Ieri guardavo un vecchio documentario alla tivù sulla
vicenda dei Penan, una popolazione del Borneo quasi estinta soprattutto a causa
del disboscamento operato dalle multinazionali del legno con l’accordo del
governo indonesiano i cui membri sono quasi tutti azionisti delle compagnie di
sfruttamento. I Penan vivono in piccole comunità di famiglie monogamiche,
discendenti dei famosi e mitici tagliatori di teste dei quali raccontava
Salgàri. Oggi, purtroppo, hanno cessato tale attività, proprio nel momento nel
quale maggiore sarebbe il bisogno. Non conoscono – così diceva il documentario –
cosa sia la violenza, il furto, la truffa e altre piacevolezze simili. L’unico
“crimine” di cui sono a conoscenza è costituito da rari casi di avarizia.
L’avaro è però considerato semplicemente come una persona stupida. Non per nulla essi non
conoscono la parola “grazie”, poiché ogni bene è diviso in comune, a cominciare
dal cibo.
Sempre ieri
leggevo, per contro, la notizia che i 100 individui più ricchi del mondo chiudono il
2012 con una ricchezza in crescita di 241 miliardi di dollari, nonostante la
crisi, a quota 1.900 miliardi di dollari. Interessa chi ha guadagnato di più? Amancio
Ortega, fondatore del retailer Inditex, conosciuto per il marchio Zara, con un
patrimonio in ascesa di oltre 22 miliardi nell'arco di 12 mesi a quota 57,5
miliardi. A livello di patrimonio, Ortega si colloca solo al terzo posto dopo
Carlos Slim, magnate delle tlc con America Movil, che si conferma l'uomo più
ricco con 75,2 miliardi di dollari (+21,6% rispetto al 2011, pari a 13,4
miliardi) e Bill Gates (62,7
miliardi), in seconda posizione con un patrimonio in salita di 7 miliardi. Al
quarto e quinto posto vi sono rispettivamente Warrent Buffett, guru della
finanza americana, con un patrimonio sotto i 50 miliardi ma in crescita di 5,1
mld nel 2012 e il patron di Ikea, quello dei "mobili" di legno che non riesci a montare.
Da notare che Bloomberg sottolinea
le buone performance degli indici: nel 2012 l'indice Msci globale ha guadagnato
il 13,2%, l'S&P500 Usa il 13,4% e lo Stoxx Europe 600 il 14,4% (+19,6% dal
4 giugno), migliore perfomance dal 2009 grazie
al programma di acquisto Bond della Bce, all'upgrade del debito greco da parte
di S&P e all'incremento oltre le attese della fiducia tedesca. Capito?
L’unico valore sacro di questa società è il profitto,
l’imperativo assoluto al quale ci si richiama è la produttività senza un perché
che non sia appunto la valorizzazione del capitale. Questo è un fatto al quale
siamo soliti far seguire dei giudizi morali, ma non è per le sue palesi iniquità
che il sistema è in crisi e non saranno le nostre considerazioni etiche che faranno
cambiar strada al capitalismo e infine ne segneranno il destino.
Sappiamo bene qual è la contraddizione fondamentale che sta
alla base di questo sistema economico e quali leggi di movimento e sviluppo
essa determini, così come sono note le misure antagoniste adottate per farvi
fronte e come esse si esprimano in modo altrettanto contradditorio. Il
tentativo di ridurre sempre più con vari mezzi la parte variabile (salario) del
capitale in rapporto a quella costante, determina infine un inasprimento della
tendenza alla caduta del profitto invece di contrastarla. Ma non tutti la
pensano così:
«Marx crede di poter inferire l’esistenza di una “legge tendenziale
del saggio di profitto”. Ciò
avvalorerebbe l’idea marxiana (sconfessata però dalla storia del Novecento) che
vuole il capitalismo in esaurimento per progressiva carenza del suo ingrediente
principale: il profitto».
Sconfessata un cazzo (*). Questa
tendenza, sia pure espressa nei termini della falsa coscienza borghese ossia
nelle frasi ideologiche di scongiuro dei vari lacchè, è l’argomento e la
preoccupazione permanente dei capitalisti e dei loro funzionari.
Come può il movimento crescente del profitto (che
indubbiamente c’è, come si vede dai dati) dar luogo alla crisi per “esaurimento
del suo ingrediente principale”? Bella domanda, a cui Marx ha risposto scientificamente. Cerco di
riassumere: il plusvalore, se da un lato è in grado di valorizzare una
parte del capitale esistente, dall’altro è però insufficiente a
valorizzare l’intero capitale, e nella realtà concreta, storica,
per tale motivo s’inaspriscono la concorrenza e la pressione contro la classe
operaia per la riduzione dei salari e l’aumento dei ritmi di lavoro, la
concentrazione, la centralizzazione e la delocalizzazione delle attività produttive
in aree a più alto saggio di sfruttamento, la piena liberalizzazione del
mercato dei capitali da un lato e dall’altro la formazione di mega-monopoli, il
ruolo preponderante della finanza negli assetti proprietari, la divisione tra
proprietà e controllo, insomma la fase più alta dell’imperialismo che oggi
chiamano globalizzazione. Senza rendere conto di questi fenomeni che senso ha
“ripartire da Marx”?
A questa tendenza del saggio del profitto in caduta, corrispondono
delle controtendenze indagate dallo stesso Marx. Esse non sono elementi
introdotti dall’esterno nel modello, ma elementi propri del modello: sono gli
“anelli di congiunzione” che consentono l’ascesa dal piano della teoria a
quello della storia. Non dimentichiamo che il modello marxiano è fondato sulla
dialettica e solo su tale base è possibile trarne una sua corretta
interpretazione.
Uno dei principali fattori di controtendenza è costituito dall’intervento
massiccio dello Stato nell’economia attraverso la spesa pubblica, ma esso presenta
poi quei gravi problemi di equilibrio dei conti pubblici che ben conosciamo,
tanto che i livelli insostenibili dell’indebitamento pubblico attuale non
permettono più, come in passato, agli Stati di intervenire adeguatamente a
sostegno della domanda e anzi le politiche fiscali recessive adottate per
rientrare dal debito sono una
delle cause del prolungarsi della crisi così come uno dei pretesti per il
taglio del welfare.
Ciò che sta avvenendo sotto i nostri occhi è perciò l’opposto
di quanto avvenne negli anni Trenta del Novecento quando l’intervento statale e
poi la guerra mondiale permisero di superare la fase più acuta – non solo negli Usa – della Grande Depressione.
Nel dopoguerra, poi, l’innescarsi di alcune particolari condizioni favorirono i
consumi di massa (basti citare la diffusione dell’automobile e degli
elettrodomestici), mentre il Piano di ricostruzione europea (ERP) promosse un
massiccio investimento per la realizzazione di grandi opere infrastrutturali e
non mancò il mantenimento di un elevato livello di spesa militare, quindi
l’adozione di un articolato e diffuso sistema di previdenza e assistenza
sociale.
Tuttavia l’esperienza storica ha mostrato che il superamento
delle crisi rappresenta solo una temporanea e sempre più faticosa ripresa
del sistema nell’approssimarsi del limite in cui il processo si arresta. Questa
tendenza, quale “tendenza oggettiva di fondo” del capitalismo, non è “un’idea
marxiana sconfessata dalla storia del Novecento”, ma una realtà quotidiana
divenuta persino luogo comune e che solo un approccio a-scientifico e
ideologico può negare.
Trova piuttosto conferma nella crisi il fatto che il sistema
capitalistico, lasciato alla sua spontaneità, non tende all’equilibrio – come
invece postulano gli insulsi –, ma allo squilibrio dei vari fattori a causa
della crescente divaricazione tra domanda e offerta. Per contro, su un’altra
sponda della stessa barricata ideologica, i keynesiani pongono all’origine di
tale divaricazione una legge psicologica che chiamano “diminuzione della
propensione al consumo”. Costoro, prendendo atto di una contraddizione reale ma
impossibilitati, per la loro posizione di classe, a individuarne le vere cause
della crisi, non possono far altro che arrampicarsi sugli specchi della
psicologia sociale borghese, facendo perdere alla contraddizione il suo
carattere capitalistico effettivo per assumerne uno di tipo soggettivo.
Il limite che segna
l’arresto dell’accumulazione e, di conseguenza, il destino del modo di
produzione capitalistico, nella realtà concreta non
coincide con il “crollo spontaneo” o automatico del
capitalismo. E non solo perché l’istante limite del modello è un istante logico e non immediatamente storico,
ma anche perché il movimento reale è più complesso, multiforme e variegato del
movimento concettuale che ne riflette le leggi, tanto è vero – come dice Lenin
– che “il fenomeno è più ricco della legge”.
La crisi generale-storica che investe il modo di produzione
capitalistico nella sua totalità,
mano a mano che aumentano le difficoltà di valorizzazione,
acutizza sempre più le tensioni sociali creando una situazione oggettivamente
rivoluzionaria. Quali saranno i modi e le forme per l’eventuale intervento
attivo e organizzato dello scontro di classe, solo il tempo lo dirà; comunque non
c’è da nutrire eccessiva fiducia e c’è anzi da temere un’involuzione di tipo
sempre più autoritario. Ciò che non va trascurato è anche un altro aspetto della
crisi, di ordine più generale e geopolitico, laddove sulla scacchiera
internazionale aumentano gli attriti per il controllo strategico dei fattori
economici fondamentali. Ma la drammaticità e cogenza di tale aspetto spesso sfugge poiché viviamo in una situazione comunicativa, soprattutto in Italia, dove la realtà è percepita prevalentemente
attraverso il racconto selezionato e sensazionalistico, cioè di breve
momento, dei media e quindi con un sostanziale distaccato dai problemi che ci
coinvolgono con il resto del mondo.
(*) Diego Fusaro, Bentornato Marx, Bompiani, p. 285. Da notare
che i manipolatori professionali omettono spesso di dire che la legge scoperta
da Marx riguarda la “tendenza”, la qual cosa non è senza motivo e conseguenza.
I Penan non conservavano le teste dei nemici,questa consuetudine era tipica dei Dayak che vivono più giù di loro nel corso del fiume Baram.Se ti fermi lì i vecchietti coi denti salgarianamente rossi di succo di betel ti offrono il the, le loro longhouses hanno tv e motorini.Più su, verso il percorso obbligato del Mount Moulu Park c'è il territorio malaysiano dei Penan, tutt'ora off-limits per le proteste. Sono nomadi via via costretti alla stanzializzazione forzata. Il progetto del governo prevede,finita la distruzione della foresta di Dipterocarpe, la più antica del mondo(sono ad un bel 75%, lavorando, arrestando e violentando dai primi '80), la monocoltura estensiva di palma da olio.La foresta viene spianata per la costruzione in prevalenza di pallets per il mercato giapponese/east asian e mobili economici.Il business è importante,tanto da esprimere più volte la presidenza del consiglio in Malaysia.Su sollecitazione del WWF l'UE espresse nel 1989 una mozione di protesta con la quale hanno risparmiato sulla carta igienica.Parte della documentazione video l'ho fornita io, col che ho chiuso la mia carriera di etnogiornalista: non serve a un cazzo. Il cuore della tenebra è qui.
RispondiEliminaGrazie per averli ricordati.
Franz
vedi un po' quanto è piccolo il mondo
EliminaSì,eh! A Cà Foscari c'era un rustego di IV categoria sul pelo dell'acqua dove il vino costava 600 lire.Si mangiava salame e uova sode.Intendi questo o forse che il capitalismo se lo mangia in un boccone(Il mondo,mica il salame)? Poveri noi non serve nemmeno andare a farsi ammazzare,che non si riesce a far del bene lo stesso.Ho rischiato di finire impiccato per l'anima del cazzo.Una pura e semplice questione di numeri,that's the matter.Siamo troppo pochi.
EliminaF(Zth)