domenica 30 settembre 2012

Facce di marmo



Scrive oggi il blog di Grillo che l’Italia “senza l'intervento degli Alleati avrebbe oggi statue al duce in ogni piazza d'Italia”.

È possibile. In Francia avrebbero quelle di Pétain con il braccio teso, in Norvegia quelle di Quisling, in Romania quelle di Codreanu, in Slovacchia quelle di Tiso, eccetera. Grillo si dimentica soprattutto di dirci quali statue avrebbero i virtuosi tedeschi. Senza dimenticare, inoltre, che per Alleati si deve intendere anche l’Armata rossa, la quale teneva impegnati diversi milioni di tedeschi e, per soprammercato, anche 230mila italiani in gran parte ventenni colpevoli solo di essere coscritti. Altri 40mila caddero come oppositori del fascismo, senza contare le decine di migliaia che rinchiusi nei campi di prigionia tedeschi rifiutarono di aderire alla repubblichetta sociale italiana. 

Digressioni notturne sull'arte



Dell’arte anche ciò che appartiene al passato è un segmento del mercato. Ne ho fatto cenno in settimana a proposito delle mostre di Vermeer a Roma (in cui è assente l’opera forse più famosa dell’artista) e di Picasso a Milano. Di quest’ultimo artista sono in apertura in questi giorni almeno altre due personali: al Guggenheim di New York (Picasso in bianco e nero), e al Museo Nazionale Reina Sofia di Madrid (Incontro con gli anni ’30), dove è esposta l’opera più celebre di Picasso, Guernica, considerata il capolavoro assoluto del secolo scorso.

L’arte è morta, non solo perché viviamo nell’epoca della duplicazione, quindi della sua industrializzazione, ma perché non risponde più a nessun bisogno reale e può giustificarsi soltanto in termini puramente estetici, della pura contemplazione da parte di un pubblico pagante. È venuta essa stessa a far parte dell’alienazione, dove l’esclusione è fatta apparire come partecipazione. Possiamo tranquillamente definirla come la merce modello, il cui unico interesse risiede nelle sue astratte trovate tecnico-estetiche. Se no, che altro mi significa la spazzatura messa in mostra come bric-a-brac estetico in una Biennale?

Ma cos’è sta cavolo di alienazione, di cosa mi parli? Breve digressione. Se vediamo un bassorilievo assiro, possiamo vedervi raffigurato un contadino con l’aratro, il manico del quale è ornato d’intagli. Arte o artigianato? Il pittore e lo scultore che nelle loro botteghe utilizzano più e più volte, in serie, il loro motivo preferito, diventano per questo degli artigiani? Michelangelo dedicò il suo genio alla falegnameria: il soffitto della biblioteca laurenziana, della sala di lettura, è una sua creazione. Compresi i banchi per i lettori! E Raffaello, si sporcò le mani con vili (si fa per dire) decorazioni e opere di falegnameria. Cosa non fece per elaborare la decorazione della loggia del Vaticano, ma non si occupò solo dei motivi ornamentali eseguiti dal suo allievo Giovanni da Udine, bensì anche le porte in legno del Basile furono preparate sotto la sua direzione. Per non dire di Leonardo e moltissimi altri.

Chissà se alle scuderie del Quirinale è in programma una mostra dedicata a Lucas Cranach. Potrebbe capitare. Come ci rimarrebbero in tal caso le centinaia di migliaia di “visitatori” se scoprissero che il maestro si recò con i suoi lavoranti da Wittenberg a Torgau per imbiancare una casa e un muro di giardino. Scrive Marx: In genere, la riflessione sulle forme della vita umana, e quindi anche l'analisi scientifica di esse, prende una strada opposta allo svolgimento reale

Ecco il punto dal quale far partire la riflessione: in coda per entrare a una mostra d’arte fingiamo con noi stessi di vivere in un mondo in cui non c’è che la vita e non ci accorgiamo invece che siamo in tutti i modi colpiti nella nostra integrità sociale a cominciare proprio dalle nostre potenzialità creative, dalla nostra possibilità di capire e fruire in modi diversi da quelli nei quali illusoriamente partecipiamo. Ma di questo dirò forse in un’altra occasione.

sabato 29 settembre 2012

Hanno già votato



Nella crisi di sovranità degli Stati, i partiti fanno parte della malattia e perciò non sta in essi esserne la cura. Anzi, il loro interclassismo e il radicamento negli strati burocratici (e malavitosi) della società li rende particolarmente inadatti alla nuova fase. La crisi del debito sovrano, la mancanza di fiducia negli Stati, non ha fatto altro che aggravare tale stato di cose e si assiste a un ulteriore trasferimento di sovranità agli organismi sovrannazionali analogo a quello realizzato in materia monetaria.

Anche il senso comune sta percependo quanto sia inutile la contesa politica ed elettorale, quanto sia superfluo recarsi alle urne dal momento che le decisioni ultime sono appannaggio di centri di potere che sfuggono in toto a qualsiasi, anche solo formale e immaginato, controllo dal basso. Ciò che si sta giocando a livello dei partiti è solo una lotta di riposizionamento di leadership e del vecchio canagliume saltafossi, del cretinismo parlamentare più becero.

Quella che un tempo era la sinistra è ridotta alla caricatura di se stessa, ad una macchietta speculare della destra, protesa a «contendere il centro alla destra» con le stesse «armi» lessicali e concettuali dell’antagonista, per dirla con Luciano Canfora. Destra e sinistra, “coese”, per fare tutte insieme “le cose che contano”, come sta succedendo ora sotto la guida “tecnica”. Le decisioni che delineano il recinto entro cui si potranno muovere le future coalizioni di governo sono già passate in giudicato. Le cose che contano, per il prossimo ventennio, sono tutte entro il fiscal compact, del quale non si parla affatto ma è il vero convitato di pietra delle prossime elezioni e di quelle che verranno anche dopo.

Il partito europeo sui grandi giornali festeggia a buon diritto sia il fiscal compact che il fondo salvastati. I grandi interessi industriali e finanziari hanno già votato e del resto la “linea Monti”, se non proprio Monti stesso, è la garanzia, verso Francoforte e Berlino ma anche verso gli Usa, che la tradizionale inconcludenza e la cronica instabilità della politica italiana è stata posta sotto tutela e non potrà più nuocere alla svendita di ciò che resta del patrimonio pubblico e al grande salasso dei redditi medio bassi, così come al taglio della spesa sociale.


venerdì 28 settembre 2012

Sindrome


Per gli aficionados della felice decrescita, oltre al Rapporto Svimez, segnalo che la grande catena Unilever ha annunciato di aver iniziato a impiegare una nuova strategia di marketing, quella del cosiddetto "terzo mondo", ma questa volta in Europa. Non solo Uniliver, ma anche Nestlé ha adottato la stessa strategia. Testimonianze eloquenti della crescente disuguaglianza sociale nel nostro continente.


Il signor Jan Zijderveld, responsabile Unilever per l'Europa, in un’intervista al Financial Times Deutschland,  ha dichiarato senza mezzi termini che la decisione è stata presa perché “la povertà è tornata in Europa”. Unilever ha già adottato tale strategia in Grecia e in Spagna, dove la disoccupazione giovanile è rispettivamente al 53,8 per cento e il 52,9 per cento.

Nell’articolo viene detto che tale strategia, nota come spesa low budget, è stata adottata anche nel Regno Unito. Ed infatti, secondo un rapporto redatto dall’Institute for Fiscal Studies (IFS) e l'Istituto per la ricerca economica (IER), si prevede che gli standard di vita per le famiglie a basso e medio reddito della Gran Bretagna scenderà drasticamente nei prossimi otto anni, anche nel caso il paese dovesse uscire dall’attuale recessione.

Anche in Germania, secondo un report locale, il divario tra ricchi e poveri si sta allargando, tanto che la quota di ricchezza totale in mano al 10% della popolazione è passata dal 45% del 1998, al 53% nel 2008 e non sta certo scendendo.

Per l’Italia, il vice presidente per il customer development di Unilever Italia, Paolo Somma, ha dichiarato: «Oggi sul mercato abbiamo quindi affiancato ai nostri prodotti premium, prodotti di buono standard qualitativo a prezzi più accessibili e stiamo modulando i formati affinché l’offerta sia conforme alle nuove necessità di consumo». Cosa s’intenda per un buono standard poi eventualmente lo si scopre quando si porta a casa la merce, oppure non lo si scopre affatto. L’intento dichiarato da Somma è di «evitare che i nostri consumatori possano sentirsi frustrati dal non potersi permettere ciò che usavano consumare. Il nostro obiettivo è stato e continuerà a essere quello di integrare l’offerta di mercato per dare il nostro contributo affinché esso non sia impattato da una sindrome che definirei di ‘pauperismo’».

La borghesia e i suoi rappresentanti politici e sindacali, ha ripudiato qualsiasi idea di riforma sociale, impegnata in una vera e propria guerra di classe per massimizzare l’estorsione di ogni possibile maggior profitto. I salariati hanno percepito chi glielo sta mettendo in culo, ma non hanno una strategia, un programma, nulla di decente per condurre una lotta qualsiasi contro i replicanti del capitale. Sono stati traditi mille volte e abbandonati da quella che consideravano, a torto, la loro parte politica.

Non è da escludere, anzi è probabile, che in un’atmosfera d’irritazione generale, il disoccupato e il precario, il padroncino disperato e il professionista disagiato, l’intellettuale irrequieto e ansioso di prestigio sociale, lo studente spostato senza scrupoli di coerenza e moralità, ieri progressista e domani chissà, e tutta quella serie di semiproletari che hanno visto naufragare le loro speranze, non decidano, con l’approfondirsi della crisi, di abbracciare apertamente la reazione. È ciò che temo e pavento fin dal nome di questo blog.



Articolo 58, comma 10



Per chi non si accontenta del solito cazzeggio, segnalo questo post di notevole chiarezza, efficacia e concisione.

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Diciottobrumaio era stato inserito nel roll di un certo blog. Dopo qualche tempo è stato cassato, inopinatamente. Probabilmente ai sensi dell’articolo 58, comma 10. I più giovani probabilmente non sanno cos’era, ma fino a pochi decenni or sono anche i bambini sapevano benissimo di questo famigerato articolo e del suo relativo comma. In Urss.