lunedì 20 luglio 2015

Gli aztechi non erano vegani


Di seguito un altro post estivo al quale farà seguito, questa sera o domani, un post “tecnico” dove si pongono in evidenza i motivi per i quali l’attuale non è una classica crisi di ciclo ma si configura come crisi generale storica del modo di produzione capitalistico. Insomma, romanzo d’appendice.

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Dopo il grande successo del post sull’eutanasia dei poveri e sulle minacciose formiche che puntano a dominare il pianeta, propongo qualche spigolatura su temi affini. Per esempio il mais. Nella zona prealpina in cui abito è la coltura dominante. Con enormi getti d’acqua a tutte le ore del giorno e della notte s’innaffia questo tipo di coltura. Non è raro, passando a piedi o in bici per qualche strada interna, beccarsi un’improvvisa doccia gratis. Quanta acqua serve per produrre una pannocchia? Tanta. In questa zona l’acqua necessaria è attinta dalle numerose roste in cui nuotano anche trote e avannotti, ma anche temoli, pesci marcatori di un buon stato di salute di quelle acque, nonostante certa gentaglia continui a usarle come pattumiere.

Anche oggi, nell’insalata, oltre a certi semi, ho aggiunto del mais. Nel caso fosse “trans” non me ne importa nulla, del resto di ciò che viene definito “bio” ho sempre diffidato. E poi senza il mais la cucina veneta non sarebbe la stessa cosa. Oltre alla polenta, il mais mi fa venire subito in mente le tortilla (di mais), cioè il piatto base della cucina centroamericana; quindi i tamales, una sorta di panzerotti cotti a vapore, ripieni di carne macinata e salse, avvolti in foglie di mais o banana (vi sono un’infinità di ricette ognuna con molte varianti); il pozole, molto noto, è invece un piatto a base di mais tenero, carne di maiale e peperoncino (quanto a quest’ultimo, massima attenzione in quei luoghi, quello calabrese è acqua fresca). L’atole, invece, è una bevanda ottenuta facendo bollire farina di mais in acqua o latte (consiglio il latte), cui si aggiunge zucchero, cannella, ma soprattutto (a mio gusto) cioccolato (allora si chiama champurrado e a colazione è ottimo), ecc..

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A proposito di mais e del suo uso culinario, esso veniva impiegato nella cucina azteca assieme a un certo tipo di carne. Il termine “azteco” è assai improprio anche se comunissimo, infatti il nome con cui gli antichi messicani definivano se stessi, in lingua classica nāhuatl, era “mexicas”. Motecuhzoma e il suo popolo morirono senza sapere di essere degli “aztechi”. Infatti il termine appare per la prima volta alla fine del Cinquecento in un testo di Alverardo Tezozomoc e però ancora alla fine del Settecento veniva usato poco di frequente preferendogli il termine “messicani”. È Prescott ad aver diffuso, con la sua celebre opera, il termine “azteco”, da un luogo chiamato Aztlán.

Bernardino de Sahagùm, nella sua Historia general de las cosas de la Nueva España, uno dei libri più importanti del Rinascimento a livello mondiale (*), nonché un’opera fondamentale per l’antropologia e che si propone di riscattare il passato indigeno, scrive:

“La carne era cotta con mais e ciascuno ne riceveva un pezzo in una ciotola o in un recipiente di coccio, insieme al brodo di mais, e chiamavano quel piatto tlacatlalolli”.




Oggi in Messico credo che questa ricetta non usi più, anche perché si tratta di una pratica alimentare vietata essendo il tipo di carne usata, pur comune, di origine molto particolare.

Il capitolo sull’antropofagia è molto controverso e tuttavia non si può ignorare la storia e le testimonianze sono plurime a tale riguardo, sia da parte spagnola che da parte indigena. Lo stesso Las Casas, al di sopra di ogni sospetto in quanto fervente difensore degli indios, descrive:

Dopo essere stati sacrificati, i corpi erano gettati dai gradini [del tempio], e da lì i ministri li portavano alle cucine, dove venivano fatti a pezzi, e la mattina e all’ora di pranzo se ne dava ai signori e ai notabili presenti e a tutti coloro che lo meritassero per la loro reputazione.

Anche Diego de Durán riporta numerose testimonianze:

Dopo essere stati uccisi e gettati in basso, erano raggiunti dai padroni dai quali erano stati catturati, che li portavano con sé per ripartirli tra loro e mangiarli, celebrando la solennità dell’atto (Codice Durán).

Anche le donne venivano sacrificate e nemmeno i bambini venivano risparmiati. Scrive de Sahagùm: “In questi luoghi sacrificavano molti bambini; e dopo averli uccisi, li cucinavano e li mangiavano”. Comunisti ante-litteram.

Vi risparmio il racconto sulla pratica dello scorticamento che era “sempre motivo di baldoria”.

Cortèz attribuì l’antropofagia alla mancanza di bestiame e propose, come rimedio, l’introduzione del maiale.

(*) L'opera si basa sulla traduzione (non integrale) di un codice in lingua classica nāhuatl conservato alla Laurenziana di Firenze.



7 commenti:

  1. Ma non erano i Komunisti che mangiavano i bambini ?

    caino

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  2. In risposta ad Anonimo sui Komunisti!
    infatti, Olympe l'ha scritto: " Anche le donne venivano sacrificate e nemmeno i bambini venivano risparmiati. Scrive de Sahagùm: “In questi luoghi sacrificavano molti bambini; e dopo averli uccisi, li cucinavano e li mangiavano”. Comunisti ante-litteram ".

    Aztechi o mexicani, credo che l'epoca in cui sono state praticate queste usanze, non dico assolva, ma in parte giustifica il loro comportamento (l'essere cannibali), perchè di cannibali dell'era moderna ne abbiamo a bizzeffe e non solo nel termine letterale della parola. Penso ai mangiatori di diritti dei popoli, a chi stupra le costitutuzioni, a chi gioca con la vita dei cittadini in nome del profitto finanziario, squali dalle sembianze umanoidi.
    Buona giornata Olympe.

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    1. mi associo, ma le intenzioni di caino erano sicuramente ironiche

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  3. Il peperoncino di quelle parti è per lo più Capsicum Chinense, che di solito è molto più piccante del Capsicum Annum coltivato dalle nostre parti. Negli ultimi anni si trovano anche in italia piantine e semi di molte varietà di Capsicum Chinense, dalle nostre parti la coltivazione non è agevole ma ne vale sicuramente la pena. Oltre alla piccantezza estrema questi peperoncini hanno aromi eccezionali.

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  4. Salve, commento interessante al quale voglio dare qualche ulteriore contributo.
    Molti antropologi per anni hanno sostenuto che la dieta azteca che prevedeva l'uso di carni umani era dovuta ad una carenza di proteine, mancando in quelle zone validi animali trasformatori di vegetali in carne. E' la tesi dell'antropologo Marvin Harris, in Cannibali e Re, traduzione di Mario Bacciantini, prima edizione Milano 1979. Infatti afferma:"la principale fonte di cibo per gli dei aztechi erano i prigionieri di guerra, i quali venivano avviati lungo i gradini delle piramidi verso i templi, dove quattro preti li afferravano, stendendoli sopra l'altare di pietra, e un quinto prete, che impugnava un coltello di ossidiana, li squartava trasversalmente lungo il petto." Per l'antropologo la causa era dovuta ad un fatto ben chiaro che qui riporto: l'America centrale si trovò, alla fine dell'epoca glaciale, di fronte a u un esaurimento delle risorse di carne animale più grave che in qualsiasi regione......Ma se la carne veniva fornita in grande quantità alla nobiltà, ai soldati e al loro entourage,e se l'offerta veniva sincronizzata per compensare i deficit di produzione del ciclo agricolo, Montezuma e la sua classe dirigente mantenevano abbastanza credito politico per evitare il crollo politico." Queste considerazioni ci spingono riflettere su quel famoso libello di Jonathan Swift sulla carestia in Irlanda contenuta nel famoso testo "una modesta proposta". Come lo scrittore percepisse nettamente il legame possibile tra aberrazioni alimentari e controllo di classe. Oggi va fatta un'altra considerazione: il cibo spazzatura è abbondante per i poveri, vedi i dati sulla obesità nei pesi occidentali, mentre quello migliore è riservato per pochi privilegiati.

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    1. ho risposto al suo commento:
      http://diciottobrumaio.blogspot.it/2015/07/guerre-fiorite.html

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