Sta riprendendo forza la fola secondo cui una banca centrale nazionale può stampare cartamoneta a go-go. La tipografia magica che risolve tutti i problemi, a cominciare da quelli strutturali (e, per finire, quelli politici).
È vero che una banca centrale creando denaro crea potere d’acquisto aggiuntivo, ma quando un aumento dell’offerta di moneta supera significativamente la crescita della produzione di beni e servizi, ciò provoca inflazione, ossia un deterioramento del valore e del potere d’acquisto della moneta.
Basta porre mente a quanto successe nei primi anni della repubblica di Weimar per rendersi conto che, prima o poi, i sogni e le menzogne impattano violentemente con la realtà. L’origine dell’inflazione tedesca fu il finanziamento della prima guerra mondiale, che costò alla Germania più della metà del prodotto nazionale.
Il governo tedesco utilizzò due forme di finanziamento, il credito e la tassazione, ricorrendo però molto più al credito che all’aumento della tassazione, misura abbastanza regolare ma impopolare. Le somme che non arrivavano sotto forma di tasse dovevano essere prese in prestito. Per questo, il governo dell’Impero emise prestiti statali, ossia titoli fruttiferi di interessi annuali che devono essere riscattati dal governo dopo qualche anno.
Durante i primi due anni di guerra, i tedeschi si dimostrarono abbastanza disposti ad acquisire questi prestiti statali, quindi il governo inizialmente non ebbe bisogno di aumentare le tasse. Dalla metà del 1916 questo entusiasmo scemò rapidamente e con esso si affievoliva anche la disponibilità a prestare denaro allo Stato per la condotta della guerra.
Da quel momento in poi la vendita dei prestiti statali non fu più sufficiente rispetto alle esigenze del governo, per cui ricorse sempre più spesso a farsi prestare denaro dalla banca centrale, la banca di emissione, la Reichsbank. Tuttavia, le banche centrali in realtà non hanno una propria forza finanziaria di prestatori, possiedono invece un’altra prerogativa: possono creare nuova liquidità e potere d’acquisto aggiuntivo.
Il risultato del finanziamento della guerra, che la repubblica di Weimar ereditò dall’Impero e che dovette assumersi, consta dunque principalmente di debiti giganteschi contratti o con banche di investimento, imprese e famiglie o con la banca centrale, debiti che generavano interessi e che dovevano essere rimborsati dalla fine della guerra; dall’altro, un’offerta di moneta pari a tre volte il suo livello prebellico.
L’aumento del costo delle merci e il disavanzo della bilancia commerciale, combinati con un massiccio aumento dell’offerta di moneta, crearono le condizioni perfette per l’iperinflazione.
Quando in un’economia nazionale si ha tre volte più denaro di prima, ma si produce un terzo in meno, c’è da aspettarsi un forte aumento dei prezzi. Infatti, a fronte di un aumento del potere nominale d’acquisto, il mercato offre una quantità ridotta di merci.
Ed è appunto ciò che accadde nel primo dopoguerra, poiché la banca centrale tedesca continuò a emettere cartamoneta. Talmente in fretta che a un certo punto stampava le banconote (Papiermark) anche di notte e solo da un lato, con un valore facciale di miliardi. L’inflazione raggiunse punte del 662,6% annuo, nel novembre 1923 un dollaro equivaleva a centinaia di miliardi di marchi.
Bisogna tener conto che la guerra aveva lasciato 1,5 milioni di invalidi e 2,5 milioni di familiari di soldati morti, che chiedevano di essere sostenuti dallo Stato. Il reinserimento dei soldati sopravvissuti nel processo produttivo causò una notevole disoccupazione, e i disoccupati attendevano a loro volta di essere aiutati. La principale fonte di inflazione diventava l’indebitamento permanente dello Stato.
Le massaie per acquistare un chilo di pane dovevano pagare con pacchi di banconote per un importo fino a 400 miliardi di marchi. I disoccupati inglesi prendevano il traghetto per Amburgo dove con qualche sterlina potevano alloggiare e mangiare a lungo nei più grandi alberghi della città. Gli agricoltori si rifiutavano di vendere i loro prodotti per denaro senza valore, scoppiarono rivolte per il cibo e la gente della città marciava nelle campagne per saccheggiare le fattorie.
A quel punto le persone avevano smesso da tempo di contare in valore monetario e le banconote venivano sempre più rifiutate come mezzo di pagamento. La Germania era tornata allo stadio di una primitiva economia del baratto.
Che cosa ha continuato ad alimentare l’inflazione in Germania? In linea di principio e soprattutto gli stessi motivi che l’avevano innescata: la banca centrale, sia dopo l’armistizio, sia dopo la caduta dell’Impero e dopo la fondazione della repubblica, continuava a un ritmo sempre crescente a fornire al governo banconote nuove di zecca.
Come si pervenne alla stabilizzazione della moneta tedesca? Nel 1924 il Papiermark fu sostituito con il Rentenmark, una valuta temporanea sostenuta dalla riserva aurea degli Stati Uniti, cui fece seguito il Reichsmark. La moneta tedesca fu “agganciata” a un cambio realistico con il dollaro (il Reichsmark oro a 4,20 per dollaro era sopravvalutato); inoltre la J.P. Morgan fece la sua parte promuovendo un entusiastico voto di fiducia da parte di Wall Street, con un immediato prestito di 100 milioni di dollari (di allora). Furono bloccati da parte statunitense i trasferimenti dei rimborsi di guerra se avessero messo in pericolo la stabilità della moneta tedesca. Le istanze dei creditori di guerra europei vennero in tal modo relegate a pretese di secondo livello sulle finanze della Germania. Ciò avveniva – scrive Adam Tooze nel suo Il prezzo dello sterminio – “mentre il congresso degli Stati Uniti pretendeva il massimo rimborso possibile dei debiti interalleati nei confronti dell’America”.
L’alto differenziale dei tassi d’interesse tra gli Stati Uniti e la Germania fece il resto. Tra ottobre 1925 e la fine del 1928, l’afflusso di capitali esteri fu così ingente che la Germania poté adempiere ai rimborsi di guerra senza nemmeno dover conseguire un avanzo della bilancia commerciale.
Hitler nelle birrerie aveva tutto interesse a raccontare un’altra storia, sia in riferimento alle riparazioni e su molte altre questioni. Non aveva alcuna chance di successo. Poi venne la crisi del 1929 e la situazione cambiò in suo favore. Hitler non è salito al potere solo a causa della crisi economica, ma senza la crisi economica non sarebbe salito al potere.
Dopo la caduta della Germania nazista, la fine della seconda guerra mondiale in Europa e la costituzione di zone di occupazione della Germania, il Reichsmark continuò ad avere corso legale nella zona d’occupazione sovietica, con un travaso massiccio di valuta dall’ovest, dove non aveva più valore, all’est: questo fenomeno causò un’improvvisa inflazione che rese le riserve private di banconote praticamente senza valore in pochissimo tempo. Un regalo velenoso degli ex alleati della Russia a Stalin.
Considerazioni. La realtà non è così semplice, né così completa. I fenomeni storici raramente lo sono; in generale sono piuttosto complessi e quindi ambigui. L’inflazione tedesca dopo la prima guerra mondiale ne è un esempio.
Quando è nata la Repubblica, non si trattava solo di impedire l’inflazione. Questo è certamente abbastanza difficile, ma fattibile, a costi economici, sociali e politici relativamente contenuti. In questo caso si trattava piuttosto di porre fine a un’inflazione già ben avviata. È farla terminare bruscamente che avrebbe generato costi economici, sociali e politici elevatissimi, in definitiva superiori a quelli indotti dall’inflazione stessa.
In linea teorica, un nuovo massiccio indebitamento dello Stato avrebbe potuto essere evitato. In due modi: da un lato con drastici aumenti delle tasse, dall’altro con una altrettanto drastica riduzione della spesa pubblica, affidando anche allo Stato il compito di stabilire i salari. Borghesi e proprietari rendevano semplicemente impossibile aumentare le tasse nella misura necessaria; in un periodo di disordini sociali e politici, era altrettanto impossibile mantenere sotto controllo i salari.
Nessun governo cercò o ebbe la forza di tagliare la spesa, di aumentare la tassazione, di bloccare gli automatismi salariali e tariffari. Un’economia abituata a ottenere denaro facilmente ed a buon mercato – come allora in Germania – risente dell’improvviso prosciugamento di questo denaro. Nel 1920, quando gli Stati Uniti, l’Inghilterra e la Francia controllarono la loro inflazione, lo fecero a costo di un forte calo della produzione e di un forte aumento della disoccupazione. Ma, in questi paesi, la democrazia era ben consolidata, quindi potevano sostenere questa strategia politicamente. Non fu così in Germania e in Italia.
Inoltre, Inghilterra e Francia non avrebbero accettato senza reagire la sospensione del pagamento delle riparazioni. Avrebbero mantenuto le loro richieste e avrebbero occupato parte del paese in caso di inadempienza. È possibile che il Reich si sarebbe disgregato, laddove c’erano già forti velleità separatiste.
I gravissimi disagi e le difficoltà economiche e sociali dell’inflazione postbellica furono il prezzo da pagare per la sopravvivenza del sistema democratico e l’unità del Reich tedesco nei primi anni della Repubblica.
Il perdurare dell’inflazione ha permesso alla giovane democrazia tedesca di sopravvivere inizialmente, ma, allo stesso tempo, ha avuto un’influenza prolungata e dannosa sulla sua sopravvivenza a medio termine, poiché si ritenne il sistema democratico il responsabile dell’inflazione e l’aver derubato ampi strati della popolazione costringendola in miseria.
Quando fu il momento della Grande Depressione degli anni Trenta (in Germania la crisi si manifestò già nel giugno-luglio 1929 e raggiunse il culmine nell’agosto-settembre 1932), quegli stessi strati sociali che avevano patito l’iperinflazione del primo dopoguerra e la perdita di reddito (piccoli proprietari contadini, piccoli imprenditori, addetti ai servizi, operai dell’industria), formarono un abbondante potenziale di elettori per il nazionalsocialismo (è sufficiente dare un’occhiata ai risultati delle ripetute elezioni di quegli anni).
La Repubblica di Weimar non poggiò mai su una base economica stabile e la grande crisi capitalistica a cavallo degli anni Venti e Trenta la privò dell’appoggio esterno. Tuttavia, contrariamente alla vulgata, la produzione diminuì già dall’estate del 1929 si riprese nell’autunno del 1932. Queste due svolte sono già interessanti di per sé poiché chiariscono i fatti sull’inizio e il declino della crisi, e sul ruolo della Grande Depressione in Germania e nel resto del mondo. Adam Tooze e altri storici, sulla base di evidenze statistiche, chiariscono in dettaglio che non fu la politica di creazione di posti di lavoro dei nazionalsocialisti ad aver posto fine alla crisi.
Anche la storia del famoso “crollo” della Borsa di New York che avrebbe segnato l’inizio della crisi economica globale andrebbe rivista. Il corso delle azioni ebbe una caduta media dei prezzi dal 30 al 40%. La Borsa di New York rimase in piedi. Una crisi economica mondiale era in atto da tempo, almeno negli Stati Uniti e in Germania (le contaminazioni economiche richiedono tempo, almeno per allora). E certi indici suggeriscono che sono stati, al contrario, i sintomi della crisi a causare il crollo dei corsi. Una lezione questa che dovrebbe essere riconsiderata meglio per l’oggi (e per ciò che potrebbe accadere nei prossimi mesi).
Concludendo, in Germania le conseguenze economiche e sociali dell’inflazione del primo dopoguerra lasciarono dietro di sé una paura traumatica dell’inflazione, tanto che alcuni effetti psicologici si sono protratti per un secolo.
Tracciare parallelismi tra quell’epoca così tragica e l’oggi non è serio, ma forse è utile rinvenire con cautela e senza troppe generalizzazioni qualche elemento di somiglianza alla luce di ciò che sta avvenendo in Germania, nel resto d’Europa e altrove. Le crisi non sono mai solo il prodotto della sfera della circolazione, del settore finanziario e dei prezzi (laddove appaiono come fenomeno eclatante), ma sono quasi sempre il risultato delle contraddizioni interne al modo di produzione capitalistico, essenzialmente connesse al processo di accumulazione.
la creazione di moneta è uno strumento. Come tutti gli strumenti (dagli utensili di pietra alle sonde spaziali), non risolve tutti i problemi, non da la felicità, e la sua utilità dipende dalla perizia con cui viene usato. Bisogna aver letto davvero troppi libri per disconoscere questa semplice verità accessibile a un ragazzino di quarta elementare.
RispondiEliminaAnche un bimbo di terza elementare deve sapere la differenza tra “da”, preposizione semplice, dal verbo “dà” (dare).
EliminaNel merito: il denaro più che uno “strumento” è un mezzo di scambio, di pagamento. la sua utilità NON dipende “dalla perizia con cui viene usato” (ciò attiene eventualmente alla speculazione finanziaria), bensì dal suo essere anche una unità di conto riconosciuta che permette di attribuire un prezzo a beni. Per dirla marxianamente: è un equivalente universale con il quale si equiparano valori di merci diverse.
Non bisogna aver letto davvero troppi libri per sapere queste cose: nel primo caso basta aver superato con successo, come detto, la terza elementare; nel secondo caso, basta aver fatto anche una volta sola la spesa in un negozio.
non ho scritto che "il denaro è uno strumento" ma che "la creazione di moneta è uno strumento". Nella fattispecie uno strumento nelle mani di una banca centrale o, al limite, di un governo. Evidentemente mi riferivo a quel fenomeno che lei, nell'incipit del post, ha chiamato "stampare cartamoneta". Fatta questa precisazione (temo inutile ), può, se lo ritiene, rispondere.
EliminaStia bene attento, quando scrive che "Come tutti gli strumenti (dagli utensili di pietra alle sonde spaziali), non risolve tutti i problemi, non da la felicità, e la sua utilità dipende dalla perizia con cui viene usato", lei non si riferisce alla "creazione di moneta", ma alla funzione del denaro.
Eliminapur con tutta la buona volontà non capisco come qualcuno leggendo la mia frase potrebbe pensare che mi riferissi alla funzione del denaro. La verità è che la sua ideologia la costringe a denigrare a priori lo strumento della creazione di moneta. Ammetterne, anche solo in linea teorica, l'utilità, vorrebbe dire venir meno a una delle sue tesi preferite e cioè che "non c'è niente da fare". Vabbè, io ho perso qualche minuto, lei continui pure a deliziarci all'infinito con le sue tesi. Sono un suo vecchio, anche se saltuario, lettore e ogni volta che per caso passo da qua non posso fare a meno di meravigliarmi di come si possa per anni scrivere lo stesso post. Purtroppo internet non è riuscita ad essere altro che un contenitore di esibizionismi narcisistici. È una cosa che fa riflettere. Sono sicuro che passando di qua tra qualche hanno ritrovero' intatte le stesse cose di 10 anni fa, condite dalla stessa sicumera. Cordiali saluti.
EliminaMi chiedo spesso cosa e' che spinge alcuni a rompere le balle a Olympe.
RispondiEliminaTranquillo, quando le cose sono così puerili è puro divertimento.
EliminaNon vedo cosa ci sia di sbagliato nel dire che la moneta è uno strumento. Strumento che in un'economia moderna funge da mezzo di scambio, unità di conto e riserva di valore.
RispondiEliminaMi permetto di osservare che forse il signor nessuno intendesse la perizia con la quale le autorità monetarie usano questo strumento ( non tanto quella del singolo cittadino). Per esempio la stampa di moneta è uno dei mezzi a cui lo stato può ricorrere per finanziare il deficit, in concorrenza con le emissioni di prestiti e l'aumento della tassazione. La perizia sta nell'usare questi tre strumenti a seconda delle situazioni e dei problemi da risolvere.
Bragadin
vede, sior Bragadin, non ho negato che il denaro possa essere usato come uno "strumento". ho detto, leggendo nel contesto del commento ("dagli utensili di pietra alle sonde spaziali"), che il denaro più che uno “strumento” (ho usato le virgolette non a caso) è un mezzo di scambio. Anche la "creazione di denaro", più che uno "strumento", è una funzione. Solo in virtù di questa funzione il denaro (e la sua creazione) può diventare strumento di politica monetaria.
EliminaLa ragione della mia risposta a quel commento, sta nel fatto che quel signore (che forse lei conosce e io no) si mette in palco.
Non conosco quel signore, sono intervenuto solo perché la risposta mi sembrava inutilmente sarcastica.
EliminaCordialità
Bragadin
Ricevo da lui ben altri commenti, che non pubblico
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