L'evoluzione è un fatto
Da oggi a Milano tre giornate di incontri sui grandi esploratori per illustrare la teoria darwiniana. Con l'occasione, l'editore Codice traduce il libro di Jerry Coyne, Perché l'evoluzione è vera, che si conclude con un monito: cercare la perfezione tra i viventi è tipico non di chi fa scienza, ma dei creazionisti che aspirano a farsi cullare dalle braccia di dio
È dalla fine degli anni '80 che, negli Stati Uniti, l'insegnamento nelle scuole della teoria darwiniana dell'evoluzione rappresenta una partita politica decisiva (da noi, com'è noto, il decreto Moratti nel 2004 ha cercato di cancellare l'evoluzione dai programmi della scuola media italiana). L'oggetto della discordia può essere riassunto in questa domanda: «è giusto insegnare l'evoluzionismo o bisogna proporre agli studenti altre teorie?». Dietro un interrogativo apparentemente pluralista si nasconde il problema rappresentato da cosa si intende con l'espressione «altre teorie». Una prima possibilità interpretativa aprirebbe scenari interessanti in grado di favorire il confronto con versioni eterodosse della biologia scientifica: una di queste versioni, per esempio, la offrì lo zoologo J. von Uexküll che, all'inizio del secolo scorso, rifiutò l'evoluzione ma coniò un concetto oggi centrale come quello di «ambiente»; un'altra versione è quella offerta dal volume Gli errori di Darwin di Jerry Fodor e Massimo Piattelli Palmarini, un libro che all'interno di una prospettiva materialista ed evoluzionista discute la fragilità della nozione di selezione naturale. Purtroppo, invece, sotto la dicitura «altre teorie» oggi si nascondono versioni, più o meno esplicite, del creazionismo: l'idea secondo la quale tutti gli animali, o comunque gli esseri umani, sono creati da dio.
È dalla fine degli anni '80 che, negli Stati Uniti, l'insegnamento nelle scuole della teoria darwiniana dell'evoluzione rappresenta una partita politica decisiva (da noi, com'è noto, il decreto Moratti nel 2004 ha cercato di cancellare l'evoluzione dai programmi della scuola media italiana). L'oggetto della discordia può essere riassunto in questa domanda: «è giusto insegnare l'evoluzionismo o bisogna proporre agli studenti altre teorie?». Dietro un interrogativo apparentemente pluralista si nasconde il problema rappresentato da cosa si intende con l'espressione «altre teorie». Una prima possibilità interpretativa aprirebbe scenari interessanti in grado di favorire il confronto con versioni eterodosse della biologia scientifica: una di queste versioni, per esempio, la offrì lo zoologo J. von Uexküll che, all'inizio del secolo scorso, rifiutò l'evoluzione ma coniò un concetto oggi centrale come quello di «ambiente»; un'altra versione è quella offerta dal volume Gli errori di Darwin di Jerry Fodor e Massimo Piattelli Palmarini, un libro che all'interno di una prospettiva materialista ed evoluzionista discute la fragilità della nozione di selezione naturale. Purtroppo, invece, sotto la dicitura «altre teorie» oggi si nascondono versioni, più o meno esplicite, del creazionismo: l'idea secondo la quale tutti gli animali, o comunque gli esseri umani, sono creati da dio.
In forma di apologia
Negli Stati Uniti, la versione più insidiosa è rappresentata da una variante che si autodefinisce scientifica ma è ancora tutta dogmatica, quella del «disegno intelligente»: l'evoluzionismo sarebbe sbagliato perché non terrebbe conto di proprietà del mondo naturale spiegabili solo con un progetto intrinseco alla natura, caratteristiche che in qualunque altra circostanza sarebbero attribuite all'intelligenza. Dio non lo si nomina ma è lì, dietro l'angolo. La mossa retorica applica un cliché argomentativo potente poiché unisce due elementi che, a prima vista (ma davvero solo a prima vista), non stanno insieme: relativismo epistemologico e autoritarismo dogmatico. Mossa numero uno: l'evoluzionismo sarebbe una teoria non dimostrata, pari a un atto di fede. Mossa numero due: è dunque giusto insegnare nelle scuole anche «altre teorie». Mossa numero tre: queste «altre teorie» possono ispirarsi ad altri atti di fede. Risultato: a scuola finiamo con l'imparare la natura del disegno intelligente, cioè la scienza secondo la religione.
In risposta a tutto questo, proprio nella Milano di Letizia Moratti, partono oggi tre giornate di incontri presso il Museo di storia naturale, sotto il titolo I grandi esploratori. L'evoluzione e la diversità viste con gli occhi di viaggiatori e scopritori, per illustrare una scienza pluralistica che non accetta, però, invasioni di campo da parte della teologia. In occasione dell'Evoution Day, giorno in cui si festeggia l'anniversario della nascita di Charles Darwin, l'editore Codice rende disponibile una cassetta degli attrezzi molto utile per difendersi da questa ondata reazionaria: la traduzione italiana del libro di Jerry Coyne, Perché l'evoluzione è vera (pp. 314, 29 euro). Il volume ha la struttura retorica dell'apologia: lo scopo è dimostrare che i dati empirici a favore dell'evoluzionismo sono oggi esorbitanti, tanto che l'evoluzionismo può ormai esser considerato non una teoria ma «un fatto». Il libro ha il valore aggiunto di costruire con illustrazioni molto curate un testo di base che, in modo chiaro e argomentato, mostra l'intelaiatura del paradigma teorico darwiniano. Da questa fotografia panoramica emergono due indicazioni di fondo. La prima è di ordine empirico. L'evoluzionismo ha parecchie frecce al proprio arco. Un caso per tutti: spesso si rimprovera all'evoluzionismo di non essere una teoria propriamente scientifica perché, rivolgendosi al passato, non è in grado di fare previsioni. Questo, suggerisce Coyne, non è affatto vero. È possibile, invece, fare diversi tipi di previsione. Non solo in laboratorio ma anche di ordine storico, previsioni cioè «a ritroso». Nel 2004, ad esempio, è stato scoperto un fossile che dimostra la derivazione degli anfibi dai pesci poiché le caratteristiche ossee degli arti del Tiktaalik (un animale quasi anfibio ma ancora pesce) sono una via di mezzo tra la pinna natatoria e la zampa rigida adatta a camminare sulla terraferma. Ma l'aspetto più interessante del reperto (di per sé già imbarazzante per il creazionista: se gli animali non cambiano perché creati da dio, come mai troviamo tutte queste forme intermedie?) sta nel come è stato scoperto. Non si tratta, infatti, di un ritrovamento casuale legato allo scavo della metropolitana di turno, ma del frutto di una ricerca predittiva. Questo il ragionamento: se fino a 390 milioni di anni fa non abbiamo tracce di anfibi perché le prime forme di questi animali hanno 360 milioni di anni, per ritrovare forme intermedie dovremmo individuare uno strato geologico adatto alla conservazione fossile vecchio, all'incirca, 375 milioni di anni. Ed è così che, dopo alcuni tentativi, nel Mar Glaciale artico venne ritrovato un mezzo anfibio e mezzo pesce incistato nello strato geologico previsto.
La seconda indicazione è di ordine teorico. Tra il creazionista e l'evoluzionista esiste una diversità radicale di atteggiamento legata a uno stato d'animo comune, la meraviglia. Il primo prova meraviglia per quel che è perfetto: è nell'adeguat-ezza delle piume degli uccelli al volo o nell'efficienza natatoria del delfino che egli individua la manifestazione naturale del disegno divino. Per il secondo è centrale, invece, l'imperfezione del vivente: gli organi vestigiali che ormai non servono (la nostra appendice intestinale), le stratificazioni morfologiche all'apparenza inutili (quelle che rendono i feti animali sorprendentemente simili tra loro) o le distribuzioni non omogenee delle forme di vita che fanno dell'Australia la patria dei canguri.
Una mossa spericolata
La seconda indicazione è di ordine teorico. Tra il creazionista e l'evoluzionista esiste una diversità radicale di atteggiamento legata a uno stato d'animo comune, la meraviglia. Il primo prova meraviglia per quel che è perfetto: è nell'adeguat-ezza delle piume degli uccelli al volo o nell'efficienza natatoria del delfino che egli individua la manifestazione naturale del disegno divino. Per il secondo è centrale, invece, l'imperfezione del vivente: gli organi vestigiali che ormai non servono (la nostra appendice intestinale), le stratificazioni morfologiche all'apparenza inutili (quelle che rendono i feti animali sorprendentemente simili tra loro) o le distribuzioni non omogenee delle forme di vita che fanno dell'Australia la patria dei canguri.
Una mossa spericolata
L'evoluzionista può compiere, dunque, solo un errore. Può finire col portare acqua al mulino creazionista illudendosi di aver individuato un meccanismo perfetto (ad esempio quello dell'adattamento) che trovi sempre e comunque un punto di applicazione. Per questo motivo, la parte finale di Perché l'evoluzione è vera contesta chi, in nome dell'evoluzione, pensa di poter trovare una spiegazione adattativa a tutto, a ogni aspetto del comportamento animale o della vita umana: la cosmesi e l'omosessualità, l'altruismo e il rito religioso (un paradigma che spesso va sotto l'etichetta di «psicologia evoluzionistica»). La mossa non solo è spericolata dal punto di vista empirico (in che modo, ad esempio, il suicidio può aiutare alla proliferazione dei nostri geni?) ma anche controproducente da un punto di vista teorico. Perché, come abbiamo visto, cercare la perfezione nel mondo vivente è tipico non di chi fa scienza, ma di chi vuol ritrovarsi cullato tra le braccia di dio.
L'articolo è di Marco Mazzeo, il manifesto, venerdì 11 febbraio 2010, p. 11. Nella stessa pagina è pubblicata un'intervista assai interessante a Jerry Coyne reperibile presso l'Archivio on-line del quotidiano ma che comnuque sarà riproposta qui nel prossimo post.
"in che modo, ad esempio, il suicidio può aiutare alla proliferazione dei nostri geni?"
RispondiEliminaUn gene che comportasse un grande successo adattativo nel 99% dei suoi portatori, e contemporaneamente il suicidio nel restante 1%, sarebbe comunque favorito nella sua replicazione.
Saluti,
Massimo
caro Massimo, penso che l'aspetto più interessante dell'articolo sia contenuto nella seconda e ultima frase che ho sottolineato
RispondiEliminamolti saluti