“È una questione di sopravvivenza. Una
crisi economica così profonda e radicale – dagli effetti strutturali maggiori
di quella del ’29”. Lo scrive Il sole 24ore in riferimento all’Italia
ma il discorso può essere allargato al sistema nel suo complesso. Prosegue il
giornale confindustriale: “Qualcosa si è
rotto nell'anima di molti: lo spiega bene il suicidio di Egidio Maschio, uno
degli imprenditori simbolo del Nord-Est e della piccola e media impresa
italiana”. L’anima, come la chiamano, in questo caso è lo specchio di una
realtà non più sostenibile e non solo e non fondamentalmente per i motivi
adotti dal quotidiano: “quattro milioni e
centoduemila connazionali si trovano in condizioni di povertà assoluta, il
cuneo fiscale per il lavoratore dipendente single ha raggiunto il 48,2% nel
2014, mezzo punto in più rispetto al 2013 e dodici punti in più della media
Oecd”.
Nell’articolo
il quotidiano non cita due dati riferibili alla disoccupazione (totale e giovanile). Vero che c’è il
lavoro nero, quello che chiamano “sommerso”, e tuttavia si tratta di numeri
impressionanti che ci riportano con il discorso sempre allo stesso tema: c’è
sempre meno bisogno di lavoro, soprattutto in alcuni segmenti produttivi e poi
anche nei servizi. È questo un tema
che non può essere affrontato da un singolo paese, e solo in una certa misura
da una singola area economica, e
mi riferisco all’Europa, di per sé già così eterogenea economicamente e
industrialmente.
Insisto
ancora una volta: il sistema non può intervenire nelle proprie contraddizioni
di fondo e risolverle. Può però attenuarne l’impatto. Come? In questo specifico
aspetto si può intervenire con una riduzione decisa e generalizzata della giornata lavorativa normale. E però già qui entrano in gioco da subito problematiche legate agli aspetti fondamentali del modo di
produzione capitalistico, vale a dire la produzione di plusvalore e la
concorrenza tra singoli capitalisti e tra aree di mercato. Abbassare il livello di questi ostacoli sarebbe possibile con un’azione politica coordinata a livello
globale o almeno a livello delle aree capitalistiche metropolitane, ma vediamo
bene, per contro, lo stato miserabile in cui si trova la leadership politica a
livello mondiale.
Le
situazioni s’incancreniscono, le soluzioni tampone nemmeno tentate, si punta
esclusivamente alla massima razionalizzazione dei processi estorsivi del
profitto, ogni idea di riforma sociale è vietata nel discorso politico
ufficiale, percepita come un’eresia e un ritorno al passato. Al massimo si
giunge a dire che la disuguaglianza di reddito è “la grande questione morale
del nostro tempo”, come sta facendo Bernie Sanders, l’avversario “socialista”
della Clinton. Questione morale? Chissà perché quando si tratta dei soldi dei
ricchi la questione è “morale”, ma quando si tratta del sudore e del
sangue degli sfruttati la faccenda diventa maledettamente di “sostenibilità economica”.
Vediamo
come, di là dei bei discorsi e dei summit internazionali, come l'orientamento
di fondo della politica borghese sia il nazionalismo, in base al quale i lavoratori
dovrebbero identificare i loro interessi con quelli della nazione, e dunque con
quelli dalla classe capitalista nazionale. La Germania ne è un chiaro esempio. Chi
si sogna più di contrappone la prospettiva e un programma internazionalista di
classe, chi si prende la briga di sottolineare l'identità degli interessi dei
lavoratori di tutti i paesi, di affermare la necessità e l’urgenza dell’unità in
una lotta comune contro lo strapotere della borghesia in tutti i paesi?
Syriza
di Alexis Mariomontis, Podemos, oppure Occupy Wall Street? È con questa gente,
nella loro vacuità intellettuale e reazionaria, nella vera e propria confusione
mentale, che possiamo pensare a un comune programma rivoluzionario? Come fai a
fargli capire, già in premessa e tanto per esemplificare, che le classi sociali
non sono determinate dalla scala della ricchezza, ma dal loro rapporto con la
struttura economica? E se non sanno nemmeno che cos’è effettivamente una classe
sociale come si fa anche solo a parlare di lotta di classe? Eccetera.
(ri)Tentano con il nazionalismo per vedere se funziona meglio delle squadre di calcio, con la patetica mano sul cuore quando suona l'inno nazionale. Fanculo alle patrie.
RispondiEliminafanculo
EliminaChi si sogna più di contrappone la prospettiva e un programma internazionalista di classe, chi si prende la briga di sottolineare l'identità degli interessi dei lavoratori di tutti i paesi, di affermare la necessità e l’urgenza dell’unità in una lotta comune contro lo strapotere della borghesia in tutti i paesi?
RispondiEliminabeh per l'intanto "l' internazionalismo del capitale" ce lo hanno dato ; quindi si tratterebbe solo di aspettare questa sua naturale nemesi dell' "internazionalismo proletario " ...
Non c' è infatti alcun dubbio che " alla lunga " , " il socialismo" trionferebbe .... purche' però ci trovasse ancora vivi... ..