In
un recente post accennavo all’uso di cibarsi di carne umana presso le
popolazioni mesoamericane. Un lettore, in un suo commento, richiamava la tesi
dell'antropologo Marvin Harris, in Cannibali
e Re, un vecchio libro che a suo tempo ebbe un largo riscontro di lettori.
In buona sostanza “l'uso di carni umane
era dovuta ad una carenza di proteine, mancando in quelle zone validi animali
trasformatori di vegetali in carne”.
Soggiunge
il lettore che per l'antropologo la causa era dovuta ad un fatto ben chiaro: “l'America centrale si trovò, alla fine
dell'epoca glaciale, di fronte a un esaurimento delle risorse di carne animale
più grave che in qualsiasi regione […].
Ma se la carne veniva fornita in grande quantità alla nobiltà, ai soldati e al
loro entourage, e se l'offerta veniva sincronizzata per compensare i deficit di
produzione del ciclo agricolo, Montezuma e la sua classe dirigente mantenevano
abbastanza credito politico per evitare il crollo politico”.
Il
lettore, nel suo commento, svolge inoltre un’interessante considerazione
facendo riferimento al “libello di
Jonathan Swift sulla carestia in Irlanda contenuta nel famoso testo Una modesta
proposta. Come lo scrittore percepisse nettamente il legame possibile tra
aberrazioni alimentari e controllo di classe. Oggi va fatta un'altra
considerazione: il cibo spazzatura è abbondante per i poveri, vedi i dati sulla
obesità nei pesi occidentali, mentre quello migliore è riservato per pochi
privilegiati”. Su tale ultima osservazione mi riservo di rispondere in un altro
momento.
Provo formulare una risposta premettendo che non ho alcuna pretesa specialistica nel trattare l’argomento,
e dunque illustrerò semplicemente il mio punto di vista ricavato sulla base di
poche e occasionali letture su un argomento molto dibattuto e assai complesso.
*
La
tesi di Marvin Harris, che in realtà s’ispira a Michael Harner, è suggestiva e
non priva di numerosi riscontri oggettivi. Senza dover rifare la storia da
quando l’uomo scese dagli alberi, non v’è dubbio che in ogni epoca, anche
recente, la fame ha fatto cadere l’umano nella bestialità. L’antropofagia per
carenza alimentare è attestata in tutta l’area europea quando circostanze
particolari ma ricorrenti (guerre, carestie, pestilenze) rendevano problematico
l’approvvigionamento di cibo. Dunque non si tratta di pratiche in uso solo a popoli
cosiddetti selvaggi lontani dalla nostra civiltà. È sufficiente ricordare
quanto scriveva Procopio di Cesarea al seguito di Belisario durante la guerra
gotico-bizantina (VI secolo):
Tutti divenivano emaciati e pallidi, e
la carne loro mancando di alimento secondo l’antico adagio, consumava sé stessa
[…]. Taluni furono che sotto la violenza della fame mangiaronsi l’un
l’altro: e dicesi che pure due donne in certa campagna al di là di Rimini
mangiassero diciassette uomini: poiché essendo superstiti in quel villaggio,
coloro che di là viaggiavano andavano a stare nella casa da loro abitata, ed
esse uccisili mentre dormivano, se ne cibavano (*).
Non
è leggenda che in un piccolo paese nelle immediate vicinanze della “linea
gotica”, nell’inverno del 1944, toccò a una pattuglia di tedeschi di venire
sorpresa e annientata. Le loro carni, in parte fresche e altre salate,
aiutarono a risolvere la crisi di sussistenza della piccola comunità (**).
La
fame è il primum movens biologico della
necessità in talune circostanze di cibarsi di carne umana, ma il ricorso sistematico
all’antropofagia non può essere considerato motivo sufficiente ed esclusivo di
una pratica sistematica. Popoli dotati di cultura elevata e di mezzi di
sostentamento adeguati, praticavano abitualmente il cannibalismo, in ciò
denotando un particolare orientamento nei confronti del mondo e della vita che
a noi appare incomprensibile e che anzi percepiamo con raccapriccio.
*
A
voler contrastare la tesi di Harris, si può rilevare che l’antropofagia non era
pratica sistematica e diffusa tra molti popoli dei pellerossa del Nord America,
i quali pur praticavano sacrifici umani per favorire i raccolti (***). Ciò non
può dipendere solo dal fatto che essi potevano cacciare il bisonte e di
conseguenza nutrirsi di un tipo di carne molto proteico.
Le
popolazioni mesoamericane sacrificavano pur esse per i riti legati alla terra,
tuttavia praticavano, sotto la funzione del rito religioso, una vera e propria
macellazione di serie di carne umana a scopo alimentare. Eppure esse avevano a
loro disposizione, tanto meglio se appartenenti alle classi alte, tacchini,
galline, fagiani, cinghiali, cervi, pernici, quaglie, anatre domestiche e
selvatiche, uccelletti di ogni varietà, lepri e conigli e molte altre specie di
volatili e animali che vivono in quell’area e che sono davvero numerosissimi.
Bernal
Diaz del Castillo, uno dei più accreditati biografi della conquista spagnola
alla quale aveva attivamente partecipato, riteneva che il desiderio di cibarsi
di carne umana fosse una delle principali ragioni che indusse gli indios rivali
degli aztechi a passare con gli spagnoli. Lo stesso Cortés scrive a proposito
dell’assedio di Tenochtitlan:
In quest’azione furono uccisi oltre
cinquecento indios [aztechi], dei più nobili, forti e valorosi. Quella notte i
nostri alleati [anzitutto i tlaxcaltechi] ebbero un’abbondante cena perché portarono via, tagliati a pezzi,
tutti i nemici catturati per mangiarli.
Si
può seriamente credere che uno dei motivi fondamentali dell’alleanza tra gli
indios e gli spagnoli dipendesse da ragioni di gastronomia locale? L’episodio
iniziale in cui a Quiahitzlan comparvero gli esattori di Montecuhzoma, che
chiedevano venti giovani da destinare ai sacrifici, e il comportamento dei
cacicchi locali che approfittarono dell’appoggio degli spagnoli per liberarsi del
giogo a cui li sottoponevano gli aztechi, mi sembra eloquente delle reali
motivazioni che spinsero gli indios all’alleanza con Cortés.
Credo
siano illuminanti a tale riguardo le cosiddette “guerre fiorite” o “floride” (xochiyaoyatl),
cioè delle guerre rituali, volte non a uccidere l’avversario ma a catturare
prede umane da sacrificare e di cui cibarsi. I tlaxcaltechi venivano fatti partecipare, dalla Triplice alleanza azteca, a
questo genere di guerre rituali in cui gli aztechi riuscivano sempre vincitori,
in forza del fatto che i tlaxcaltechi, a causa delle continue catture dei loro guerrieri
destinati ai sacrifici aztechi, si trovavano sempre in condizioni d’inferiorità.
Trovo
una conferma diretta, sul ruolo delle “guerre fiorite”, nella notevole
biografia dedicata a Cortés da Juan
Miralles:
“Parlando con i cacicchi, Cortés venne
a sapere che l’inimicizia tra i tlaxcaltechi e i mexica [aztechi] risaliva
a tempi antichi […], il signore di
Tenochtitlan [Montecuhzoma] avrebbe
potuto ridurre facilmente Tlaxcala [capitale tlaxcalteca] all’impotenza, data la sproporzione delle
forze. Ma era più interessato a
mantenere lo statu quo: i giovani mexica avevano così l’opportunità di fare
esperienze di guerra senza doversi spostare lontano” (p.108-09).
Negli
stessi termini la cosa è confermata da Andréas de Tapia nella sua Relación sobre la conquista de México,
vol. II.
Più
in generale pare che questi riti guerreschi atti a catturare prede umane
avessero luogo in periodi di particolare siccità e dunque di carestia, e ciò
avvalorerebbe la tesi di Harris. Sennonché la pratica della cattura e del
sacrificio, dunque dell’antropofagia, al tempo della Conquista non era in
stretta dipendenza con motivi di necessità alimentare. Lo scopo
interno dei sacrifici era quello della legittimazione delle élite e di
terrorizzare gli schiavi, mentre quello esterno era volto a mostrare ai
numerosi popoli subalterni che il loro destino era oggetto della volontà e del
capriccio dell’élite azteca. Ad ogni modo, a una necessità materiale si
sovrappose poi una questione politico-ideologica, e, come sempre accade, essa
aveva la funzione di legalizzare e giustificare strutture di potere e pratiche
di dominio.
Senza
disporre di ulteriori dati per analizzare le circostanze politiche e sociali
che hanno reso possibile certe pratiche alimentari, mi pare comunque di poter
cogliere un fatto importante: la contraddizione fondamentale che portò infine
alla sconfitta e distruzione dell’impero azteco è nell’opposizione irriducibile
stabilitasi tra aztechi, tlaxcaltechi
e altre popolazioni indios. Dunque l’incapacità, da parte dell’élite azteca, di
stabilire un’alleanza in cambio di riconoscimenti e concessioni, contro l’invasore
spagnolo. Infatti e per contro, senza l’alleanza con tali popolazioni, Cortés nulla avrebbe potuto, come del resto ammise, contro un impero così potente e
irriducibile. Nemmeno un esercito europeo molto più numeroso avrebbe potuto
nulla contro centinaia di migliaia di guerrieri assai combattivi e feroci.
(*) La guerra gotica, Libro II, cap. XX, TEA, p. 313.
(**)
Piero Camporesi, Il pane selvaggio,
il Mulino, p. 8.
(***)
J.G. Frazer, Il ramo d’oro,
Boringhieri, II, p. 629.
P.S. : Credo che questo post, che non ha ricevuto un commento nemmeno per dire che è una cazzata, sia stato letto integralmente da pochi e abbia interessato solo chi l’ha scritto. Del resto ciò che interessa è l’instant blogging. E per quanto cerchi di adeguarmi ogni tanto scappo via. Ad ogni modo volevo dire che avevo scritto il nome di Cortés facendo uso di una consonante fricativa alveolare sonora (z) invece della corretta fricativa sorda (s). Mi verrebbe quasi da dire che l’ho fatto apposta, ma non è così. Sapevatelo.
P.S. : Credo che questo post, che non ha ricevuto un commento nemmeno per dire che è una cazzata, sia stato letto integralmente da pochi e abbia interessato solo chi l’ha scritto. Del resto ciò che interessa è l’instant blogging. E per quanto cerchi di adeguarmi ogni tanto scappo via. Ad ogni modo volevo dire che avevo scritto il nome di Cortés facendo uso di una consonante fricativa alveolare sonora (z) invece della corretta fricativa sorda (s). Mi verrebbe quasi da dire che l’ho fatto apposta, ma non è così. Sapevatelo.
Io ti leggo sempre e tutto.
RispondiEliminagrazie Luigi, uno dei due motivi per cui continuo
EliminaMi associo a Luigi, Olympe non ti sfiori il pensiero di mollare!
EliminaCiao, g
molto interessante, grazie
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