Hanno detto di lui che era un rivoluzionario d'altri tempi.
Per via della continuità con la tradizione comunista insurrezionalista,
coltivata a Reggio Emilia, la sua città (però lui abitava nel contado). Hanno
detto che era stalinista e che non avrebbe esitato a far fuori un sovversivo
tipo '77, presumibilmente «creativo» e fricchettone oppure sostenitore
dell'operaio sociale e del non-lavoro, se gliel'avessero chiesto. Sicuri?
Qualcuno davvero gli ha fatto domande su questi argomenti, prima, durante e dopo
la sua avventura con le Br? Soprattutto durante. Perché è innegabile la sua
crescita politica all'ombra delle grandi narrazioni resistenziali e comuniste,
ma è anche innegabile il suo ingresso nella lotta rivoluzionaria armata nel
crogiuolo delle nuove lotte e delle nuove culture sessantottesche e oltre.
Prospero Gallinari deve aver contattato tanti generi di persone dopo il '68. E quel che è certo è che senza la grande ondata di quegli anni, senza le sfaccettature, con tante impronte libertarie ben visibili, di quegli anni, non gli sarebbe venuto in mente di colpire, armi in pugno, il «cuore dello stato». Adesso è qui, in una bara avvolta in un drappo rosso con falce e martello. Tra qualche giorno sarà in un'urna di ceneri che non saranno disperse al vento come quelle del padre dell'operaio edile di Riff Raff di Ken Loach, ma tumulate nella tomba di famiglia. Nel cimitero di Coviolo, frazione di Reggio, il rito dell'ultimo saluto è sì, forse, di quelli d'altri tempi. Come quando si accompagnavano i morti di Reggio Emilia nel 1960, quelli che Fausto Amodei chiamava a «uscire dalla fossa», e i morti giovani, di anni dopo, gli anni dell'Orda d'oro, come l'hanno intitolata Nanni Balestrini e Primo Moroni, studenti del Ms come Roberto Franceschi, anarchici come Franco Serantini.
Saluto a pugno chiuso. Ebbene sì. Si può persino essere imbarazzati, si può
pensare che va evitata ogni retorica. Ma volevate non esserci a questo funerale
di un combattente per la rivoluzione? Volevate risparmiare quelle lacrime che
inevitabilmente a un certo punto vi scendono lungo le gote? Succede, per
esempio, quando uno dei suoi compagni legge un ricordo collettivo: «... ti
rasserenava al termine di ogni discussione... la sensazione di aver ricevuto
qualcosa e la convinzione che il Gallo avesse preso qualcosa...». È un convegno
brigatista questa cerimonia così fervida e così laica? Ce ne sono tanti dei
compagni d'arme (e stavolta non è un modo di dire) di Gallinari, anche quelli
che si trovarono in dissenso con lui. Curcio, Balzerani, Senzani, Fiore,
Seghetti. Storie e destini diversi dai suoi, qualcuno più tormentato rispetto a
lui che, semplicemente, nel 1988 aveva firmato un documento in cui si
riconosceva finita e sconfitta la lotta armata. E dopo aveva vissuto sereno,
per quel che può esserlo un uomo mitragliato alla testa e scampato a vari
infarti.
Ma c'è tanta gente qui al cimitero di Coviolo. Almeno un migliaio di
persone. Non tutti ex brigatisti. Ci sono vecchi e giovani, amici del posto,
ragazzi dei centri sociali, militanti della sinistra senza paraocchi venuti da
vicino e da lontano. Solo un piccolo striscione rosso: «La rivoluzione è un
fiore che non muore». Clima teso, tremendo, come in Germania in autunno, ultimo
episodio di quel film a dieci firme, Fassbinder, SchlSchlöndorff, Kluge, Reitz
tra gli altri, i funerali di Andreas Baader, Gudrun Ensslin e Irmgard Möller, i
tre «suicidi» di Stammeim? Ma no. Gli agenti della Digos si tengono a distanza,
gironzolano, occhieggiano. Gli amici e i compagni di Prospero si raccolgono tranquilli
e commossi a commemorarlo. Ognuno a modo suo, chi in forma epigrammatica chi
con piccoli comizi. Tonino Paroli: «Non chiamateci terroristi, non lo siamo mai
stati». Oreste Scalzone: «Prospero sentiva l'appartenenza ma non come un
Rodomonte». Sante Notarnicola: «Vorrei ricordare la generazione degli anni '50
e '60, la più pura, la più infelice, la più cara». Facce segnate dal tempo e da
delusioni cocenti? Se si vuole, sì. Ma dove non si trovano in giro per le
città? Per un amore perduto, per un flirt finito male. E la rivoluzione è un
amore grande, un flirt potentissimo. Sempre a cercare, noi, che finisca meglio.
Mario Gamba per il manifesto
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