mercoledì 9 gennaio 2013

Non basta dirsi anticapitalisti



L’anelito alla libertà individuale intesa “in relazione d’interdipendenza con quella di tutti gli altri”, costituisce un principio fondamentale e un sentimento condiviso. Se poi si cita Bakunin, il principio è corroborato anche di utopia. Tuttavia non c’è un solo borghese che non sarebbe d’accordo, non tanto sul nome di Bakunin, ma sul principio e il sentimento in sé. Anzi, i borghesi affermano che tale situazione di sostanziale libertà, pur con tutti i limiti e difetti del caso, esiste già nei fatti nelle “democrazie” moderne.

Tuttavia le “idee”, per se stesse, e i buoni principi morali, non hanno mai trasformato l’uomo e tantomeno cambiato il mondo; l’abitudine delle idee e l'attitudine dei principi è quella di procedere al passo della necessità e spesso seguendo le trasformazioni sociali. La libertà, così come la democrazia (nozione di supporto), privata di una contestualizzazione storica e sociale ben definita, resta una parola abbastanza indeterminata, buona per un tema di scuola. Nondimeno, per noi comunisti, dopo il paleantropo e l’homo sapiens, l’obiettivo non può essere semplicemente l’aspirazione alla “libertà” se non come portato della realizzazione pratica e concreta dell’uomo collettivo, ossia dell’uomo comunista, ed è questo il solo modo che abbiamo per affacciarci finalmente alla storia, laddove l’irripetibilità dell’io diventi il luogo privilegiato dell’esistenza del noi.

È solo interiorizzandosi in ciascuna persona che i nuovi rapporti sociali di produzione (in gestazione, possibili, latenti), possono ambire di rimodellare in continuazione la struttura della coscienza alludendo a una trasformazione radicale dell’uomo sociale, collettivo, ricomposto nelle sue molteplici pratiche e dotato di una nuova spiritualità affrancata dalla superstizione religiosa. Naturalmente tutto questo non è gratis, non viene perché piace agli spiriti buoni. Questo progetto ha necessariamente bisogno di ridefinire la coscienza rivoluzionaria e la pratica della ribellione. Non sarà quindi declinando all’infinito la parola “libertà” o almanaccando sul tema della collettività astratta che gli uomini potranno inventare o ritrovare le inaspettate risorse della creatività, che potranno rimettere in gara l’intelligenza e la bellezza al posto del successo e della ricchezza. Ci sarà dunque bisogno di consapevolezza e di organizzazione della lotta senza escludere nulla.

Viceversa, non si supera l’attualità e l’illusione riformistica. L’ho già scritto innumerevoli volte ma giova ripeterlo: l’alternativa storica al capitalismo, è necessariamente, volent o nolent, il comunismo. Non può essere dato alcun significativo cambiamento in presenza di rapporti sociali di produzione capitalistici; all’uopo non bastano le vaghe idealità e quel pantano di genere robinsoniano, rousseauiano, evangelico, ecc..

Prendiamo la frase: “Attualmente il problema è collettivizzare il potere, dividerlo equamente, decentrarlo e far si che le sanzioni siano rieducative”. Attualmente? Il problema del potere e la sua gestione è vecchio come il cucco, più di Spartaco. E poi, che significa dividere equamente il potere? Di quale potere si parla, di quello politico o di quello economico? Forse il potere politico non è distribuito sulla base della rappresentanza democraticamente eletta? Se non fosse così, allora bastano delle riforme d’ordine elettorale o costituzionale. Il discorso ovviamente cambia per quanto riguarda il potere economico, ma allora s’è daccapo al punto di partenza.

E i diritti, su quale base concreta li determiniamo? Non basta dire “eguali possibilità per tutti” per mettere le cose a posto. Questo diritto è già sostanzialmente sancito in Costituzione – art. 3 – e sappiamo quanto è aleatorio. Un diritto uguale, lo sappiamo bene, può diventare un diritto disuguale per lavoro disuguale. Siamo perciò ancora sulla questione iniziale e non faremo un passo in avanti senza considerare la trasformazione dei rapporti sociali di produzione.

Ancora una nota, più in generale. Non basta dirsi anticapitalisti, perché tali si definiscono anche parecchi fascisti. Bisogna essere comunisti. E invece di filosofeggiare con Raul Vaneigem (il Trattato di saper vivere è un testo in uso anche in ambienti fascisti – difatti è pubblicato dalla Società editrice Barbarossa – , ciò non lo fa ovviamente un testo fascista, ma la cosa va segnalata tanto per dire della trasversalità di certi riferimenti), sarebbe più utile e produttivo leggere e rileggere Marx. Non è una lettura per il week-end o di una stagione, i suoi scritti non sono un romanzo sulle cattive abitudini del capitalismo e tantomeno un Baedeker per il comunismo, è lettura invece di una vita e merita di essere letto per ciò che c’è scritto e non per le leggende che se ne raccontano. Marx è un autore straordinariamente attuale, la sua opera il fondamento di ogni critica dei rapporti sociali di produzione capitalistici, una fonte inesauribile di esperienze e tesori di senso, perciò continuerà a essere un punto di riferimento imprescindibile per chi vuole capire il mondo per cambiarlo davvero.

9 commenti:

  1. Arrivati alla fine di questo post ineccepibile, il pensiero si sinceppa. La difficoltà sta nell'immaginarsi uno sviluppo diverso da quello che ebbe il cosiddetto socialismo reale all'inizio del XX secolo.
    E anche se un tale sviluppo fosse immaginabile, come può attuarsi quando la carne, il sangue e la mente del 98/% dell'umanità (sia ricca o povera, del Primo o Terzo Mondo, è indifferente) sono letteralmente impastati dallo spirito consumistico capitalista?
    Tanti milioni di persone hanno accesso a un benessere che, per quanto illusorio e in crisi, agli umani vissuti sul pianeta dagli albori della preistoria fino alla metà del XX secolo, non è stato nemmeno possibile immaginare.
    Questo benessere collettivo è in gran parte un epifenomeno del capitalismo, purtroppo (e sottolineo purtroppo). E' questo il grosso problema.
    Quando milioni di individui hanno persino il lusso di diventare obesi; quando la mentalità collettiva totalmente introiettata è individualista e edonista; quando la lobotomizzazione emotiva dell'umanità ha raggiunto massimi storici ineguagliabili, è difficile pensare di cambiare il mondo con vecchie logiche, per quanto ineccepibili.
    E' questo che mi blocca ogni volta che leggo di ritorno al comunismo. I tipi umani che lo desiderarono non esistono più. Sopravvivono solo alcuni esemplari, che non possono fare fronte comune.
    Come bambini incapaci di diventare adulti, gli umani di quest'epoca, alla scelta "socialismo o barbarie", sceglieranno la barbarie.

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    1. Caro Massimo, quanto è vero il tema che poni così bene.

      Sarebbe necessaria da parte mia una risposta molto articolata alle tue affermazione, ma per ovvie ragioni mi limito a scarabocchiare qualche cenno.

      L'umanità non è messa così come dici, è messa malissimo. Ieri citavo l’esempio della Spagna e mezz’ora fa parlavo con un’amica argentina e non mi ha detto cose tranquillizzanti. L’India, per citare un altro esempio, non è quello che viene raccontato oggi. Non parliamo poi dell’Africa. E anche negli Usa, nella loro opulenza, i salariati e disoccupati se la passano sempre peggio. E vediamo anche l’Italia che solo ora comincia avvertire gli effetti della crisi e che però s’inaspriranno. La storia si misura sul tempo lungo come ben sai, e la rivoluzione cui alludo per certi aspetti è già in moto. Ci sta pensando il capitalismo. Certo, non lascerà la scena dall’oggi al domani e non in modo incruento. È vero che le masse del terzo mondo aspirano al benessere del nostro piccolo mondo, il che è naturale. E tuttavia i nodi stanno venendo al pettine e francamente non sono ottimista. È una strada molto stretta quella che dobbiamo percorrere ma è una via obbligata, non ci sono scorciatoie.

      No, non si ripeteranno le esperienze del XX secolo, non almeno per quanto riguarda il comunismo. In definitiva non tutto il male è venuto per nuocere. Ricordiamoci cosa scrisse Marx: il comunismo non è uno stato di cose che deve essere instaurato, ma un movimento reale che abolisce lo stato di cose presente". Ciò non corrisponde, come scrivono gli idioti su Wikipedia, a un principio deterministico. E su quest’ultimo punto mi pare di aver detto più volte e anche recentemente:

      http://diciottobrumaio.blogspot.it/2013/01/i-penan-non-tagliano-piu.html

      saluti

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    2. Mi auguro che tu abbia ragione,Olympe. Me lo auguro veramente.
      Però non credo che al collasso del capitalismo possa subentrare un comunismo "sano". Vorrei tanto, credimi, essere ottimista, ma mi è difficile, visto come vanno le cose. Potrebbero, semmai, subentrare, feroci nazionalizzazioni, man mano che le risorse diminuiscono (in primis il petrolio). In pratica, sarebbe forse più possibile una specie di stalinismo post litteram in ogni singolo stato, che un comunismo consapevole.
      Ripeto ancora, desidero sbagliarmi, desidero essere ottimista, ma non vedo purtroppo i presupposti.
      E' pur vero che la storia, come la vita è imprevedibile.

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  2. Posto perfetto. Rimane da aggiungere solo una buona dose di ottimismo, fermo restando che comunque per uscire dalla mentalità capitalista ci vorrà tempo :)

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  3. quasi perfetto (anche perchè la perfezione non esiste). in questa cosidetta democrazia per quel che riguarda i diritti del popolo scritti nella costituzione, nelle leggi ecc. ecc., una cosa è averli de jure e altra è averli riconosciuti nella vita di ogni giorno, siamo in democrazia, bellissima! non esiste un potere economico e un potere politico: esiste il POTERE. i politici sono semplici impiegati del POTERE. non per nulla il POTERE si è dato polizia esercito servizio segreto ecc. ecc., tutto ciò è roba sua. è chiaro, e mi fa piacere immenso, leggere che dobbiamo cambiare radicalmente il modo di produzione, trasformandolo da capitalistico in sociale. che "base politica", detto molto in generale, si deve organizare per dare il via alla svolta? come si fa a prendere nelle proprie mani i mezzi di produzione?
    franco valdes, piccolo proletario di provincia

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  4. "Nondimeno, per noi comunisti..... alla storia, laddove l’irripetibilità dell’io diventi il luogo privilegiato dell’esistenza del noi."

    E' una bella frase, ma contiene una dialettica che è difficile da governare,che vorrei precisare a modo mio

    L' uomo comunista io non lo voglio, voglio l'uomo e basta, e il paventare uno sviluppo concettualmente mutuato dall' evoluzionismo scientifico mi crea qualche problema

    preferisco di molto dove Marx, sognando una cosa, ci ricorda che non c'è una linea retta tra il passato e il futuro, ma da realizzare gli antichi pensieri

    dire "uomo comunista" dice che c'è una incompatibilità ontologica tra l'uomo umano e il capitalismo, ma non vorrei mai che da questo se ne deduca che sia possibile ridefinire l'uomo in senso comunista

    da

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    1. uomo comunista? non è quello dei manifesti sovietici, purtroppo è difficile liberarci di certi stereotipi del XX sec.
      l'uomo e basta è un'astrazione idealistica
      l'uomo è un essere sociale ed è definito dall'ambiente sociale in cui vive, è comunista perché sperimenta la forma sociale più avanzata
      costruzione del comunismo e costruzione dei comunisti non sono due processi separati. Il lavoro ha prodotto l'uomo e il lavoro, nel capitalismo, lo ha scomposto in molteplici figure estranee, reificate e contrapposte.
      liquidare la divisione del lavoro ereditata dal capitalismo non solo è possibile, ma è una condizione necessaria. la creazione dell'uomo comunista fa parte della rimodellazione delle forze produttive, della tecnica e della scienza entro il nuovo quadro di razionalità fondato sulla liberazione del lavoro. l'uomo libero è perciò l'uomo libero da questa schiavitù, la liberazione da questa schiavitù del lavoro capitalistico è il comunismo

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  5. presupporre una ricostruzione antropologica su base politica è in fondo il gioco delle classi dominanti

    i comunisti fanno politica (che è sempre economia-politica) senza che questo sia l' orizzonte ultimo

    certo che faccio dell' idealismo, lo rivendico, proprio perchè mi consiglio spesso con il tedesco

    comunque il post mi piace se non ti disturba lo ribloggo

    da

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    1. non presupporre una ricostruzione antropologica su base politica, tutt'altro. parlo appunto, insistendo, di rapporti di produzione

      tutto il rispetto per il tedesco, il quale però vede il mondo a testa in giù

      nessun disturbo, anzi

      grazie per l'attenzione

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