Oggi ero a Venezia, giornata splendida come da foto. Quello
che si vede è rio san Barnaba ripreso da Ca’ Rezzonico, il palazzo appartenuto
all’omonima famiglia di origini lombarde (Como) e dalla quale proveniva papa
Clemente XIII. È un museo Ca' Rezzonico, l’avevo visitato appena un po’ di tempo addietro,
nel 1969, forse ancora con la scuola. Gli attuali allestimenti interni sono
molto diversi e francamente rimpiango i precedenti, almeno per come li ricordo
sia pure vagamente. A me oggi interessano però le magnifiche opere d’intaglio
di Andrea Brustolon, le Michel-Ange du bois
lo definì Honoré de Balzac nel romanzo Le cousin Pons.
Qui una foto – scattata
di frodo – di una delle dodici sue famose sedie, ma c’è ben altro da
vedere dell’artista a Ca’
Rezzonico. A Belluno nel 2009 gli fu
dedicata una mostra, finalmente.
Dopo la visita a Ca’ Rezzonico, consumiamo un dignitoso panino
nel bar da Gino, a cinquanta passi dal ponte dell’Accademia, in calle santa
Agnese. Il signor Gino è inossidabile, è lì da sempre. Mi racconta che sebbene
lui sia venezianissimo, sua madre era sarda. Vedi un po’, dopo mezzo secolo c’è
ancora qualcosa da sapere.
Segue una passeggiata alle fondamenta delle Zattere, sestiere
di Dorsoduro, per un tuffo nella mia prima giovinezza. La scuola dei Barnabiti,
in rio Terrà Foscarini, è diventata un albergo. Anche questo un segno eloquente
dei tempi. Invece i due platani di campo santa Agnese sono sempre lì, dignitosi
a far la guardia e d’estate un po’ d’ombra. Non ci sono i ragazzini che
giocavano a pallone. Il bar a fianco della chiesa dei Gesuati (si scrive così)
è più o meno lo stesso. Sono cambiati i clienti, e non dico chi erano a quel
tempo perché non mi credereste: i loro nomi si leggono nelle enciclopedie. Lo
squero di san Trovaso è ormai solo una cartolina per giapponesi. Lungo le
fondamenta le cose non sono cambiate troppo, è questa una delle magie di questa
città. È vero che non c’è più ormeggiata la Cristoforo
Colombo, nave gemella dell’Andrea Doria, e anche il consolato di Francia è
sparito (non il palazzo ovviamente), ma tutto sommato si tratta di cambiamenti
minimi e normali in un intervallo di mezzo secolo.
Anche la luce riflessa dal canale della Giudecca mi pare non
sia cambiata. Sempre gli stessi anche i piccioni, impassibili. E i gabbiani sono
solo un po’ più grassi, effetto del consumismo. Però non vedo più il traghetto
che attraversa il canale. Il sole riscalda, anche se l’aria è ancora fresca.
Bar e ristoranti hanno messo fuori i tavoli, anche alla trattoria, dove inizia
calle del Vento, hanno messo i tavoli a far rendita del sole. Il locale conserva l’insegna
metallica, scrostata, originale. Ci sono anche due bimbetti, uno davvero
piccolo, che lungo le fondamenta sfrecciano veloci con il monopattino. Insomma,
sembra quasi lo stesso posto degli anni Sessanta, eppure c’è qualcosa che me lo
rende quasi estraneo. E non so cos’è.
olympe che scatta di frodo una foto alla preziosa poltrona ... mi ha molto divertito immaginarti mentre, come fossi tornata indietro ai tempi della scuola , commetti il gesto furtivo . ciao carissima.
RispondiEliminaeppure c’è qualcosa che me lo rende quasi estraneo. E non so cos’è.
RispondiEliminaun mezzo secolo di vita in piu' , "les neiges d'autan" non tornano mai. :-(