La scorsa settimana si è tenuto in Sud Africa il vertice del gruppo di paesi conosciuto con l’acronimo BRICS: Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa. Promosso dalla Cina, il vertice BRICS ha concordato di accogliere l’adesione ad altri sei paesi – Argentina, Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti (EAU) – a partire dall’inizio del prossimo anno. Questa è solo la prima fase di un’ulteriore espansione che potrebbe includere paesi come Nigeria, Messico, Venezuela e Vietnam, aumentando sostanzialmente il peso economico, già ora potenzialmente cospicuo, del blocco.
Nel promuovere l’espansione dei BRICS, la Cina ha suggerito che il blocco potrebbe diventare un contrappeso al gruppo G7 e ad altre istituzioni dominate dagli Stati Uniti come il Fondo monetario internazionale (FMI) e la Banca mondiale (di cui la Cina fa parte).
Il 6 luglio scorso scrivevo: “Tutti i discorsi sulla la fine dell’egemonia del biglietto verde o la sua sostituzione con il renminbi cinese o una valuta BRICS, sono solo un mito”. Numeri alla mano spiegavo perché nessuna economia è attualmente in grado di coniugare i tre elementi assolutamente necessari per fare della propria moneta una moneta di riserva: la dimensione, la solvibilità e, non ultimo, la libertà finanziaria.
Su questo punto, il vertice BRICS non è arrivato a nulla. Non solo perché nessuna economia è attualmente in grado di stabilire un sistema di scambi con una moneta di riserva alternativo al dollaro, ma perché troppe cose dividono i Paesi che dovrebbero adottarlo.
India e Cina sono ai ferri corti sulle controversie sui confini, con l’India parte del Dialogo Quadrilaterale sulla Sicurezza, un patto quasi militare guidato dagli Stati Uniti rivolto contro la Cina. Arabia Saudita, Egitto ed Emirati Arabi Uniti sono tutti strettamente allineati con gli Stati Uniti. Inoltre, l’Iran e l’Arabia Saudita sono acerrimi rivali sul piano religioso e per l’influenza in Medio Oriente e hanno interrotto i rapporti diplomatici nel 2016. La Cina ha mediato il ristabilimento delle relazioni tra le due potenze mediorientali a marzo, ma funzionerà e in che modo?
Poste in luce alcune delle più evidenti divergenze tra i membri dei BRICS, resta la domanda: cosa unisce o può unire questi paesi? Questa alleanza delle cinque nazioni, alle quali se ne stanno aggregando numerose altre, assume diversi significati in rapporto all’egemonia statunitense, ma può diventare un nuovo potente attore sulla scena mondiale? In termini di popolazione, di Pil e di potenziale militare, questo arcipelago di Paesi, ma anche solo i cinque membri BRICS, mostra dei numeri che sono impressionanti, anche se ancora non eguagliano quelli delle potenze riunite sotto il gruppo G7.
La dichiarata volontà di diminuire la dipendenza dal dollaro dipende dal modo in cui Washington ha sfruttato la posizione globale della propria valuta come arma finanziaria contro i paesi presi di mira. La paura nelle capitali di tutto il mondo, comprese quelle allineate con gli Usa, è aumentata drammaticamente dopo che l’amministrazione Biden ha congelato le riserve della banca centrale russa in seguito allo scoppio della guerra in Ucraina.
Anche se si arriverà, nell’immediato futuro, a un nulla di fatto per quanto riguarda l’idea di una valuta alternativa al dollaro, la strategia della Cina è quella di indebolire il dominio del dollaro Usa incoraggiando le transazioni in renminbi e con la creazione di un pool più ampio di liquidità in moneta cinese per facilitarne un utilizzo più ampio da parte di trader e investitori nei mercati dei capitali offshore; inoltre, con la creazione del sistema di pagamento interbancario transfrontaliero (Cips) come rivale degli esistenti sistemi di regolamento interbancario denominati in dollari Chips e Swift; quindi il lancio di un renminbi digitale.
Possiamo considerarle tali iniziative di affrancamento dal biglietto verde come punture di zanzara, ora più fastidiose che dannose per il sistema del dollaro, e inoltre queste strategie devono affrontare ostacoli considerevoli, non ultimi lo sviluppo di turbolenze finanziarie interne in Cina e l’ovvia determinazione degli Stati Uniti a mantenere il dominio della propria moneta, senza il quale non possono vivere. Ciò che è chiaro, tuttavia, è che l’aggressione economica e militare statunitense sta spingendo i Paesi a considerare lo strapotere di Washington e del dollaro come una minaccia comune.
Infine, per chi conservi un minimo di memoria storica, tale situazione ricorda in modo inquietante i blocchi economici e valutari formatisi negli anni ’30 mentre il mondo precipitava verso il secondo conflitto mondiale.
Un'altra zanzara:
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