martedì 8 febbraio 2011

Perché si andrà al voto (prima o poi)



Ho scritto venerdì delle forze che esprimono il berlusconismo, ossia il nordismo e l’impolitico, l’affarismo e il clientelismo, l’interesse della piccola e media impresa ad evadere a man salva, la casta dei privilegi e delle corruttele, eccetera. Insomma forze che rappresentano una psicologia sociale e una cultura politica in perfetta continuità con il passato e figlia dello squilibrio secolare tra nord e sud, dello scontro tra fazioni rissose e inconcludenti, dell’eccezionalità e impossibilità di soluzioni radicali.
In tale quadro è nato Berlusconi, il quale si mantiene a galla potendo contare anzitutto sull’asse di ferro con la Lega e poi sull’esercito parlamentare di riserva composto da bisognosi falliti. Confida poi sull’illimitata e spensierata fiducia di persone distratte dai pensieri più noiosi del presente e fatta totalmente disinteressata su quelli del futuro.
Finora negli stessi grandi gruppi industriali e finanziari si confermavano posizioni differenziate e tuttavia non ostili al governo, basti pensare a concentrazioni statali come Eni, Enel, Finmeccanica, o alla rete di relazioni tra Assicurazioni Generali e Mediobanca. Tutta roba che non pesa poco.
Eppure il vento sta cambiando davvero e il mutamento di certe posizioni sui grandi fogli a stampa ne è una spia. Si tratta di un venticello che spira dall’Europa, dove un esecutivo distratto e passivo non rappresenta più solo una comoda sponda per i giochi dell’asse franco-tedesco, ma comincia a essere percepito dal lato della sua debolezza, cioè di una situazione che può investire direttamente i grandi interessi continentali e l’euro in un momento di grave difficoltà. E a tali interessi è legato il cuore produttivo ed europeo del paese. Vedremo.

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