domenica 19 luglio 2015

Eccetera


“È una questione di sopravvivenza. Una crisi economica così profonda e radicale – dagli effetti strutturali maggiori di quella del ’29”. Lo scrive Il sole 24ore in riferimento all’Italia ma il discorso può essere allargato al sistema nel suo complesso. Prosegue il giornale confindustriale: “Qualcosa si è rotto nell'anima di molti: lo spiega bene il suicidio di Egidio Maschio, uno degli imprenditori simbolo del Nord-Est e della piccola e media impresa italiana”. L’anima, come la chiamano, in questo caso è lo specchio di una realtà non più sostenibile e non solo e non fondamentalmente per i motivi adotti dal quotidiano: “quattro milioni e centoduemila connazionali si trovano in condizioni di povertà assoluta, il cuneo fiscale per il lavoratore dipendente single ha raggiunto il 48,2% nel 2014, mezzo punto in più rispetto al 2013 e dodici punti in più della media Oecd”.

Nell’articolo il quotidiano non cita due dati riferibili alla disoccupazione (totale e giovanile). Vero che c’è il lavoro nero, quello che chiamano “sommerso”, e tuttavia si tratta di numeri impressionanti che ci riportano con il discorso sempre allo stesso tema: c’è sempre meno bisogno di lavoro, soprattutto in alcuni segmenti produttivi e poi anche nei servizi. È questo un tema che non può essere affrontato da un singolo paese, e solo in una certa misura da una singola area economica,  e mi riferisco all’Europa, di per sé già così eterogenea economicamente e industrialmente.


Insisto ancora una volta: il sistema non può intervenire nelle proprie contraddizioni di fondo e risolverle. Può però attenuarne l’impatto. Come? In questo specifico aspetto si può intervenire con una riduzione decisa e generalizzata della giornata lavorativa normale. E però già qui entrano in gioco da subito problematiche legate agli aspetti fondamentali del modo di produzione capitalistico, vale a dire la produzione di plusvalore e la concorrenza tra singoli capitalisti e tra aree di mercato. Abbassare il livello di questi ostacoli sarebbe possibile con un’azione politica coordinata a livello globale o almeno a livello delle aree capitalistiche metropolitane, ma vediamo bene, per contro, lo stato miserabile in cui si trova la leadership politica a livello mondiale.

Le situazioni s’incancreniscono, le soluzioni tampone nemmeno tentate, si punta esclusivamente alla massima razionalizzazione dei processi estorsivi del profitto, ogni idea di riforma sociale è vietata nel discorso politico ufficiale, percepita come un’eresia e un ritorno al passato. Al massimo si giunge a dire che la disuguaglianza di reddito è “la grande questione morale del nostro tempo”, come sta facendo Bernie Sanders, l’avversario “socialista” della Clinton. Questione morale? Chissà perché quando si tratta dei soldi dei ricchi la questione è “morale”, ma quando si tratta del sudore e del sangue degli sfruttati la faccenda diventa maledettamente di “sostenibilità economica”.

Vediamo come, di là dei bei discorsi e dei summit internazionali, come l'orientamento di fondo della politica borghese sia il nazionalismo, in base al quale i lavoratori dovrebbero identificare i loro interessi con quelli della nazione, e dunque con quelli dalla classe capitalista nazionale. La Germania ne è un chiaro esempio. Chi si sogna più di contrappone la prospettiva e un programma internazionalista di classe, chi si prende la briga di sottolineare l'identità degli interessi dei lavoratori di tutti i paesi, di affermare la necessità e l’urgenza dell’unità in una lotta comune contro lo strapotere della borghesia in tutti i paesi?


Syriza di Alexis Mariomontis, Podemos, oppure Occupy Wall Street? È con questa gente, nella loro vacuità intellettuale e reazionaria, nella vera e propria confusione mentale, che possiamo pensare a un comune programma rivoluzionario? Come fai a fargli capire, già in premessa e tanto per esemplificare, che le classi sociali non sono determinate dalla scala della ricchezza, ma dal loro rapporto con la struttura economica? E se non sanno nemmeno che cos’è effettivamente una classe sociale come si fa anche solo a parlare di lotta di classe? Eccetera.

3 commenti:

  1. (ri)Tentano con il nazionalismo per vedere se funziona meglio delle squadre di calcio, con la patetica mano sul cuore quando suona l'inno nazionale. Fanculo alle patrie.

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  2. Chi si sogna più di contrappone la prospettiva e un programma internazionalista di classe, chi si prende la briga di sottolineare l'identità degli interessi dei lavoratori di tutti i paesi, di affermare la necessità e l’urgenza dell’unità in una lotta comune contro lo strapotere della borghesia in tutti i paesi?

    beh per l'intanto "l' internazionalismo del capitale" ce lo hanno dato ; quindi si tratterebbe solo di aspettare questa sua naturale nemesi dell' "internazionalismo proletario " ...
    Non c' è infatti alcun dubbio che " alla lunga " , " il socialismo" trionferebbe .... purche' però ci trovasse ancora vivi... ..

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