venerdì 24 luglio 2015

Guerre fiorite


In un recente post accennavo all’uso di cibarsi di carne umana presso le popolazioni mesoamericane. Un lettore, in un suo commento, richiamava la tesi dell'antropologo Marvin Harris, in Cannibali e Re, un vecchio libro che a suo tempo ebbe un largo riscontro di lettori. In buona sostanza “l'uso di carni umane era dovuta ad una carenza di proteine, mancando in quelle zone validi animali trasformatori di vegetali in carne”.

Soggiunge il lettore che per l'antropologo la causa era dovuta ad un fatto ben chiaro: “l'America centrale si trovò, alla fine dell'epoca glaciale, di fronte a un esaurimento delle risorse di carne animale più grave che in qualsiasi regione […]. Ma se la carne veniva fornita in grande quantità alla nobiltà, ai soldati e al loro entourage, e se l'offerta veniva sincronizzata per compensare i deficit di produzione del ciclo agricolo, Montezuma e la sua classe dirigente mantenevano abbastanza credito politico per evitare il crollo politico”.

Il lettore, nel suo commento, svolge inoltre un’interessante considerazione facendo riferimento al “libello di Jonathan Swift sulla carestia in Irlanda contenuta nel famoso testo Una modesta proposta. Come lo scrittore percepisse nettamente il legame possibile tra aberrazioni alimentari e controllo di classe. Oggi va fatta un'altra considerazione: il cibo spazzatura è abbondante per i poveri, vedi i dati sulla obesità nei pesi occidentali, mentre quello migliore è riservato per pochi privilegiati”. Su tale ultima osservazione mi riservo di rispondere in un altro momento.

Provo formulare una risposta premettendo che non ho alcuna pretesa specialistica nel trattare l’argomento, e dunque illustrerò semplicemente il mio punto di vista ricavato sulla base di poche e occasionali letture su un argomento molto dibattuto e assai complesso.

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La tesi di Marvin Harris, che in realtà s’ispira a Michael Harner, è suggestiva e non priva di numerosi riscontri oggettivi. Senza dover rifare la storia da quando l’uomo scese dagli alberi, non v’è dubbio che in ogni epoca, anche recente, la fame ha fatto cadere l’umano nella bestialità. L’antropofagia per carenza alimentare è attestata in tutta l’area europea quando circostanze particolari ma ricorrenti (guerre, carestie, pestilenze) rendevano problematico l’approvvigionamento di cibo. Dunque non si tratta di pratiche in uso solo a popoli cosiddetti selvaggi lontani dalla nostra civiltà. È sufficiente ricordare quanto scriveva Procopio di Cesarea al seguito di Belisario durante la guerra gotico-bizantina (VI secolo):

Tutti divenivano emaciati e pallidi, e la carne loro mancando di alimento secondo l’antico adagio, consumava sé stessa […]. Taluni furono che sotto la violenza della fame mangiaronsi l’un l’altro: e dicesi che pure due donne in certa campagna al di là di Rimini mangiassero diciassette uomini: poiché essendo superstiti in quel villaggio, coloro che di là viaggiavano andavano a stare nella casa da loro abitata, ed esse uccisili mentre dormivano, se ne cibavano (*).

Non è leggenda che in un piccolo paese nelle immediate vicinanze della “linea gotica”, nell’inverno del 1944, toccò a una pattuglia di tedeschi di venire sorpresa e annientata. Le loro carni, in parte fresche e altre salate, aiutarono a risolvere la crisi di sussistenza della piccola comunità (**).

La fame è il primum movens biologico della necessità in talune circostanze di cibarsi di carne umana, ma il ricorso sistematico all’antropofagia non può essere considerato motivo sufficiente ed esclusivo di una pratica sistematica. Popoli dotati di cultura elevata e di mezzi di sostentamento adeguati, praticavano abitualmente il cannibalismo, in ciò denotando un particolare orientamento nei confronti del mondo e della vita che a noi appare incomprensibile e che anzi percepiamo con raccapriccio.

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A voler contrastare la tesi di Harris, si può rilevare che l’antropofagia non era pratica sistematica e diffusa tra molti popoli dei pellerossa del Nord America, i quali pur praticavano sacrifici umani per favorire i raccolti (***). Ciò non può dipendere solo dal fatto che essi potevano cacciare il bisonte e di conseguenza nutrirsi di un tipo di carne molto proteico.

Le popolazioni mesoamericane sacrificavano pur esse per i riti legati alla terra, tuttavia praticavano, sotto la funzione del rito religioso, una vera e propria macellazione di serie di carne umana a scopo alimentare. Eppure esse avevano a loro disposizione, tanto meglio se appartenenti alle classi alte, tacchini, galline, fagiani, cinghiali, cervi, pernici, quaglie, anatre domestiche e selvatiche, uccelletti di ogni varietà, lepri e conigli e molte altre specie di volatili e animali che vivono in quell’area e che sono davvero numerosissimi.

Bernal Diaz del Castillo, uno dei più accreditati biografi della conquista spagnola alla quale aveva attivamente partecipato, riteneva che il desiderio di cibarsi di carne umana fosse una delle principali ragioni che indusse gli indios rivali degli aztechi a passare con gli spagnoli. Lo stesso Cortés scrive a proposito dell’assedio di Tenochtitlan:

In quest’azione furono uccisi oltre cinquecento indios [aztechi], dei più nobili, forti e valorosi. Quella notte i nostri alleati [anzitutto i tlaxcaltechi] ebbero un’abbondante cena perché portarono via, tagliati a pezzi, tutti i nemici catturati per mangiarli.

Si può seriamente credere che uno dei motivi fondamentali dell’alleanza tra gli indios e gli spagnoli dipendesse da ragioni di gastronomia locale? L’episodio iniziale in cui a Quiahitzlan comparvero gli esattori di Montecuhzoma, che chiedevano venti giovani da destinare ai sacrifici, e il comportamento dei cacicchi locali che approfittarono dell’appoggio degli spagnoli per liberarsi del giogo a cui li sottoponevano gli aztechi, mi sembra eloquente delle reali motivazioni che spinsero gli indios all’alleanza con Cortés.

Credo siano illuminanti a tale riguardo le cosiddette “guerre fiorite” o “floride” (xochiyaoyatl), cioè delle guerre rituali, volte non a uccidere l’avversario ma a catturare prede umane da sacrificare e di cui cibarsi. I tlaxcaltechi venivano fatti partecipare, dalla Triplice alleanza azteca, a questo genere di guerre rituali in cui gli aztechi riuscivano sempre vincitori, in forza del fatto che i tlaxcaltechi, a causa delle continue catture dei loro guerrieri destinati ai sacrifici aztechi, si trovavano sempre in condizioni d’inferiorità.

Trovo una conferma diretta, sul ruolo delle “guerre fiorite”, nella notevole biografia dedicata a Cortés da Juan Miralles:

“Parlando con i cacicchi, Cortés venne a sapere che l’inimicizia tra i tlaxcaltechi e i mexica [aztechi] risaliva a tempi antichi […], il signore di Tenochtitlan [Montecuhzoma] avrebbe potuto ridurre facilmente Tlaxcala [capitale tlaxcalteca] all’impotenza, data la sproporzione delle forze.  Ma era più interessato a mantenere lo statu quo: i giovani mexica avevano così l’opportunità di fare esperienze di guerra senza doversi spostare lontano” (p.108-09).

Negli stessi termini la cosa è confermata da Andréas de Tapia nella sua Relación sobre la conquista de México, vol. II.

Più in generale pare che questi riti guerreschi atti a catturare prede umane avessero luogo in periodi di particolare siccità e dunque di carestia, e ciò avvalorerebbe la tesi di Harris. Sennonché la pratica della cattura e del sacrificio, dunque dell’antropofagia, al tempo della Conquista non era in stretta dipendenza con motivi di necessità alimentare. Lo scopo interno dei sacrifici era quello della legittimazione delle élite e di terrorizzare gli schiavi, mentre quello esterno era volto a mostrare ai numerosi popoli subalterni che il loro destino era oggetto della volontà e del capriccio dell’élite azteca. Ad ogni modo, a una necessità materiale si sovrappose poi una questione politico-ideologica, e, come sempre accade, essa aveva la funzione di legalizzare e giustificare strutture di potere e pratiche di dominio.

Senza disporre di ulteriori dati per analizzare le circostanze politiche e sociali che hanno reso possibile certe pratiche alimentari, mi pare comunque di poter cogliere un fatto importante: la contraddizione fondamentale che portò infine alla sconfitta e distruzione dell’impero azteco è nell’opposizione irriducibile stabilitasi tra aztechi, tlaxcaltechi e altre popolazioni indios. Dunque l’incapacità, da parte dell’élite azteca, di stabilire un’alleanza in cambio di riconoscimenti e concessioni, contro l’invasore spagnolo. Infatti e per contro, senza l’alleanza con tali popolazioni, Cortés nulla avrebbe potuto, come del resto ammise, contro un impero così potente e irriducibile. Nemmeno un esercito europeo molto più numeroso avrebbe potuto nulla contro centinaia di migliaia di guerrieri assai combattivi e feroci.

(*) La guerra gotica, Libro II, cap. XX, TEA, p. 313.

(**) Piero Camporesi, Il pane selvaggio, il Mulino, p. 8.

(***) J.G. Frazer, Il ramo d’oro, Boringhieri, II, p. 629.

P.S. : Credo che questo post, che non ha ricevuto un commento nemmeno per dire che è una cazzata, sia stato letto integralmente da pochi e abbia interessato solo chi l’ha scritto. Del resto ciò che interessa è l’instant blogging. E per quanto cerchi di adeguarmi ogni tanto scappo via. Ad ogni modo volevo dire che avevo scritto il nome di Cortés facendo uso di una consonante fricativa alveolare sonora (z) invece della corretta fricativa sorda (s). Mi verrebbe quasi da dire che l’ho fatto apposta, ma non è così. Sapevatelo.



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