venerdì 25 febbraio 2011

La spartizione dei datteri



In Libia più che una guerra civile è in atto una “rivolta”, guidata dai “giovani” per la “libertà” e la “democrazia”. Il resto lo fa internet. L’Europa e l’Italia in particolare sono preoccupate per l’importazione dei datteri, i diritti civili e umani. Ma fino a ieri l’altro delle questioni migratorie, così com’erano trattate dalla Libia, su mandato, non interessava a nessuno. Tanto meno in Italia.
Il ministro della difesa italiano, nel corso di una trasmissione televisiva, dichiara che le forniture di armi italiane alla Libia risalgono all’epoca di Craxi e nessuno gli ride in faccia. Chiedere alla AgustaWestland, controllata Finmeccanica (quota libica nella capogruppo è del 2,1%), solo per quanto riguarda l’elicotteristica. Sempre Finmeccanica ha firmato contratti con la Libia (luglio 2009) per 20 miliardi di dollari. E dei contratti in atto tra la Fininvest e il Colonnello già si sa tutto, come per esempio con la Laftitrade, dove sono presenti con quote rispettivamente del 22% e 10% nel capitale della società di produzione e distribuzione cinematografica Quinta Communications, fondata da Tarak Ben Ammar.
Il livello d’informazione è questo nell'età dell'innocenza, e il “pubblico” gradisce. Del resto gli interessi in gioco sono enormi e il dott. Michele Santoro fa bene a non citarli, ad insistere invece sui principi, perché con altre cose ci si brucia davvero, oppure può succederti un banale incidente sul raccordo anulare.

Il più sornione è stato Luttwak, il quale ha detto che gli Usa e la Ue hanno stima dei ministri italiani. Cioè di come l’Italia sta trattando la faccenda. Impareggiabile il suo candore nel dire che questi popoli "non sono ancora pronti sul piano culturale e sociale per la democrazia". Un concetto estemamente flessibile quello di democrazia per simili galantuomini, per i quali, invece, gli indiani americani erano prontissimi a ricevere lezioni di democrazia e di religione dai coloni europei. E anche gli africani venivano importati nelle piantagioni dei padroni bianchi per essere redenti ai principi di uguaglianza, libertà e fraternità.
Sotto i loro piedi, i sei milioni di libici hanno una ricchezza enorme di cui, in maggioranza, godono solo di piccolissime briciole. L’Ente nazionale idrocarburi (meglio scrivere le cose per esteso) italiano ha in atto contratti per altri trent’anni e più. Lo stesso dicasi per le altre decine di compagnie straniere che operano sul posto. I libici mangiano prodotti quasi esclusivamente italiani, le attrezzature e le infrastrutture (vedi Impregilo e gruppo Trevi, ma anche Selex ecc.) sono in larga parte italiane. Non parliamo poi di sistemi d’arma, istruttori ed equipaggiamenti.
Chi sta facendo le scarpe a Gheddafi (sempre che ci riescano)? Per conto di chi, s’è vero, gli ufficiali libici disertano? Chi ha organizzato e dirige effettivamente questa faccenda? Non è dato sapere. Nemmeno Gheddafi e il suo entourage hanno interesse a svelare i retroscena. Il progetto qual è? La spartizione, probabilmente. Non va dimenticato che la Libia partecipa nelle bluechips europee con quote dell’ordine di oltre 60 miliardi di euro. Insomma un mare di denaro e di petrolio e di gas, ma ciò che importa veramente al business e ai politici sarebbero la “libertà” e i diritti umani del popolo libico. Perché no?
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Ieri è comparso questo comunicato di Finmeccanica (diciottobrumaio è stato anche visitato da questo) che in sostanza, nello smentire, conferma. Gli elicotteri AW139, per esempio, possono essere adibiti ad usi sia militari, paramilitari e anche civili. Lo stesso dicasi per l'AW 109. E della Oto Melara cosa ci dicono? E poi, perché avere la coda di paglia? L'Italia è uno dei principali paesi esportatori di gadget ad uso militare.

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