domenica 13 febbraio 2011

La rivoluzione, finalmente



Nel blog di Beppe Grillo c’è l’intervista che l'attore ha rilasciato a una trasmissione televisiva. Deliziosa per il candido fervore, quasi autentico, che l’ex comico televisivo sembra improvvisare contro il palazzi del potere. In buona sostanza chiede agli agiati inquilini di lasciare libero l’immobile nel quale, secondo le intenzioni del comico genovese, dovrebbe invece installarsi una comune di probi “esperti di problemi” eletti dai “cittadini”, con mandato a termine e modica remunerazione.
Pensa Grillo che possa lasciare il laticlavio, se non per raggiunto capolinea biologico, Giulio Andreotti, sette volte Presidente del Consiglio e ventidue Ministro? Viene da sorridere quando si vedono in Tv filmini biografici (Il Divo) dedicati a questa esemplare figura di statista. Questi partecipava a un incontro con i capi della mafia militare e della mafia dei colletti bianchi: i cugini Nino e Ignazio Salvo l’on. Salvo Lima. In quel qualificato consesso si discuteva del “problema Mattarella”, quel democristiano anomalo che si ostinava a non ascoltare i buoni consigli degli “amici”. Il 6 gennaio 1980, fu ucciso sotto casa da un commando mafioso. Giulio Andreotti tornò segretamente in Sicilia e all’interno di una villa incontrò alcuni dei mafiosi assassini di Mattarella che, com’è sacramentato in una sentenza definitiva, avrebbe coperto con il suo silenzio complice per il resto dei suoi giorni, garantendo così la loro impunità e alimentando il senso di onnipotenza della mafia [*].
Questi fatti passati in giudicato dimostrano che Silvio Berlusconi, inventore mediatico di una nuova grammatica, segue alti e illustri esempi per esigere e dotarsi di patenti d’impunità, per liberarsi dall’accusa di aver subornato dei testi, corrotto dei giudici, sempre per mezzo di avvocati, e aver “posto in essere” ribalderie finanziarie e fiscali di ogni sorta, tanto che l’ultima imputazione, di aver messo in piedi nelle proprie ville dei postriboli, rappresenta, secondo lui e moltissimi ancora, un’indebita ingerenza della magistratura in festini privati, a dimostrazione che i privilegi di Don Rodrigo non escludono il diritto all’impunità.
E del resto, può un potere politico e burocratico che ha coltivato per decenni la strategia terroristica e continua a opporre il segreto di Stato sulle più efferate marachelle nazionali, considerarsi sensibile all’indignazione del cittadino Beppe Grillo, alla sua raccolta di firme (povero cocco), mostrarsi timoroso del suo partitino a cinque stelle (extralusso) e dei minacciosi proclami diramati dalla selva lacandona del web?
Pensa che possa lasciare un Veltroni o un D’Alema (tanto per citare) i quali hanno fallito in tutto ciò che si poteva e doveva, ma stanno a capo dei servizi segreti e raccomandano che si faccia questo e quello “per il bene del paese”? Crede Grillo che possano lasciare la Iervolino o Bassolino e quindi i loro galoppini? Finge dunque di non sapere di cosa è fatta la “politica”? Certo che lo sa bene di cosa è fatta tale merda, non è uno che vive d’illusioni, tuttavia ne fa proficuo commercio. Afferma egli dunque, nella sua sfida totale al malaffare, che il cambiamento è possibile, anzi imminente e inevitabile, senza rimpianto, uno scossone dal basso che provocherà finanche il crollo dello stesso marcio edificio; poi, a demolizione ultimata e sgombrate le “macerie” (chi e come le toglie?), si ricostruirà ex novo, dando compimento a un sistema finalmente democratico e liberale, alla Grillo, senza ciminiere ma con banche “oneste”, le quotazioni di borsa  ma “trasparenti”, la produzione “a chilometri zero” ma con lo yacht, la burocrazia dalla parte dei “cittadini”, la mediocrità dell'esistenza risolta e tutte le panacee di salute pubblica illustrate nella sua offerta quotidiana di oppio che non ha, e non vuole avere, alcun contatto con la realtà storica del capitalismo. Egli non può comprendere che escludendo di fatto dal diritto reale di proprietà, il capitale estende il suo dominio sugli esclusi, e che solo tale condizione li costringe a collaborare loro malgrado con i padroni per assicurarsi la propria esistenza fisica. E che tutti i rapporti e le porcherie che ne risultano hanno come origine e causa tale condizione di coesione obbligata nell'interesse dello sfruttatore.

Sono ormai vent'anni che il simpatico comico divenuto capopolo ci illustra le sue banalità di base, promettendo per soprammercato di risanare puntualmente il debito pubblico, facendo quindi pagare il dovuto agli evasori. Una boutade quest'ultima che ha esilarato tutti gli abitanti delle ville ad Antigua e Narau, nonché, per motivi opposti, certi tossicomani dell’uguaglianza prêt-à-porter.
Taluni esponenti politici mostrano un certo fastidio per queste grida di confine, ma i più avveduti sanno bene che gli idoli alla Grillo svolgono essenziali funzioni di diversione: possono dire e scrivere come e quello che vogliono (salvo le solite strumentali querele), così s’ingenera l’impressione che si possa dire e scrivere come e quello che si vuole. Ma sanno bene che gli editoriali e gli spettacoli di Grillo si riferiscono a un pubblico di nicchia e non hanno significativa influenza sul resto dell’informazione mediatica, cioè sulle masse radunate in contemplazione passiva davanti alla Tv, né quindi sui contenuti essenziali di un dibattito politico ed economico inesistente o surreale.  Insomma Grillo è uno dei tanti capitani che dalla vasca da bagno chiamano alla rivoluzione per il dopo cena e finché farà comodo continuerà a sguazzare nelle sue due dita d’acqua.
[*] Nella motivazione della sentenza n. 1564 del 2.5.2003 della Corte di Appello di Palermo nel processo a carico di Andreotti, confermata definitivamente in Cassazione, si legge: «E i fatti che la Corte ha ritenuto provati dicono, comunque, al di là dell’opinione che si voglia coltivare sulla configurabilità nella fattispecie del reato di associazione per delinquere, che il sen. Andreotti ha avuto piena consapevolezza che suoi sodali siciliani intrattenevano amichevoli rapporti con alcuni boss mafiosi; ha, quindi, a sua volta, coltivato amichevoli relazioni con gli stessi boss; ha palesato agli stessi una disponibilità non meramente fittizia, ancorché non necessariamente seguita da concreti, consistenti interventi agevolativi; ha loro chiesto favori; li ha incontrati; ha interagito con essi; ha loro indicato il comportamento da tenere in relazione alla delicatissima questione Mattarella, sia pure senza riuscire, in definitiva, a ottenere che le stesse indicazioni venissero seguite; ha indotto i medesimi a fidarsi di lui e a parlargli anche di fatti gravissimi (come l’assassinio del Presidente Mattarella) nella sicura consapevolezza di non correre il rischio di essere denunciati; ha omesso di denunciare le loro responsabilità, in particolare in relazione all’omicidio del Presidente Mattarella, malgrado potesse, al riguardo, offrire utilissimi elementi di conoscenza».


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