Sulle
sorti magnifiche e progressive del capitalismo (detto senza ironia), e dunque
anche su quelle della Grecia, ebbe a scrivere Karl Marx quando aveva 27 anni,
cioè quasi 170 anni or sono. Non
già in una delle sue opere di maggior peso scientifico, ma in un libello di
propaganda destinato a quegli operai che sapevano leggere (non molti) e capire.
Oggi
che sono in molti a dire di saper leggere e non pochi coloro che si piccano di capire,
gli scritti di Marx vengono trascurati o tutt’al più approcciati nell’interpretazione
di qualche povero disgraziato. I motivi adotti sono i più vari e tuttavia
riconducibili a poche auliche sentenze: Marx sarebbe il padre putativo del
sedicente comunismo sovietico e cinese, dunque eponimo delle carestie e dei
gulag; sarebbe anche stato confutato, pure se non si sa bene da chi e soprattutto
come; nella più benevola delle motivazioni, egli avrebbe analizzato e descritto
il capitalismo di un’epoca alla quale non apparteniamo più. Si può dunque evincere,
da un rapido ma esaustivo sondaggio, che non v’è individuo alfabeta che non possa
dall’alto in basso sputargli in faccia.
Da
quel libello, ripeto, di tono divulgativo ma non per questo meno acuto e
pregnante, traggo qualche passo, giusto un assaggio per suggerire
una lettura o rilettura per le prossime vacanze:
«La grande industria ha creato quel
mercato mondiale, ch'era stato preparato dalla scoperta dell'America. Il
mercato mondiale ha dato uno sviluppo immenso al commercio, alla navigazione,
alle comunicazioni per via di terra. Questo sviluppo ha reagito a sua volta
sull'espansione dell'industria, e nella stessa misura in cui si estendevano
industria, commercio, navigazione, ferrovie, si è sviluppata la borghesia, ha
accresciuto i suoi capitali e ha respinto nel retroscena tutte le classi tramandate
dal medioevo.
Vediamo dunque come la borghesia
moderna è essa stessa il prodotto d'un lungo processo di sviluppo, d'una serie
di rivolgimenti nei modi di produzione e di traffico.
[…] la borghesia, infine, dopo la creazione
della grande industria e del mercato mondiale, si è conquistata il dominio
politico esclusivo dello Stato rappresentativo moderno. Il potere statale
moderno non è che un comitato che amministra gli affari comuni di tutta la
classe borghese.
La borghesia ha avuto nella storia una
parte sommamente rivoluzionaria.
Dove ha raggiunto il dominio, la
borghesia ha distrutto tutte le condizioni di vita feudali, patriarcali,
idilliche. Ha lacerato spietatamente tutti i variopinti vincoli feudali che
legavano l'uomo al suo superiore naturale, e non ha lasciato fra uomo e uomo
altro vincolo che il nudo interesse, il freddo "pagamento in
contanti". Ha affogato nell'acqua gelida del calcolo egoistico i sacri
brividi dell'esaltazione devota, dell'entusiasmo cavalleresco, della malinconia
filistea. Ha disciolto la dignità personale nel valore di scambio e al posto
delle innumerevoli libertà patentate e onestamente conquistate, ha messo,
unica, la libertà di commercio priva di scrupoli. In una parola: ha messo lo
sfruttamento aperto, spudorato, diretto e arido al posto dello sfruttamento
mascherato d'illusioni religiose e politiche.
La borghesia ha spogliato della loro
aureola tutte le attività che fino allora erano venerate e considerate con pio
timore. Ha tramutato il medico, il giurista, il prete, il poeta, l'uomo della
scienza, in salariati ai suoi stipendi. La borghesia ha strappato il commovente
velo sentimentale al rapporto familiare e lo ha ricondotto a un puro rapporto
di denaro.
[…] Solo la borghesia ha dimostrato che cosa
possa compiere l'attività dell'uomo. Essa ha compiuto ben altre meraviglie che
le piramidi egiziane, acquedotti romani e cattedrali gotiche, ha portato a
termine ben altre spedizioni che le migrazioni dei popoli e le crociate.
La borghesia non può esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di
produzione, i rapporti di produzione, dunque tutti i rapporti sociali.
Prima condizione di esistenza di tutte le classi industriali precedenti era
invece l'immutato mantenimento del vecchio sistema di produzione. Il continuo
rivoluzionamento della produzione, l'ininterrotto scuotimento di tutte le
situazioni sociali, l'incertezza e il movimento eterni contraddistinguono
l'epoca dei borghesi fra tutte le epoche precedenti. Si dissolvono tutti i
rapporti stabili e irrigiditi, con il loro seguito di idee e di concetti
antichi e venerandi, e tutte le idee e i concetti nuovi invecchiano prima di
potersi fissare. Si volatilizza tutto ciò che vi era di corporativo e di
stabile, è profanata ogni cosa sacra, e gli uomini sono finalmente costretti a
guardare con occhio disincantato la propria posizione e i propri reciproci
rapporti.
Il bisogno di uno smercio sempre più
esteso per i suoi prodotti sospinge la borghesia a percorrere tutto il globo
terrestre. Dappertutto deve annidarsi, dappertutto deve costruire le sue basi,
dappertutto deve creare relazioni.
Con lo sfruttamento del mercato
mondiale la borghesia ha dato un'impronta cosmopolitica alla produzione e al
consumo di tutti i paesi. Ha tolto di
sotto i piedi dell'industria il suo terreno nazionale, con gran rammarico dei
reazionari. Le antichissime industrie nazionali sono state distrutte, e
ancora adesso vengono distrutte ogni giorno. Vengono soppiantate da industrie
nuove, la cui introduzione diventa questione di vita o di morte per tutte le
nazioni civili, da industrie che non lavorano più soltanto le materie prime del
luogo, ma delle zone più remote, e i cui prodotti non vengono consumati solo
dal paese stesso, ma anche in tutte le parti del mondo. Ai vecchi bisogni,
soddisfatti con i prodotti del paese, subentrano bisogni nuovi, che per essere
soddisfatti esigono i prodotti dei paesi e dei climi più lontani. All'antica
autosufficienza e all'antico isolamento locali e nazionali subentra uno scambio
universale, una interdipendenza universale fra le nazioni. E come per la
produzione materiale, così per quella intellettuale. I prodotti intellettuali
delle singole nazioni divengono bene comune. L'unilateralità e la ristrettezza
nazionali divengono sempre più impossibili, e dalle molte letterature nazionali
e locali si forma una letteratura mondiale.
Con il rapido miglioramento di tutti
gli strumenti di produzione, con le comunicazioni infinitamente agevolate, la
borghesia trascina nella civiltà tutte le nazioni, anche le più barbare. I
bassi prezzi delle sue merci sono l'artiglieria pesante con la quale spiana
tutte le muraglie cinesi, con la quale costringe alla capitolazione la più
tenace xenofobia dei barbari. Costringe
tutte le nazioni ad adottare il sistema di produzione della borghesia, se non
vogliono andare in rovina, le costringe ad introdurre in casa loro la
cosiddetta civiltà, cioè a diventare borghesi. In una parola: essa si crea un
mondo a propria immagine e somiglianza».
Ti conosco mascherina: te speri che, a settembre, al rientro dalla ferie, si possa diventare tutti un po' più rivoluzionari.
RispondiEliminapiù cattivi, cattivissimi
EliminaLe mie radici di Ginestra ,sentono brontolii dal profondo,,mentre osservo dall'alto la piana,ove letterati ed illetterati,si affannano alla ricerca del Graal...
RispondiEliminaRagionieri e contabili intanto si affannano per trar profitto dalla ricostruzione..
Ohh Vesuvo..mioVesuvo!!
Caino
sono parole cariche di ammirazione per una classe sociale rivoluzionaria. Oggi la borghesia non è più rivoluzionaria, anzi. In molti paesi l'affermazione del capitalismo borghese è stata senza rivoluzione. Le vecchie strutture sociali e le nuove convivono fin dentro alla singola persona. Questo è il massimo dell'ambiguità in paesi dove ancora i vincoli religiosi, famigliari e tribali sono molto importanti. E' però un'ambiguità che ormai sa di incertezza, non saper più come fare, attesa per un nuovo soggetto che li farà fuori.
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