lunedì 21 agosto 2023

Una dinastia inglese: tra genetica mendeliana ed evoluzione darwiniana

 

In una ricerca in Internet su Robert Chambers ci si imbatte su uno scrittore e pittore statunitense vissuto a cavallo tra il XIX e XX secolo. Su un suo precedente omonimo, nato nel 1802, non c’è apparentemente traccia. Salvo non si digiti il titolo di una sua opera: Vestiges of the Natural History of Creation. Un libro che ebbe un enorme successo quando apparve, tanto che fu una lettura perfino della regina Vittoria.

Chambers, oggi sconosciuto ai più, si adoperò in ogni modo per rimanere un autore anonimo. Perché è importante il suo libro pubblicato nel 1844? Ebbe l’intuizione dell’evoluzione, ma non la seppe spiegare. Dunque non solo Wallace e poi Darwin, ma anche Chambers. Il “clima” era maturo per questo tipo di “intuizioni”, per una svolta scientifica epocale nell’ambito della biologia (e non solo).

Il lavoro di geologi come Charles Lyell avevano notevolmente ampliato le stime per l’età della Terra e la scoperta di fossili di strane creature estinte contribuì all’idea di evoluzione. Personaggi come il naturalista francese Étienne Geoffroy Saint-Hilaire, uno dei primi sostenitori delle idee evoluzionistiche, e il suo collega, anatomista comparato e zoologo Robert Edmond Grant, ebbero un enorme impatto su Darwin e i suoi continuatori.

Questi studiosi nei loro viaggi per mare sperimentarono una gamma molto più ampia di ambienti. Il più celebre di questi viaggi è stato quello di Darwin come naturalista sulla HMS Beagle dal 1831 al 1836, dove le sue idee evolutive iniziarono a cristallizzarsi.

La questione scottante era determinare se la distribuzione di organismi e specie fosse la conseguenza di una legge naturale dell’evoluzione, e quale potesse essere quella legge. A spiegare per bene e in termini rigorosamente scientifici la faccenda fu Darwin. Per rendersene conto è sufficiente leggere il suo libro più celebre (in realtà una lettura cui s’accingono in pochi oggi), bello anche dal punto di vista stilistico.

Darwin stabilì che ogni tratto che permette a un organismo di essere migliore di un suo rivale, prevale e diventa più comune nelle generazioni successive dando gradualmente vita all’apparizione di nuove specie. Un meccanismo di cambiamento che Darwin chiamò selezione naturale.

Anche se Darwin aveva scoperto il nodo cruciale che aveva l’ambiente nel dettare il cambiamento all’interno delle specie, quello che non poteva sapere era l’enorme estensione con cui tutte le nuove forme di vita erano state influenzate dal nostro pianeta. Basti pensare, per esempio, alla deriva dei continenti.

Quanto allo sviluppo storico della teoria dell’evoluzione, due personaggi importanti furono Thomas Henry Huxley (1825-1895) e suo nipote, Julian Huxley (1887-1975), biologo, genetista e scrittore britannico. Il fratello di Julian fu Aldous Huxley, autore del famoso romanzo distopico Il mondo nuovo, pubblicato nel 1932, ma anche L’eminenza grigia (un romanzo storico che ho riletto più volte).

Il fisiologo e biofisico Andrew Huxley, fratellastro di Julian, ricevette il Premio Nobel nel 1963 per il suo lavoro sulle membrane delle cellule nervose. Dunque una vera è propria dinastia di scienziati e scrittori (il padre di Julian e di Aldous, Leonard, fu scrittore ed editore), laddove ognuno di loro e in ogni periodo ha prodotto un lavoro scientifico straordinario oppure un capolavoro letterario.

Thomas Henry Huxley nacque a Ealing, nella zona ovest di Londra. La sua famiglia era di classe medio-bassa e in seguito si trasferì a Coventry (che diventerà tristemente famosa nel 1940), un centro di tessitura della seta e produzione di nastri. Nel XIX secolo, la città era un centro del movimento cartista e dei seguaci del socialista utopista Robert Owen.

Thomas Henry non rimase immune a questa cultura cittadina, refrattaria all’ortodossia e al conservatorismo dominante. S’impose determinati rituali di autoistruzione, monumentali sotto ogni punto di vista. Si formò come medico e dal 1846 al 1850 fu assistente chirurgo durante il viaggio dello HMS Rattlesnake verso dell’Australia, segnatamente nello stretto di Torres, che separa Cape York dall’isola della Nuova Guinea.

Iniziò a considerare la questione dell’evoluzione nel 1850, dopo il suo viaggio. Questo fu un periodo di grande fermento scientifico. Sebbene TH Huxley fosse un evoluzionista convinto, non fu d’accordo con l’idea centrale della teoria di Darwin: la selezione naturale. Ne discusse direttamente con Darwin, e sebbene Huxley fosse persuaso dall’evoluzione in generale, non fu mai disposto ad accettare che questa avvenisse per mezzo della selezione naturale.

Il dibattito che seguì la pubblicazione del libro di Darwin, nel 1859, assunse aspetti di aspra polemica poiché andava a destabilizzare millenarie credenze religiose. Com’è noto, la più influente delle confutazioni rivolte a Darwin ebbe come base il lavoro del prete anglicano William Paley (1743-1805), quello della famosa analogia dell’orologiaio per dimostrare l’esistenza di Dio. I suoi seguaci erano esponenti della cosiddetta “teologia naturale”. Paley sostenne che la struttura complessa delle cose viventi e i notevoli adattamenti delle piante e degli animali richiedano un “disegnatore intelligente”.

T.H. Huxley fu ferocemente contrario a qualsiasi spiegazione religiosa dell’origine delle specie. Divenne noto come il bulldog di Darwin per la sua infaticabile difesa della teoria dell’evoluzione contro l’oscurantismo religioso (contro il vescovo Wilberforce). Huxley si adoperò di rendere la scienza accessibile alla classe operaia, pubblicando Lectures to Working Men nel 1865 e partecipando a numerose conferenze. Nel 1880 scrisse The Crayfish, con il quale spiegava i principi della zoologia presso il grande pubblico.

Negli ultimi anni della sua vita, Darwin adottò aspetti dell’evoluzione lamarckiana nelle edizioni successive di The Origin. Il naturalista francese Jean-Baptiste Lamarck (1744-1829) fu un evoluzionista che avanzò la teoria delle caratteristiche acquisite. Sosteneva che le caratteristiche acquisite durante la vita di un organismo potessero essere trasmesse alla generazione successiva. Questa concezione contraddiceva il lavoro precedente di Darwin.

Darwin accettò l’idea di fondere la sua concezione dell’evoluzione naturale (per adattamento) con la teoria dell’ereditarietà ampiamente sostenuta all’epoca. Questa teoria postulava che le nuove caratteristiche fossero fornite alla prole da entrambi i genitori.

Il problema per Darwin era che qualsiasi variazione prodotta come parte del processo evolutivo sarebbe stata diluita dopo la riproduzione, annullando così ogni vantaggio adattivo.

Se, nel corso del tempo evolutivo, la “diluizione” dell’ereditarietà elimina la variazione, come può operare la selezione naturale, la quale richiede assolutamente la variazione? L’incapacità di rispondere a questa domanda fu una delle cause del declino del darwinismo sul finire del XIX secolo.

Darwin e i suoi sostenitori non avevano una corretta teoria dell’ereditarietà, questo il loro problema principale. Sebbene Gregor Mendel (1822-1884), lo scienziato tedesco-ceco che scoprì le leggi dell’ereditarietà, studiasse il fenomeno ereditario (i famosi piselli) negli stessi anni in cui Darwin pubblicava i suoi lavori, i risultati della sua scoperta rimasero sconosciuti fino alla loro riscoperta all’inizio del XX secolo.

Il lavoro di Mendel fu riscoperto indipendentemente nel 1900 dal botanico olandese Hugo de Vries e dal botanico tedesco Carl Correns. Il nipote di T.H. Huxley, Julian, lavorò nella prima metà del XX secolo per risolvere la crisi dell’evoluzione darwiniana. Julian e altri studiosi misero in chiaro come la genetica mendeliana fosse collegata all’evoluzione darwiniana.

C’è sempre da imparare (o ripassare) qualcosa in attesa dell’alba.

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