lunedì 21 febbraio 2011

Una domanda: diversi in cosa?



Silvio Berlusconi, il quale non perde occasione per farsi ritrarre nel ricevere la comunione, ha dichiarato di non voler “disturbare” l’altro statista suo amico, quello di Tripoli, mentre uccide centinaia di suoi concittadini. Quello di Berlusconi è quantomeno un peccato di omissione, ma certamente troverà pronto qualche buon prete disposto ad assolvere, a contestualizzare e in nome di dio misericordioso a perdonare. Del resto, Vittorio Messori non ha detto che un conto è ciò che fa il Vaticano e altra cosa è la Chiesa? E lui di Vangelo se ne intende!
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Ogni pezzo richiede pochi gesti, sempre uguali, misurati, studiati e cronometrati da “esperti”. È il “lavoro” coattivo alla catena. Per ore, giorni, settimane, tutta la vita, sempre gli stessi movimenti. È un fare che impegna il corpo, non la mente, che vaga altrove, al mutuo, ai figli, al prossimo giorno in famiglia, quando finalmente l'operaio ritroverà altri gesti e relazioni. Ma sarà per poco, come quando si ricarica una batteria esausta. Poi daccapo, anzi, con ritmi accelerati, per essere “competitivi”, come richiede il padrone, il sindacato e il partito. E l’intellettuale concettoso, di ritorno da un meeting.
C’è un motivo, una giustificazione, perché donne e uomini, persone, esseri umani, possano essere costretti a vivere e riprodurre la propria esistenza come schiavi? oggi che creatività e conoscenza, passione e cooperazione, possono trasformare i deserti in giardini, l’umanità in una comunità unita dagli stessi interessi?
Coloro che non si pongono questa domanda, o che preferiscono non “disturbare” i manovratori di questo stato di cose, e anzi pontificano perché tale sistema schiavista possa continuare e svilupparsi nella “competizione internazionale”, sono forse diversi da Berlusconi e Gheddafi?

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