lunedì 25 febbraio 2013

In attesa dei risultati del voto nell'orto



Se si potesse cambiare realmente e radicalmente lo stato di cose presenti che da ogni lato ci rende suoi schiavi apponendo una semplice croce su una scheda elettorale, ancora non avremmo trovato il partito “giusto” per cui votare.

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Ormai è tutto chiaro, e molti sono quelli che dichiarano folli le politiche di austerità e di stretta fiscale. Lo affermano aulici i premi Nobel e lo rimasticano virtualmente i più pregiati blogger. Perché, non è forse vero che tali politiche sono demenziali e ancorché criminali? Certo, lo sappiamo almeno dall’epoca di Heinrich Brüning, il vero affossatore della repubblica di Weimar fondata il 18 brumaio del 1918, che le politiche restrittive della spesa pubblica, in un ciclo economico ristagnante, producono l’effetto opposto a quello auspicato. Roosevelt non dovette certo attendere la The general theory of employment, interest and money, del 1936, per approntare politiche di sostegno all’economia, ossia per creare “domanda aggregata”.

Tornando a Brüning, non fu la sua politica economica causa della crisi tedesca, egli ne fu uno sciagurato interprete, così come la Merkel sarà ricordata – suo malgrado – come uno dei principali responsabili dell’aggravarsi della crisi dell’Europa unita e della sua moneta. Non lo dico io, l’ha già detto il suo antico mentore, Khol. E tuttavia, anche per quanto riguarda la Merkel e altri politici consimili, la responsabilità della crisi non è loro attribuibile se non nella misura in cui l’hanno favorita e fatta avvitare con i loro diktat arroganti e infantili.

Deve essere sempre chiaro questo concetto in capo alle cause della crisi, altrimenti passa l’idea che le crisi trovino causa nelle misure di politica economica sbagliate, ovvero, per contro, che sia possibile trovare soluzione stabile alle crisi con politica economiche virtuose, anticicliche. Dalla Grande Depressione non si sarebbe usciti se non in presenza di un nuovo quadro geostrategico, quindi con nuovi accordi sul piano dei cambi e degli scambi, con una nuova fase espansiva dei consumi di massa nelle metropoli, con nuovi bisogni indotti da nuovi prodotti (elettrodomestici, autoveicoli, inurbamento e nuovi piani urbanistici, ecc.) e nuovi stili di vita. Quella fase ebbe termine decenni or sono.

Le ragioni profonde delle contraddizioni che scuotono il modo di produzione capitalistico e generano le sue crisi cicliche, trovano una loro effettiva spiegazione solo a partire dalla struttura produttiva. Non bisogna dimenticare che l’andamento della spesa pubblica subisce l’andamento dello sviluppo contraddittorio del modo di produzione capitalistico e della lotta tra le classi. Pertanto le manovre di tipo keynesiano della spesa pubblica (oggi si preferisce denotarla altrimenti ma la sostanza è questa), alla prova dei fatti, si sono dimostrate un’utopia, soluzioni di breve momento, volano di una fase dello sviluppo capitalistico storicamente tramontata.

Nell’ultimo trentennio l’imperialismo ha cambiato strategia, ridefinendo la funzione-obiettivo dello Stato, riducendo la quota di reddito redistribuita in “assistenza” e “consumi sociali”. Non potendo più comprare il consenso per tale via, lo Stato imperialista delle multinazionali (*), non può far altro che imporlo. In ciò sta il significato del concetto di “democrazia limitata” e quello di “dittatura commissaria” che impiego da molti anni.

Il capitalismo vive di plusvalore, la caduta del suo saggio mette in crisi il sistema che per difendersi non ha altre strade che quelle già storicamente percorse, compresi i tagli alla spesa pubblica e la guerra (intesa anche come conflitto permanente a bassa intensità). Il capitalismo però non è – al pari degli altri modi generali di produzione – eterno. Anche se non tutti se ne avvedono, il conflitto tra forze produttive e rapporti di produzione sta raggiungendo un punto di rottura tale che non potrà non assumere il significato prorompente di una svolta epocale. Non è un atto di fede, è ormai nelle cose e di ciò stanno prendendo coscienza – sia pure a modo loro – anche i borghesi meno stupidi.

(*) L’idiozia corrente tende a irridere tale espressione perché ritenuta stereotipata, ma essa allude allo stesso rapporto Stato-multinazionali del quale dà conto, tanto per citare un autore moderato, Luciano Gallino quando descrive, per esempio, in quali modi viene condotta la lotta di classe della borghesia nel mondo citando “la classe capitalistica transnazionale che possiede un grosso peso politico” sui governi e sugli organismi economici internazionali. Egli scrive che la controffensiva di classe scatenata dalla borghesia “non avrebbe mai avuto il successo che ha avuto se non avesse potuto prendere forma di e appoggiarsi su leggi, decreti, normative e direttive che sono stati concepiti e approvati appositamente dai parlamenti, sotto la spinta delle lobbies industriali e finanziarie, in vista di un duplice scopo: indebolire il potere delle classi lavoratrici e delle classi medie, e accrescere allo stesso tempo il potere della classe dominante” (La lotta di classe dopo la lotta di classe, p.16). Perciò gli sciocchi che negano la realtà solo perché li abbaglia, non meritano risposta sul punto e lasciamoli pure ai loro compiaciuti sorrisini.

2 commenti:

  1. Il PD sta riuscendo a perdere anche queste elezioni, non solo contro Grillo ma addirittura contro Berlusconi.

    Per un verso non posso reprimere una buona dose di soddisfazione. Non imparano mai, naturalmente, e anche questa volta non impareranno che a furia di voler piacere al Vaticano, ai ricchi evasori, a Olli Rehn e al crimine finanziario organizzato perdono i voti di sinistra senza guadagnarne uno che sia uno della teppaglia di destra.

    Ma gli sta bene. Oh, se gli sta bene.

    mauro

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