Venerdì, un tribunale russo ha comminato altri 19 anni alla pena detentiva di Alexei Navalny, che in Occidente è il più noto critico del presidente russo Vladimir Putin. La sua precedente condanna era basata su accuse di corruzione e oltraggio alla corte, l’ultima sentenza era basata su accuse di “estremismo”.
Navalny dovrà scontare la pena detentiva in una colonia penale di massima sicurezza, riducendo quasi a zero la sua capacità di comunicare con il mondo esterno. Finora Navalny aveva potuto continuare a postare commenti politici sul suo canale Telegram dal carcere. Il pubblico così come i suoi familiari non hanno potuto assistere al processo.
Questo tipo di vergognosi processi ricordano gli anni più bui dell’Unione Sovietica. Tuttavia non ci si può accodare alle ipocrite proteste di Washington e Bruxelles, che hanno perseguitato e incarcerato illegalmente il giornalista australiano Julian Assange, le cui condizioni di detenzione equivalgono a sistematiche torture fisiche e psicologiche.
Restando ferma e incondizionata la condanna per il trattamento ingiusto e brutale riservato a Navalny, tuttavia non va dimenticato chi è realmente questo oppositore e chi si cela dietro di lui. Contrariamente alla rappresentazione nei media occidentali, che ne hanno costruito il personaggio, Navalny non è né un democratico né un critico genuino del regime di Putin. La storia politica di Navalny è segnata soprattutto dalla sua associazione con forze ultranazionaliste in Russia e sostenitori non disinteressati negli Stati Uniti e altrove.
Apparteneva a uno strato rapace e spericolato di arrampicatori sociali che cercavano di trarre vantaggio dalla situazione venutasi a creare in Russia nel 1991. È stato coinvolto in politica dopo che i suoi sforzi nel settore bancario e immobiliare erano in gran parte falliti. In una prima intervista, aveva espresso le sue opinioni social-darwiniste, affermando di essere favorevole a un’economia di mercato nella forma più spietata: “i più forti sopravvivono, il resto è semplicemente superfluo”.
All’epoca era un co-organizzatore delle “Marche russe” di estrema destra e aveva pubblicato video in cui le popolazioni del Caucaso settentrionale erano definiti come “scarafaggi”. Navalny ha anche ripetutamente chiesto un ridisegno dei confini della Russia, senza il Caucaso settentrionale a maggioranza musulmana.
Il fatto che Navalny sia chiaramente un estremista non giustifica un processo rivolto principalmente contro le sue posizioni politiche. C’è però da rilevare che questi processi con pene detentive sempre più draconiane, come quelli contro altri personaggi (tipo Vladimir Kara-Murza), nascondono un’altra realtà.
L’opposizione di personaggi come l’economista Sergei Guriev, ex consigliere dell’ex presidente Dmitry Medvedev, l’ex banchiere Vladimir Ashurkov, ora figura di spicco del Fondo pro Navalny, entrambi fuggiti da tempo dal Paese, oppure altri come Mikhail Khodorkovsky, Boris Kagarlitsky ecc., rivela che in Russia è in atto un conflitto tra fazioni che cercano di destabilizzare e anche di disgregare il paese per assecondare i propri interessi economici nello sfruttamento delle materie prime e delle risorse del Paese. Adombrare che dietro a questi personaggi vi siano personalità locali di spicco e l’interessamento di Washington e della Nato, non è fantasia.
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