Non ha qui grande interesse sapere che gli
antichi padri della Chiesa hanno rimaneggiato “tre o quattro volte e
più ancora” il testo dei Vangeli “per confutare le varie
obiezioni loro mosse” e che le copie più antiche del Vangelo di Marco
terminano col versetto 8 del capo 16 e gli ultimi 12 sono stati aggiunti. Ciò che qui invece interessa sono alcuni aspetti del contesto formativo del cristianesimo istituzionale, il
processo di adozione e trasformazione di un rito – l’eucaristia – da pagano a
cristiano, da rituale di libagione a simbolo di comunione e dogma di fede.
Sotto molti riguardi il cristianesimo fu una risposta
alla crisi epocale che investì ogni aspetto delle società del tardo antico:
crisi della cultura edonistica, assenza
di un credo unificante dei valori collettivi e la corruzione che dilagava negli
apparati istituzionali. Il diffuso sentimento di smarrimento e angoscia, non
potendo dar luogo, per limiti storici oggettivi e soggettivi, a forme di un
vasto e articolato movimento di carattere politico, prese forma religiosa (incontro
sincretico d’idee filosofiche, gnosticismo e neoplatonismo, e credenze quali l’ebraismo,
il manicheismo e lo zoroastrismo). In buona sostanza il cristianesimo offriva un
prezioso senso di appartenenza esclusiva che mancava nella società d'allora, in cui identità e tradizioni preesistenti subivano una corrosione. Inoltre, concetti quali quelli di ricompensa e punizione, nonché la speranza trascendente della resurrezione
dei morti, giocarono un ruolo rilevantissimo e stimolante per coloro
che adottavano la nuova religione.
Pertanto, la vicenda dell’incarnazione di un
dio in funzione soteriologica, si attaglia a tale realtà storica e il suo
racconto non può non risentire della forte mutualità con le idee e credenze
religiose preesistenti, anche se poi, nel tempo, l’élite cristiana produrrà
d’ufficio i propri canoni cultuali e di rappresentazione. Il caso del pasto
sacro, per esempio, mutuato inizialmente dalla tradizione pagana, verrà ad
assume nella nuova religione una peculiarità e un significato del tutto autonomo.
L’atto alimentare come occasione d’incontro fra
individui, è stato il primo rituale compiuto dall’uomo, il locus più
antico e caratteristico della cultura umana, sorgente di patti di amicizia e di
amore. Nel cristianesimo il banchetto rituale segue dapprima le tracce
del refrigerio (di cui diremo) e assumerà poi, nell’agape comunitaria,
una funzione entro la pratica dell’evergetismo ecclesiale in risposta alla
crisi degli antichi istituti di sussidio statuale, e poi man mano, con il
consolidarsi della dottrina escatologica, una determinazione sempre più
teologica.
Giustino accusa gli adepti di Mitra di aver
attinto alcuni riti dall’Antico Testamento e dagli “Evangeli”. Anche
Tertulliano denuncia come imitazioni diaboliche dell’eucarestia i banchetti
mitriaci. Mircea Eliade conferma che i banchetti delle antiche religioni erano molto diffusi in epoca imperiale. Il culto di Mitra
è più antico del cristianesimo e fu introdotto a Roma in età repubblicana.
Aurelio Bianchi Giovini scriveva che l'istituzione eucaristica «ebbe
origine dopo che i primitivi cristiani cominciarono ad accettare i misteri dei
Gentili e i loro banchetti eucaristici. Nei misteri di Mitra eravi infatti una
comunione simbolica di pane e vino. II vino entrava eziandio nei misteri di
Bacco che i Gentili riputavano un Dio stato ucciso, poi risuscitato e salito al
cielo (Critica degli evangeli, Milano 1862, vol. II, p. 39) ».
L’eucaristia, nel significato che assunse in
seguito, non aveva luogo nel cristianesimo primitivo. Infatti, l'astuto Giovanni Paolo II si chiese: «Gli Apostoli che presero parte
all'Ultima Cena capirono il significato delle parole uscite dalle labbra di
Cristo? Forse no» (Lettera enciclica “Ecclesia de Eucharistia” ).
IL REFRIGERIO. Assai controversa
è la questione del refrigerio
cristiano e pagano. Il refrigerio cristiano prese spunto dalla diffusissima
pratica dei banchetti presso la tomba del defunto; consisteva in una libazione
di vino o in una vera e propria colazione, nota in quanto tale col nome
di agape (Pasquale Testini, Archeologia cristiana,
1980, pp. 143-45). Che il termine “refrigerium” non fosse in
uso in tal senso presso gli autori classici (forse meglio: epulae)
non è cosa assunta come definitiva.
«Il significato ordinario di questo
vocabolo [“refrigerium”] presso gli scrittori cristiani è
“pasto, rinfresco”, cioè ristoro, il sollievo che si procura al corpo mediante
il cibo e la bevanda [...] Tuttavia tale refrigerio non è la conseguenza
d’un ristoro mediante cibo e bevande, come lo intesero i pagani, ma d’un
atteggiamento di fede. […] Ma naturalmente il materiale epigrafico
greco, essendo alquanto limitato, non permette nessuna certezza (Jos Janssens, Vita
e morte del cristiano negli epitaffi di Roma anteriori al sec. VII, Univ.
Greg., 1981, pp. 286, 292-93) ».
«Anche il vocabolo refrigerium,
prescelto da Tertulliano nel parlare delle agapi (inopes quosque refrigerio
isto juvamus - indigentibus refrigeramus), e che leggiamo parimente nelle
acclamazioni dei bicchieri convivali cristiani: SEMPER REFRIGERIS IM PACE DEI,
e nella cristiana epigrafia, ebbe senso speciale e allusivo al celeste convito,
fu adoperato dai sodali dei collegii pagani funeraticii e famigliari (Giovanni Battista De
Rossi, La Roma sotterranea cristiana, 1877, p. 502)». Insomma,
par di capire, negli ipogei (luoghi d’inumazione dapprima pagani e poi via via
cristiani) si assisteva ad un certo passaggio di “bicchieri conviviali” tra
cristiani e pagani!
«Il sacrificio offerto ad sepulcrum per i
defonti ha dato origine ad una strana opinione od ipotesi che merita poche
parole d'esame e di confutazione. Nei vasi di varie forme e di classi diverse
murati all'esterno dei loculi o degli arcosoli nei sotterranei cimiteri taluni
hanno immaginato, che fosse contenuto il vino consecrato; residuo dell’oblatio
pro dormitione, compiuta nell'atto di seppellire il defonto. L'ipotesi è priva
di qualsivoglia fondamento, anzi inammissibile. L'abuso, riprovato da alcuni
concilii dell'Africa e delle Gallie, di dare l'eucaristia ai defonti nulla
potrebbe avere di comune con cotesti pretesi vasi eucaristici. Quell'abuso
cominciò, quando il seppellire nei nostri sotterranei cimiteri veniva cessando.
Nei canoni dei predetti concilii si parla dell'eucaristia sotto la specie del
pane data ai defonti e consepolta con essi. Vasi recipienti di liquidi, murati
all'esterno delle tombe ed all'aperto, niuna attinenza possono avere con quel
rito abusivo e proibito.
Che se per avventura – scrive ancora il
grande archeologo cattolico – si potesse ravvisare sedimento di vino in
alcuno dei vasi cimiteriali (ciò che io non credo, né forse è dopo tanti secoli
chimicamente possibile); siffatto sedimento non altro sarebbe, che residuo ed
indizio della riprovevole ed a poco a poco abolita pratica di quei rozzi
Cristiani, i quali nel secolo quarto volgente al quinto credevano fare onore ai
martiri ed ai defonti spargendo vino sulle loro tombe» (G.B. De Rossi,
op. cit., pp. 499-500).
Tuttavia la “strana opinione od ipotesi” più
che una smentita assume invece il valore di inequivocabile conferma: 1) negli
ipogei cristiani, al pari di quelli pagani, i “rozzi Cristiani” praticavano “l'eucaristia
ai defonti”, ovvero il relativo refrigerio, nonostante che 2) tale rito
fosse stato “riprovato da alcuni concilii dell'Africa e delle Gallie”.
Il cristianesimo, come fu suo costume, conferì
quindi al refrigerio e al suo contesto un contenuto nuovo; ma gli
apologeti cattolici si spingono oltre, ed interpretano l’antica pratica del refrigerium esclusivamente in chiave
teologica, fino a stravolgere completamente il senso delle iscrizioni
funerarie, per cui esso da libagione diventa preghiera che “esprime
propriamente il pensiero del sollievo da una pena che si soffre”, ciò che è
invece un portato molto più tardo: “refrigerium sanctorum”, dipòi dell’escatologia medioevale.
Anche per quanto concerne le iscrizioni
alludenti l’eucarestia, Roma “presenta pochissime iscrizioni”. Così
fuori Roma, in occidente come in oriente, “testi epigrafici del genere
sono rarissimi” (Testini, cit., p. 419). Quei pochi che potrebbero
alludere all’eucarestia (refrigerio gaudentes), sono in greco e, in
tutta franchezza, chiedono una certa favorevole predisposizione per interpretarli nel senso
dell’eucaristia quale concetto a noi famigliare. A ogni buon conto,
esempi in tal senso sono in Testini alle pp. 144 e 422-25.
«Presso gl’Israeliti, dopo la sepoltura
del defunto, i parenti solevano apprestare un convivio a sollievo e
consolazione dei piangenti, che perciò appellavasi “Pane del dolore e Calice di
consolazione” (Ackermann, Archaeologia Bibl. §. 206)
[…] L'idea di refrigerio, per esprimere ristoro e felicità, sembra
nata dalla condizione del clima caldissimo delle contrade d’Oriente, nelle
quali si ha tanto conforto dallo spirare di un'aura fresca (cfr. Odyss. IV,
v. 568) e da una bevanda frigida (Euang. Matth. X, 42, in: Memorie di
religione, Tomo VIII, Modena, 1849, p. 32-33) ».
Per esempio, alla cosiddetta cathedra
Petri, cioè quelle cattedre scavate nel tufo e che si trovano presso gli
ipogei, si è voluto, dice Testini, attribuire loro un carattere liturgico che
in realtà è senza fondamento. Queste cattedre erano destinate ad essere occupate
dalle anime dei defunti, quando i vivi venivano a celebrare il refrigerio
davanti ai loro sepolcri. Se ne trovavano non solo singole ma anche doppie,
destinate ai coniugi (cit., pp. 147 e 489). L’ipogeo dei Flavi, uno dei nuclei
di origine privata più antichi delle catacombe di Domitilla, era dotato di un
comodo triclinio porticato, di un pozzo per l’acqua e di una fontana.
L’AGAPE. Cominciarono
Tertulliano e Agostino ad offrire un’interpretazione diversa e più simbolica del
rito delle libagioni rituali e comunitarie per quanto riguarda i cristiani. San
Paolino ricorda il gran numero di poveri che partecipò al grandioso convito
approntato da Pammachio nel 397 a S. Pietro in Vaticano, in suffragio
dell’anima di sua moglie (G.B. De Rossi, op. cit.). Tali conviti, nonostante i
richiami dei vescovi alla moderazione, divennero un’abitudine quotidiana, con
eccessi ormai frequenti (in abundantia epularum et ebretiate). Malgrado
gli ammonimenti e la repressione, tale rito rimase in auge almeno fino al VI
sec. in occidente e con qualche eco fino al XII in oriente. Forse un sedimento
di questa pratica può rintracciarsi nella tradizione, in alcune regioni ancor
oggi presente, di offrire un banchetto dopo le esequie di un congiunto.
E proprio Agostino (Sermoni Dolbeau) cercò
di riformare le celebrazioni dei martiri in cui si festeggiava con canti, vino
e danze. Del resto, scrisse: «Quando ero studente in questa città andai
alla veglia in chiesa e passai la notte a sfregarmi con le donne, insieme ad
altri ragazzi desiderosi di far colpo sulle ragazze, dovunque si fosse
presentata un’opportunità di fare all’amore».
Le leggi disciplinari delle agapi, e
segnatamente delle agapi funebri nei primi secoli, sono
accennate nelle cosiddette costituzioni apostoliche: la raccolta dei canoni
attribuita al celebre Ippolito, edita da un codice arabo, contiene intorno a
questo aspetto preziosi dettagli. Il canone 33 è espressamente dedicato
alle agapi delle commemorazioni dei defunti e stabilisce che
prima di sedere a mensa i convitati partecipino dei divini sacramenti. Giuliano
imperatore (361-63) si doleva che con l’allettante motivo delle agapi molti a
poco a poco s’inducevano ad abbracciare la fede cristiana. L’ora dell'agape era
verso sera, ossia, come dice il canone 52, all'accensione della lucerna, ora
consueta della cena. Ma nel canone 55 è prescritto che se l’agape era
imbandita alle vedove, ne fosse anticipata l'ora; e ripetutamente è inculcato
che le vedove “sieno licenziate prima che
il sole tramonti”. La temperanza è raccomandala in modo che né la divina
presenza, né la preghiera per i defunti venissero meno nella mente dei
convitati; e tutto doveva procedere con tale ordine, che i gentili ne avessero
invidia. «Se presiede un prete od un diacono egli reciti l'orazione e
segni (benedica) il pane, e lo franga e distribuisca ai convitati: se un laico
frange il pane e lo distribuisca senza benedirlo. Nelle cosiddette
costituzioni apostoliche poi sono prescritte le parti che devono essere fatte
al vescovo, anche assente; e la doppia distribuzione (del pane e del vino) ai
preti ed ai diaconi ed alle più povere tra le vedove a giudizio del diacono.
Questo sistema di distribuzioni degli alimenti per quanto riguarda la
sussistenza del clero, equivaleva alla divisione delle sportulæ nei conviti
municipali e collegiali dei pagani, nei quali era stabilita la quantità che a
ciascuno competeva secondo il grado suo nel municipio o nel collegio (notizie
tratte da: G.B. De Rossi, op.cit.) ».
Basilica di santa Prassede, lapide in memoria di G.B. De Rossi.
Nella stessa cripta un'immagine della Madonna incinta,
copia settecentesca di una precedente andata distrutta.
Santa Prassede, secondo la leggenda, era la sorella di santa Prudenziana.
Nella basilica, la cappella di san Zenone è il più importante monumento bizantino a Roma.
C’è a questo punto un’importante precisazione da parte dell’eminente e pio archeologo cattolico: «L'assimilazione delle predette sportulæ con le distribuzioni fatte nelle agapi al clero è tanto vera ed esatta, che s. Cipriano chiamò sportulantes e sportulis honoratos i preti così alimentati dai fedeli tamquam decimas ex fructibus accipientes; e ne dedusse il dovere di non distrarli ab altari et sacrificio, ove parla appunto del sacrificium pro dormitione. Da queste premesse e dalla natura della cosa è manifesto, che la materiale ed esterna celebrazione dell'agape cristiana nulla aveva di contrario alle leggi ed agli usi dei conviti pagani, segnatamente dei collegii funeraticii.
Del rimanente non intendo affermare, che
in niun caso mai sia stata imbandita l'agape in qualche sotterraneo cubicolo:
dico ed affermo soltanto, che il luogo ordinario del convito funebre cristiano,
come di quello dei pagani, fu sopra terra.
[…] Assai più
siffatta gioia crebbe dopo la pace ed il trionfo della cristianità: e poi
giunse a tali intemperanze e di profanazione del sobrio e grave culto dovuto ai
martiri della croce di Cristo, che a reprimere i novelli abusi fu necessario
divellere dalle radici la vetusta apostolica istituzione dell'agape cristiana. […..] L'abuso
non rimase circoscritto ad alcuni dì solenni: nel secolo quarto volgente al
quinto, entrate nella chiesa a torme le rozze plebi delle città e delle
campagne, invalse il costume, che in qualsivoglia visita ai sepolcri dei
martiri i fedeli recassero seco vino e cibi; dei quali i più temperanti
gustavano appena e il rimanente davano ai poveri, molti ne ingurgitavano e
inebriavansi, correndo da uno ad altro sepolcro ed eccitandosi mutuamente a
larghe libazioni ad onore dei martiri.
[…] nel 395 il
medesimo s. Agostino della vaticana basilica scriveva: de basilica beati
Petri apostoli quotidianae vinolentiae proferunlur exempla. I bicchieri adorni
delle immagini degli apostoli e dei martiri, segnatamente di quelle di Pietro e
di Paolo, i cui fondi troviamo incalciati presso i loculi dei suburbani
cimiteri, sovente servirono non solo alle agapi solenni, ma credo anche a
siffatte libazioni sui sepolcri (ibidem, pp. 502- 04) ».
Ricapitolando, il refrigerio cristiano
s’innesta sul rito del banchetto pagano presso la tomba dei defunti, poi
trasfuso anche nell’agape che si teneva nei sepolcreti e negli altri luoghi di
raduno dei fedeli in cui, dopo una cerimonia, venivano distribuiti dei viveri
per il pasto che si consumava sul posto; da questi riti e consuetudini è
derivata, poco a poco, la liturgia eucaristica anche a seguito della forte
richiesta ascetica da parte di un establishment in forte competizione con
l’antica religione e i nuovi culti orientali.
SVILUPPI. Henry Charles Lea
scrive che l’eucaristia aveva perduto, dopo i primi secoli, la sua forma
d’origine di pasto sostanziale vero e proprio, cioè mezzo di cui la Chiesa si
serviva per diffondere sui poveri la sua carità, per essere trasformata in
un’ostia simbolica ed in poco vino che la faceva rassomigliare moltissimo al
sacrificio Izeshene, il rito più in uso fra i mazdeani, e che, come la messa,
veniva celebrato ordinariamente in suffragio delle anime dei trapassati. Nel
III sec., Mani, volendo congiungere il mazedismo con il cristianesimo, aveva
adottata l’eucaristia nella forma del mazdeismo, limitando l’uso del calice ai
soli sacerdoti; perciò ai laici non rimaneva che la comunione sotto una sola
specie ed era tanto diffusa come derivante di origine manichea, che Leone I
comminò la scomunica a tutti coloro i quali ricevessero la comunione sotto una
sola specie.
Allorquando il manicheismo venne richiamato in
vita dagli Albigesi, e cioè tra il XII e XIII secolo, la Chiesa, che fino
allora aveva conservato il suo antico costume della comunione sotto le due
specie, adottò la comunione per i laici sotto una sola specie, e vi aderì così
rigorosamente che nemmeno la minaccia dello scisma ussita né le insistenze di
coloro che erano rimasti aderenti all’antico rito poterono indurla a concedere
l’uso del calice ai laici. La comunione dei laici sotto una sola specie marcò
una linea di netta divisione tra il sacerdote e il suo gregge.
Su quale significato esatto attribuire
all’eucaristia, le cose furono (e sono), da parte delle diverse sette e
dottrine cristiane, tutt’altro che pacifiche. Scrive il cattolico Gaetano
Moroni:
« I teologi definiscono l'eucaristia un
sagramento della nuova legge, che contiene sotto le specie del pane e del vino,
il corpo e il sangue di Gesù Cristo, per la refezione spirituale del cristiano,
secondo l'istituzione di Gesù Cristo stesso. È un articolo di fede che
l’eucaristia sia un sagramento, avendolo così definito il concilio generale
lateranense IV, celebrato dal Pontefice Innocenzo III e nel concilio di Trento.
Sulla verità dell’eucaristia poi, o
presenza reale di Gesù Cristo in questo sagramento, due specie d’eretici
insorsero. Gli uni l’hanno combattuta indirettamente, e sono quelli, i quali
hanno negato che Gesù Cristo abbia avuto un vero corpo: tali sono stati i
discepoli di Simone, di Menandro, di Mani ecc. Gli altri hanno negato
direttamente la presenza reale: e questi sono stati Giovanni Scoto Erigena,
Berengario, Pietro di Bruis, gli gnostici, i montanisti, i priscillanisti, gli
artoriti, i giacobiti, gli ebioniti, gli encratiti, i pepuziani, i
colliridiani, i catari, gli albigesi, i viclefisti, i valdesi, i cariciani, i
pauliciani, i calvinisti, i sociniani ecc., come si può vedere dai loro
articoli. I luterani poi ammettono la presenza reale, ma negano la
transustanziazione, e vogliono la impanazione, cioè la coesistenza del corpo di
G. C. col pane (Diz. di erudizione storico-ecclesiastica …, vol.
XXII, pp. 146 e sgg.) ».
Sull’assai controversa questione della transustanziazione (introdotta
da Innocenzo III - 1198-1216), così come per la cosiddetta impanazione, il Moroni scrive
ancora: «Gesù Cristo può essere presente in tre maniere nell’eucaristia:
1) per impanazione, ch’è l'unione ipostatica del Verbo divino col pane; 2) per
consustanziazione, ch’è la presenza locale del corpo di Gesù Cristo col pane,
di modo che sussistono ambedue, senza alcun cambiamento di sostanza, nel
medesimo sagramento; 3) per transustanziazione, ch’è il cambiamento fisico
della sostanza del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Gesù Cristo; ed è
così che il divino Salvatore è presente realmente nella santa eucaristia».
La chiesa greca e latina non si trovarono d’accordo
nemmeno sul tipo di pane: la disputa insiste sul dubbio se Gesù avesse consacrato
col pane azimo o fermentato. Questione questa da far perdere il sonno a intere
generazioni di teologi e legulei: la Chiesa greca usò il secondo tipo, e la
latina il primo. Il pane che doveva essere consacrato, venne scelto in passato
fra il pane che i fedeli portavano in offerta allorquando vi si raccoglievano.
Poi, chiarisce il Moroni, i chierici, o le vergini consacrate a Dio,
preparavano le ostie cantando i salmi.
A questo punto, chi avesse ancora dei dubbi è
meglio che resti sereno, poiché i teologi ci dicono che l’eucaristia non è
strettamente necessaria quale mezzo per la salute dell'anima, a ciò
basta il battesimo: chi crederà e sarà battezzato sarà salvo. Amen.
Già Tertulliano testimoniava l'angoscia e il dolore della Chiesa perché non si perda nessun frammento: "Soffriamo angoscia perché nulla dal calice o del pane cada a terra" (De Corona, 3).
RispondiEliminaGIUSTINO :(Apologia prima LXVI. - 1.) "Questo cibo è chiamato da noi
Eucaristia, e a nessuno è lecito parteciparne, se non a chi crede che i nostri
insegnamenti sono veri, si è purificato con il lavacro per la remissione dei
peccati e la rigenerazione, e vive così come Cristo ha insegnato.2. Infatti noi
li prendiamo non come pane comune e bevanda comune; ma come Gesù Cristo, il
nostro Salvatore incarnatosi, per la parola di Dio, prese carne e sangue per la
nostra salvezza, così abbiamo appreso che anche quel nutrimento, consacrato con
la preghiera che contiene la parola di Lui stesso e di cui si nutrono il nostro
sangue e la nostra carne per trasformazione, è carne e sangue di quel Gesù
incarnato."
IGNAZIO:agli Smirnesi(VII, 1.)" Stanno lontani dalla eucaristia e dalla
preghiera perché non riconoscono che l'eucaristia è la carne del nostro
salvatore Gesù Cristo che ha sofferto per i nostri peccati e che il Padre nella
sua bontà ha risuscitato." 106 d.C.
IRENEO(Contro le eresie.Libro 5,2,2):"Se dunque il calice mescolato e il pane
preparato ricevono la parola di Dio e divengono Eucaristia,cioè il Sangue e il
Corpo di Cristo,e se con essi si fortifica e si consolida la sostanza della
nostra carne,come possono dire che la carne non è capace di ricevere il dono di
Dio che è la vita eterna......". ( IRENEO è stato il discepolo di Policarpo, che a sua volta fu discepolo di Giovanni Apostolo ad Efeso)