la disoccupazione e cresce la rabbia della
maggioranza delle famiglie che non arrivano alla fine del mese e che non sanno
come dare un futuro ai loro figli.
E ancora: a meno il mio mutamento
d’opinione e la mia adesione al voto non risponda a un bisogno diverso, a uno
dei tanti che gli strateghi della manipolazione sanno bene come interpretare e
suscitare, tanto è vero che l’area del non voto o quantomeno dell’indecisione
cala progressivamente e infine drasticamente nell’imminenza delle elezioni per
poi risalire man mano che, dopo la festa dei numeri e delle percentuali,
ritornano a far capolino le disillusioni di sempre e viene finalmente pronunciata
la fatidica frase: sapevo e l’avevo detto che poi sarebbe andata così. Colpa di
questo e di quello ma non mi fregheranno più.
È, in fondo e grossomodo, il medesimo meccanismo
che regola i consumi natalizi, l’acquisto di quelle cose che sappiamo superflue
o che ci possono causare una cattiva digestione. Per fortuna che la Befana
(come le elezioni) tutte le feste (e le illusioni) porta via.
Basta coi compromessi!!! Siamo tanti ma diluiti, dovremmo averne coscienza.
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