giovedì 3 agosto 2023

Se avete qualche zecchino da parte

 

Il declassamento del rating creditizio a lungo termine degli Stati Uniti da parte della Fitch Ratings Agency riflette il massiccio aumento del debito federale degli Stati Uniti, che è stato guidato da una serie di salvataggi bancari e aziendali, accompagnati da spese militari fuori controllo per finanziare guerre senza fine.

Il declassamento di Fitch è passato dal rating AAA ad AA+, allineandolo a un analogo declassamento di Standard & Poor’s nel 2011 a seguito del periodico conflitto al Congresso durante l’amministrazione Obama per l’innalzamento del tetto del debito.

Fitch parla a nome di Wall Strett, lamentando il fatto che ci sono stati solo progressi limitati nell’affrontare le sfide a medio termine relative all’aumento dei costi della previdenza sociale e dell’assistenza sanitaria a causa dell’invecchiamento della popolazione. Il solito ritornello.

L’esplosione del debito pubblico degli Stati Uniti è rivelata graficamente dalle previsioni sulle sue dimensioni da parte del Congressional Budget Office (CBO).

Nel 2007, appena prima della crisi finanziaria globale, quando le illusioni sulla spinta dell’economia statunitense erano al culmine, il CBO predisse che il debito federale detenuto dal pubblico sarebbe sceso al 22% del PIL in un decennio. Ora è intorno al 100%, con il CBO che prevede che salirà al 107% nel 2031 (in Italia, finita la sciampagna e il prosecco, per un rapporto debito/pil così basso si stapperebbero anche i succhi di frutta per festeggiare).

La crisi finanziaria del 2008 è stata affrontata con l’esborso di centinaia di miliardi di dollari in salvataggi aziendali, combinati con l’iniezione di denaro nel sistema finanziario da parte della Federal Reserve nell’ambito del suo programma di allentamento quantitativo. In risposta a una serie di panico bancario quest’anno l’amministrazione Biden ha effettivamente lasciato intendere che tutti i depositi bancari sarebbero stati garantiti dal governo federale.

Per di più, gli Stati Uniti hanno alzato le loro spese militari a livelli record, insieme a cospicui sussidi alle società per trasferire le loro produzioni negli Stati Uniti, in particolare nelle aree ad alta tecnologia, come parte della guerra economica contro Cina.

Il segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Janet Yellen, ha affermato che la decisione di Fitch è stata “arbitraria e basata su dati obsoleti”, sottolineando che gli americani, gli investitori e le persone di tutto il mondo sanno che i titoli del Tesoro rimangono il principale asset sicuro e liquido del mondo e che l’economia americana è fondamentalmente forte”.

Personalmente non ho nessun dubbio, specie in questi giorni acquistare obbligazioni del debito statunitense, ma anche italiano, per poi rivenderle tra qualche mese, conviene. Tuttavia la realtà di fondo è che il sistema finanziario statunitense è stato devastato da una serie di crisi nell’ultimo decennio e mezzo.

Nel 2008, il sistema bancario fu sull’orlo del tracollo. Nel marzo 2020, il mercato dei Treasury statunitensi si è bloccato in modo tale che per diversi giorni non ci sono stati praticamente acquirenti per il debito del governo statunitense. Nel marzo di quest’anno, gli Stati Uniti hanno registrato tre dei quattro maggiori fallimenti bancari della loro storia. Eccetera.

Come si legge spesso in questo insignificante bloggino, bisogna tener conto che operano anche dei processi decisivi a lungo termine. Ripeto, se avete qualche euro sotto il materasso, non aspettate che se lo mangino le tarme e l’inflazione, date retta a Janet Yellen, investite in Treasury statunitensi (salvo ciò che avete messo da parte per la nuova dentiera e il loculo).

1 commento:

  1. Da tempo un fantasma si aggira nel dibattito economico e politico internazionale. Si tratta del declino (assoluto o relativo) del dominio economico degli Usa a livello globale: tema che è, da più di un ventennio, al centro delle analisi condotte da vari autori di orientamento marxista; dilemma che è fedelmente rispecchiato, con diverse accentuazioni, nei titoli dei loro libri. Fra questi meritano di essere citati: M. Silvers, “Gli Stati Uniti tra dominio e declino”, Editori Riuniti, 1999; E. Todd, “Dopo l’impero”, Net, 2005; B. R. Barber, “L’impero della paura”, Einaudi, 2004; G. Palermo, “L’imperialismo Usa alla conquista dell’Europa”, L’Antidiplomatico, 2022. È interessante osservare che l’autore dell’ultimo, e più recente, libro fra quelli citati, nel delineare il profilo strettamente economico dell’attuale congiuntura critica, svolge alcune importanti considerazioni sul rapporto debito pubblico/Pil, sottolineando che tale rapporto è un fattore determinante rispetto alla valutazione della solidità di uno Stato e ponendo a confronto l’incidenza di tale fattore nei casi rispettivi della Russia e degli Stati che fanno parte dell’Unione monetaria europea (Ume). In tal senso, esaminando le sanzioni degli Usa e della maggioranza degli Stati europei contro la Russia e le efficaci risposte di quest’ultima all’offensiva sanzionatoria, egli scrive, sulla base dei dati tratti da questa fonte: Trading economics, Country list government debt to Gdp. https://tradingeconomics.com/country-list/government-debt-to-gdp), quanto segue (p. 56): «La Russia è solida: […] i dati di finanza pubblica sono assolutamente invidiabili. Il debito pubblico è pari al 17,7% del Pil, il nono più basso del mondo, contro il 90,0% dell’Ue, il 97,2% della zona euro, il 128% degli Usa, il 93,9% del Regno Unito» (e, aggiungiamo noi, il 140,3% dell’Italia, quinto paese con il debito pubblico più alto del mondo: dato fornito dal Fmi nell’anno in corso). Dopodiché l’autore in parola precisa, in modo quanto mai significativo, che «per anni il problema del debito pubblico è rimasto confinato ai Piigs [Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia, Spagna], caratterizzati da un alto rapporto debito/Pil. Tuttavia, il rallentamento della crescita e i piani di rilancio, interamente a debito, lo trasformano ora in un problema generale» (p. 102). Non sorprende pertanto che, nella triangolazione tra organizzazioni internazionali, banche centrali e Stati, attraverso cui si organizza e si esprime il capitale finanziario globale, la Fitch Ratings Agency non abbia fatto sconti al capitalismo egemone declassando impietosamente il rating creditizio a lungo termine degli Stati Uniti.

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