venerdì 11 febbraio 2011

Venticelli di primavera



« … ciò che bisogna dire, e che tutti sanno del resto, è che buona parte del finanziamento politico è irregolare od illegale. I Partiti, specie quelli che contano su apparati grandi, medi o piccoli, giornali, attivià propagandistiche, promozionali e associative, e con essi molte e varie strutture politiche e operative, hanno ricorso e ricorrono all'uso di risorse aggiuntive in forma irregolare od illegale. Se gran parte di questa materia deve essere considerata materia puramente criminale allora gran parte del sistema sarebbe un sistema criminale. Non credo che ci sia nessuno in quest’aula, responsabile politico di organizzazioni importanti che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo: presto o tardi i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro".
La sede dove furono pronunciate queste parole era la Camera dei deputati, l’anno il 1993. Chi le pronuncia, per una volta nella sua vita, pur allo scopo di autoassolversi dalle proprie gravissime responsabilità, non bluffa e afferma invece ciò che, come ebbe a sottolineare egli stesso, “tutti sanno”. Il sistema nel suo insieme non poteva tollerare una sfida così proterva e bruciante, di essere cioè chiamato a rispondere di correità in modo esplicito e pubblico dall’esponente politico e di governo più rappresentativo e compromesso dell’epoca.
Il giorno dopo, il presidente della Camera, Giorgio Napolitano, leggeva i risultati delle votazioni, contrari all'autorizzazione a procedere richiesta dalla procura di Milano contro Benedetto Craxi detto Bettino, mentre i deputati della Lega nord e del Movimento sociale insultavano i colleghi dando loro dei ladri e degli imbroglioni. Era un venerdì di primavera, primo caldo, nubi bianchissime, una di quelle giornate che sembrano non finire mai, spirava una brezza atlantica e nord europea favorevole al cambiamento. Davanti all’Hotel Raphael si compiva l’atto conclusivo di quella lunga stagione politica e criminale. Se ne stava per aprire un’altra, non meno estenuante, con a capo un inedito protagonista, già amico del Ghino fuggitivo.
Affermare che Silvio Berlusconi vinse le elezioni del 1994 perché aveva l’appoggio di un vasto potere mediatico di sua proprietà, è cogliere solo l’aspetto più apparente della vicenda politica e sociale di quegli anni seguiti alla fine della cortina di ferro. In tale quadro internazionale, Berlusconi vinse per diversi motivi interni: perché c’era stata tangentopoli e il sistema politico era allo sbando, gli attentati dinamitardi, la situazione economica e gli impegni europei, e grazie a una fazione importante della borghesia nazionale e atlantica che non voleva gli ex comunisti al potere.
L’altra fazione borghese, anch'essa con appoggi esterni, non si perse d’animo e costrinse, supplente come al solito la magistratura, Berlusconi alle dimissioni. La fazione berlusconiana, nel lasciare, impose come nuovo capo del governo un suo ministro, Lamberto Dini, già direttore generale della Banca d’Italia. Nel piatto del compromesso venne servita la “riforma” delle pensioni. A Berlusconi, come dichiarò alla Camera Luciano Violante, fu garantita la salvaguardia del suo impero economico e mediatico. Nel 1996, nonostante tale potere, Berlusconi perse le elezioni. Umberto Bossi preferì la coalizione guidata dal cattolico Romano Prodi. Il resto della storia, in perfetta continuità giolittiana, è noto: con il voto determinante dell'ex FI Silvio Liotta, passato al partito di Dini, e di 13 rifondaroli su 34, cadde Prodi, cui fecero seguito due governi D'Alema e infine quello di Amato.
Silvio Berlusconi, con la Lega, nel 2001 rivince le elezione, ma poi le riperde, pur alleato della Lega e sempre degli ex fascisti, nel 2006 contro Romano Prodi. Ha due anni di tempo per far scrivere due righe in Gazzetta ufficiale e mettere così fuori gioco Berlusconi e il suo enorme conflitto d’interessi, o tentare una riforma del sistema elettorale. Ma Prodi non fa nulla, troppo occupato forse in sedute spiritiche, oppure intimamente consapevole che Berlusconi è l'altra carta che la borghesia ha in mano. Ci penserà Valter Veltroni, l'orgoglio del clan di Repubblica e dintorni, a far cadere di nuovo Prodi, sempre supplente la magistratura che ha nel mirino, questa volta, la stampella del governo, il Griso di Ceppaloni.
Passano gli anni, la primavera, si sa, non è più quella di una volta, e tuttavia speriamo non porti troppa pioggia, governo ladro.

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