giovedì 24 febbraio 2011

Quando la volenza si fa chiamare giustizia



Jean Léon Jaurès il 31 luglio 1914 ha 55 anni, è segretario del Partito socialista unificato, ed è stato tutto il giorno al Quay d’Orsay con  Abel Ferry, nominato vice segretario di Stato per gli Affari Esteri nel primo governo formato da René Viviani (che non ha potuto riceverlo).  L’intento era di scongiurare la guerra con la Germania.
A sera, come spesso gli accade, Jaurès cena presso il café du Croissant (nell'omonima via, dove al n. 16 aveva sede il quotidiano l'Humanité; il bistrot fa angolo con rue Montmatre, II arrondissement, esiste ancora) con amici e compagni di partito. La conversazione ovviamente ha un unico tema: quelle teste di cazzo del governo sono disposte ad entrare in guerra. Per mesi la stampa reazionaria ha preso di mira Jaurès per la sua contrarietà ad ogni avventura militare. Egli siede con le spalle alla finestra, aperta a causa del caldo, che dà sulla strada. Solo una tendina lo separa dal suo assassino, il quale la scosta e spara due colpi di rivoltella. Un proiettile colpisce Jaurès alla nuca, mortalmente.
L'assassino è Raoul Villain, di Reims, 29 anni, tranquillo e pio, biondo, occhi azzurri, studente di Archeologia presso l'Ecole du Louvre, e soprattutto un aderente della Lega di giovani amici dell’Alsazia-Lorena, un gruppo di studenti nazionalisti, sostenitori della guerra e vicino all'Action francaise. Subito arrestato sul posto dichiara di aver agito da solo per "togliere di mezzo un nemico del suo paese". Aveva acquistato un revolver Smith & Wesson, e prima di sparare aveva scritto alcune lettere incoerenti. Insomma un classico dell’omicidio politico.
Fu imprigionato. I medici lo dichiarano sano di mente. Per un simile delitto era prevista senz’altro la pena di morte, ma per tutta la durata del conflitto, tra un cavillo giuridico e l’altro, non fu processato. Nel marzo 1919, finalmente si celebra il processo. È un momento di euforia per la Francia vittoriosa e per via della Conferenza di pace.
La parte civile al processo chiede la pena della detenzione, in ossequio alla contrarietà di Jaurès per la pena di morte. Il pubblico ministero chiede anch’egli la condanna alla detenzione per l’imputato (fatto singolare) senza peraltro fissare l’entità della richiesta di pena (fatto ancora più singolare). Ma la cosa veramente stupefacente è che i giurati, dei buoni e patriottici borghesi che non avevano fatto la guerra, dichiarano (11 su 12) non colpevole l’imputato.
Raoul Villain fu rilasciato e si rifugiò a Ibiza. La vedova Jaurés fu condannata al pagamento delle spese processuali, il loro figlio era morto al fronte.

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