Sarà il 2013 un anno di svolta dell’economia non solo per
le elezioni in Italia e in Germania ma anche perché ci si renderà conto che continuando
per questa strada si finisce per segare l’albero nel quale si è seduti? Ne
dubito. La crisi si sta avvitando su se stessa e chi è chiamato a prendere
decisioni non è in grado di farlo sia per incomprensione effettiva dei problemi
nella loro vera radice e sia per oggettiva impotenza, l’una determinata dalla
collocazione di classe dei soggetti responsabili e l’altra dalla natura stessa
del sistema economico.
Non bisogna sopravvalutare la competenza di chi nella sfera
politica è chiamato a decidere ed agire, in quanto costoro fraintendono in
massima parte i meccanismi interni della crisi, le contraddizioni che stanno
alla base del fallimento del sistema. Essi si ostinano a seguire dottrine che non
hanno lo scopo dichiarato di sviluppare l’economia e il benessere, bensì quello
esclusivo di incrementare i profitti. Parlano altresì di sostenibilità ma non
si curano dei danni sociali e ambientali che producono le multinazionali.
Fino a qualche decennio or sono vi era,
anche da parte della classe dirigente politica ed economica, la
consapevolezza che un paese non potesse svilupparsi e progredire senza delle
misure di contenimento e controllo del mercato che altrimenti diventa – lasciato completamente
libero di agire – elemento disgregativo e oppressore anziché propulsivo e liberatorio, tanto per utilizzare
una certa terminologia. Pur con tutti i limiti pratici e teorici, tale
approccio mirava a organizzare la società in modo che le disuguaglianze fossero
attenuate da politiche inclusive e partecipative sul solco, per esempio, del
dettato dell’art. 3 della Costituzione italiana: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico
e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione
di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del
Paese”.
Con ciò si riconosceva – almeno in linea di
principio – che “di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini” erano
limitate da “ostacoli di ordine economico e sociale”, ossia a causa delle ineguaglianze e discriminazioni di classe. Di conseguenza si demandava alle istituzioni statali
e politiche il compito di promuovere un clima di collaborazione tra le classi che
favorisse la pace sociale e quindi lo sviluppo economico e la ricostruzione. Nella
realtà italiana tale processo si scontrò con decise resistenze, tuttavia taluni
obiettivi furono perseguiti e in parte anche raggiunti soprattutto per effetto delle lotte
molto dure della classe operaia e di quella contadina. Furono realizzate alcune
riforme e conseguito un certo miglioramento delle condizioni di vita e
di lavoro, un adeguamento dei redditi distribuito assai inegualmente e uno
sviluppo economico che andrebbe indagato anche sulla base dei suoi costi – non
solo sociali – effettivi.
E però tali cambiamenti non incisero a fondo sulle vecchie strutture di potere e sulle forme del suo
esercizio. Proprio nel frangente più duro delle lotte operaie e studentesche
degli anni Sessanta, volte a realizzare nelle intenzioni cambiamenti radicali della
società, della fabbrica e di riforma dell’istruzione, gli apparati dello Stato,
coadiuvati dalla Nato e utilizzando bande fasciste, risposero agli scioperi operai
e alla protesta studentesca con le bombe e le stragi. È in seguito a questi
avvenimenti drammatici, carichi di tensione e di preoccupazione per la stabilità
democratica che nascono i primi gruppi di lotta armata.
Gli anni Settanta sono anche quelli della prima
grande crisi capitalistica del dopoguerra e dei grandi processi di
ristrutturazione industriale. Se pure di una crisi classica si tratta, essa
mostra però nuove forme che la differenziano per molti aspetti dalle
precedenti. La principale e più appariscente fu la stagflazione, vale a dire l’intreccio tra stagnazione economica e
inflazione. È in tale quadro – per dirla molto in breve – che lo Stato
interviene massicciamente su più fronti, sia per contrastare il progressivo
rallentamento dell’attività economica e sia per contrastare – con ampie misure
di spesa sociale – il crescente consenso di ampi strati sociali per le
organizzazioni comuniste di lotta armata.
La lotta armata scontava forti contraddizioni
interne e oggettiva mancanza di prospettiva. Con la sua sconfitta sul piano militare (con l’impiego
di forze speciali, della tortura e l’eliminazione fisica dei “terroristi”, ma
anche con la propaganda e la falsificazione, quindi con la collaborazione dei
partiti e dei sindacati), terminava un’epoca e se ne apriva un’altra. Una nuova
epoca anche dal punto di vista degli equilibri strategici capitalistici e delle
dottrine economiche di accompagno, quindi di nuove relazioni internazionali
basate su accordi nel settore monetario e del credito ma soprattutto con trattati che permettono la libera circolazione dei capitali a livello globale e lo
sfruttamento senza limiti e controlli delle “occasioni” più favorevoli.
Tutto ciò non ha però eliminato le contraddizioni
di base del modo di produzione capitalistico, anzitutto l’agire della legge fondamentale
dello sviluppo capitalistico, la caduta del saggio generale del profitto, scoperta da Marx, la quale determina la necessità della crisi. In
controtendenza il capitale cerca una compensazione mediante
l’allargamento del campo esterno della produzione, ma all’interno dell’area
investita dalla crisi di sovrapproduzione assoluta si ha una crisi generale
della struttura produttiva e creditizia che è sotto gli occhi di tutti. Scrive
Marx: “a partire da questo momento il medesimo
circolo vizioso verrebbe ripetuto con mezzi di produzione più
considerevoli, con un mercato più esteso e con una forza produttiva più
elevata”. In tal modo le contraddizioni si universalizzano e s’inaspriscono
ulteriormente e la caduta del saggio
del profitto diventa sempre più rapida, le crisi sempre più distruttive e
generalizzate.
Consiglio ai lettori di questo blog, a proposito della caduta tendenziale del saggio di profitto:
RispondiEliminawwwdata.unibg.it/dati/persone/46/3907.pdf
Franco