mercoledì 6 febbraio 2013

Maschere



Lo dico per quelli che hanno frequentato la Bocconi: così come non si scende in campo, allo stesso modo non si sale in politica. In entrambi i casi si entra. Si può entrare in campo e in politica anche a gamba tesa. È quello che fanno in molti da sempre e che ha fatto da par suo Berlusconi a proposito dell’Imu. Perché non avrebbe dovuto farlo, non eravamo d’accordo che è l’arbitro a dover giudicare? Tra due settimane, al termine della gara e della metafora calcistica, sapremo le decisioni. Si può scommettere che avranno vinto tutti, tranne gli scornati che avranno votato e tifato senza ottenere niente, consolati dall’indipendenza delle proprie giuste e sacrosante opinioni. E guai a contestargliele.

Giudichiamo stucchevole la palinodia berlusconiana, quella delle minacce, delle promesse e delle immancabili ritrattazioni? O più stucchevole è l’atteggiamento protratto per decenni dai partiti verso di lui? Ancora promettono solenni – una volta vinte le elezioni – la legge sul conflitto d’interessi. A babbo morto. Penso che se non giova, almeno consoli ripetere: Berlusconi si adegua a ciò che l’Italia è sempre stata, ossia un paese in mano alle mafie e ai clan di ogni tipo; del terrorismo di Stato, delle stragi impunite e delle latitanze concordate; delle mille forme di sfruttamento e di accomodamento, della classe dirigente più violenta e corrotta d’Europa; dell’abusivismo, del saccheggio e dell'inquinamento; dei monopoli e della proliferazione burocratica, dei timbri e dei cavilli; della marchetta promozionale a tutte le ore e su ogni frequenza. Berlusconi non ha inventato nulla, egli è la sintesi organica di questo sistema semifeudale che le elezioni e nuovi attori non potrebbero cambiare, se non e al massimo su questioni secondarie. E questo solo spiega il consenso di cui gode.

Berlusconi, ancorché ammaccato e in declino, trasudante umori marci da ogni poro e globalmente sputtanato, rappresenta sulla scena politica italiana la maschera migliore, quella più autentica, imprescindibile e forse ancora di maggior successo.

E Grillo? Se Berlusconi rappresenta la nostra falsa coscienza, Grillo è la nostra eterna illusione che promette vendetta dal palco, il termometro della nostra febbre rivoluzionaria. Egli nutre le nostre speranze infrante, è il lenitivo dei fallimenti d’intere generazioni e voce che grida la nostra traboccante rabbia. È il surrogato del nostro dover essere senza coraggio, ma, non venendo da Marte, incarna anche l’incoerenza e la confusione dei nostri buoni propositi, così come non guasta la sua vocazione al martirio dell’eroe delle Termopili. Sgravati da responsabilità dirette, contenti quindi di delegare compiti improbi a un’accozzaglia di carneadi, saremo pronti a rinfacciare a essi e a Grillo qualunque cosa non corrobori le nostre innate virtù.

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