Si era diffusa l’idea e radicata la convinzione
di essersi lasciati alle spalle il Novecento, con le sue contraddizioni
dirompenti e tragicissime. Per il secolo breve e le sue ideologie fu recitato
il requiem, dichiarata estinta la storia stessa. Quante cazzate s’inventa
l’ideologia dominante per giustificare il sistema. E invece le vecchie questioni
sono ancora tra i piedi, anzi, ci scoppiano tra le mani, dopo decenni d’illusioni,
proprio perché sono state solo momentaneamente e anche artatamente rimosse ma
non risolte.
Le crisi politiche ed economiche ci hanno rifilato i
fascismi, le guerre, perfino delle rivoluzioni nate sotto le migliori
intenzioni, poi diventate bugiarde e finite male. Dopo le immani tragedie, il
secolo americano parve partorire un’epoca nuova, di sviluppo e di progresso, almeno
nell’emisfero nord, pur scontando la minaccia dello scontro con l’altra grande
potenza nucleare. Prevalse comunque l’ottimismo e la speranza per chi aveva la
fortuna di nascere e vivere nel posto giusto. Tuttavia non bisogna dimenticare
che nulla venne gratis come invece sembra ritenere la vulgata giovanilistica
attuale, allevata carente non solo in storia e geografia.
Non appena la borghesia si è sentita sicura dal lato
della Russia, ha accelerato la spinta imperialistica alla globalizzazione
producendo enormi vantaggi per le multinazionali e il capitale finanziario,
ingordi di profitti. Già prima, il capitale monopolistico multinazionale aveva
costruito un solido telaio d’istituti economici, politici e ideologici che gli
consentirono di esercitare una pressione sostanziale sugli esecutivi dei
singoli Stati al fine di condizionarne le strategie politiche centrali in modo
funzionale ai propri interessi.
Ciò ha avuto una rilevanza particolare in rapporto
alle economie interne dei paesi, cosicché il trasferimento veloce e
inarrestabile di capitali e delle produzioni ha creato inevitabilmente dei
problemi di non poco conto nelle antiche metropoli. In Europa, al momento, ha
saputo tener botta e anzi ha potuto avvantaggiarsene soprattutto la Germania,
forte della propria struttura economica e del fatto che, con l’introduzione
della moneta unica, gli altri paesi dell’area non avrebbero potuto più agire
sul tasso di cambio per rendere più convenienti le proprie produzioni.
Come scrivevo l’altro giorno, il tutto è avvenuto e succede, per quanto ci riguarda più
direttamente, nel quadro travisato della cosiddetta “integrazione europea”, di
un processo che ha la pretesa di creare un’interdipendenza tra Stati diseguali,
sotto l’egemonia del capitale tedesco-americano. Un quadro aggravato dal fatto
– ripeto qui – che noi viviamo una situazione locale – specie in paesi come l’Italia
– nella quale gli sfruttatori politici degli sfruttati e degli ingenui,
ambiziosi pescecani ai quali la borghesia imperialista ha affidato il compito
di suonare il piffero della democrazia borghese, hanno ridotto la società
civile un baraccone della burocrazia parassitaria, dello spreco più sfacciato,
delle scorribande economico-finanziarie più incredibili.
La crisi odierna ripropone sostanzialmente gli stessi
problemi, sia pure mutati sotto molti dettagli, della crisi degli anni Trenta
del Novecento. Anzi, le contraddizioni fondamentali sono le medesime, anche se
ora sembrano prodursi forse meno drammaticamente sulla scena internazionale e
dei conflitti sociali interni delle nazioni. Per quanto tempo ancora potranno
reggere questi assetti sociali? Noi vediamo, per esempio, in tema di conflitti
sociali, l’assenza di risposte adeguate alla crisi, e come invece si attuino
misure fiscali demenziali e di taglio della spesa pubblica in una fase di grave
stagnazione. C’è peraltro anche un altro fatto di cui tener conto, ossia che nessuna
nazione può uscirne da sola, ammesso ma non concesso che dalle crisi il sistema
possa trovare una via d’uscita unitaria e pacifica.
Questi cambiamenti radicali degli assetti economici e
geostrategici, hanno mutato radicalmente anche la forma-Stato tradizionale
delle democrazie borghesi. È troppo tardi, troppo a lungo si sono tenuti in non
cale gli avvertimenti e gli ammonimenti delle solite cassandre. La democrazia
borghese ha giocato a strafare chiedendo ai cittadini di eleggere un’assemblea
sovranazionale anche ufficialmente dichiarata priva di poteri, mentre all’interno
degli Stati i partiti appaiono disarmati e succubi di fronte al movimento del
capitale che li utilizza per i propri fini, ossia li paga per i loro servizi,
li lancia contro i proletari per catturarne il consenso e manipolarne le aspirazioni.
In tal senso, la crisi economica, sociale, politica e
istituzionale dell’Italia, ma non solo di questo paese, è un segnale che
finalmente si pone all’attenzione molto seriamente. Da essa è nato un movimento
politico inedito e ineffabile, trasversale, diretto da una figura carismatica
che si sottrae a qualsiasi confronto pubblico, un movimento ondivago adatto
a qualsiasi avventura, che si propone di cambiare il sistema politico senza
mutarne la struttura che l’ha prodotto. È possibile che questo progetto e gli
avvenimenti d’ora in poi marcino da soli, in quale direzione precisa non lo so,
ma si può star certi che la macchina delle illusioni non si fermerà e
continuerà ad alimentare questa schiuma.
The Long Twentieth.
RispondiEliminacomplimenti
RispondiEliminamolto graditi
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