domenica 6 febbraio 2011

Il tarlo di dio e il cancro del nazionalismo



La borghesia ha lo stesso obiettivo ovunque: confermare il proprio dominio, mutando, se necessario, l’involucro politico che lo mantiene. Non gli si può chiedere di essere curatrice d’interessi essenziali diversi dai propri.
Mohamed Hosni Mubarak, Omar Suleiman, Mohamed ElBaradei, Ahmed Zeweil, sono elementi della stessa classe sociale. Essi stanno lottando per il potere personale e dei propri supporters, illudendo il popolo oppresso e miserabile con la promessa di “riforme”, la parolina magica per trarsi d’impiccio dalle intemperanze dei lazzaroni e fare in modo, con la persuasione, che il denaro continui a comandare e i servi ad obbedire. Non va infatti dimenticato che il potere che elimina, con il medesimo gesto, si ridefinisce come potere.
Del resto, il povero Egitto vive di quei pochi idrocarburi che esporta (a prezzo ridotto verso Israele) e di turismo, delle rimesse degli emigrati (quelli che non sono rientrati a causa della crisi) e dell’industria del cotone, dei ricavi di Suez e dei soliti datteri. Insomma è al 64° posto per esportazioni, dopo l’Azerbaijan, con un deficit di bilancio dell’8% annuo e un 26,2 per mille di mortalità infantile. Non può andare lontano un paese con questi numeri e sotto protezione israeliana e atlantica. La fame, la rabbia e l’entusiasmo sono elementi indispensabili della rivolta, ma una rivoluzione che muti radicalmente le condizioni sociali non s’improvvisa, va preparata e organizzata su scala ben diversa. E invece una “rivoluzione” in tali condizioni, non andrà oltre “l’assalto ai forni”.
Inoltre, il proletariato del Nord Africa e del Vicino Oriente è fottuto, in modo particolarmente invasivo, da due deficit supplementari, quello di dio e del nazionalismo. Di quest’ultimo c’è conferma nell’ampio sventolio di stracci colorati nelle piazze e del primo conosciamo l'immagine del suo bisogno.


Nessun commento:

Posta un commento