Lo dico per quelli che hanno frequentato la Bocconi: così
come non si scende in campo, allo
stesso modo non si sale in politica.
In entrambi i casi si entra. Si può entrare
in campo e in politica anche a gamba tesa.
È quello che fanno in molti da sempre e che ha fatto da par suo Berlusconi a
proposito dell’Imu. Perché non avrebbe dovuto farlo, non eravamo d’accordo che
è l’arbitro a dover giudicare? Tra due settimane, al termine della gara e della
metafora calcistica, sapremo le decisioni. Si può scommettere che avranno vinto
tutti, tranne gli scornati che avranno votato e tifato senza ottenere niente,
consolati dall’indipendenza delle proprie giuste e sacrosante opinioni. E guai
a contestargliele.
Giudichiamo stucchevole la palinodia
berlusconiana, quella delle minacce, delle promesse e delle immancabili
ritrattazioni? O più stucchevole è l’atteggiamento protratto per decenni dai partiti
verso di lui? Ancora promettono solenni – una volta vinte le elezioni – la
legge sul conflitto d’interessi. A babbo morto. Penso che se non giova, almeno
consoli ripetere: Berlusconi si adegua a ciò che l’Italia è sempre stata, ossia un paese in mano
alle mafie e ai clan di ogni tipo; del terrorismo di Stato, delle stragi
impunite e delle latitanze concordate; delle mille forme di sfruttamento e di
accomodamento, della classe dirigente più violenta e corrotta d’Europa;
dell’abusivismo, del saccheggio e dell'inquinamento; dei monopoli e della
proliferazione burocratica, dei timbri e dei cavilli; della marchetta promozionale
a tutte le ore e su ogni frequenza. Berlusconi non ha inventato nulla, egli è la
sintesi organica di questo sistema semifeudale che le elezioni e nuovi attori
non potrebbero cambiare, se non e al massimo su questioni secondarie. E questo
solo spiega il consenso di cui gode.
Berlusconi, ancorché ammaccato e in
declino, trasudante umori marci da ogni poro e globalmente sputtanato, rappresenta
sulla scena politica italiana la maschera migliore, quella più autentica,
imprescindibile e forse ancora di maggior successo.
E Grillo? Se Berlusconi rappresenta la
nostra falsa coscienza, Grillo è la nostra eterna illusione che promette
vendetta dal palco, il termometro della nostra febbre rivoluzionaria. Egli nutre
le nostre speranze infrante, è il lenitivo dei fallimenti d’intere generazioni
e voce che grida la nostra traboccante rabbia. È il surrogato del nostro dover
essere senza coraggio, ma, non venendo da Marte, incarna anche l’incoerenza e la
confusione dei nostri buoni propositi, così come non guasta la sua vocazione al
martirio dell’eroe delle Termopili. Sgravati da responsabilità dirette, contenti
quindi di delegare compiti improbi a un’accozzaglia di carneadi, saremo pronti
a rinfacciare a essi e a Grillo qualunque cosa non corrobori le nostre innate
virtù.
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