Mi chiedevo nel post di ieri e dell’altro ieri se il sistema
sociale ed economico vigente può effettivamente considerarsi come l’unica via verso
cui proseguire. In che cosa consiste – mi chiedevo retoricamente – il “progresso sociale” raggiunto
se abbiamo metropoli sempre più sovrappopolate e inquinate, dove tutto è
monopolio dei grandi poteri, economici, politici, mediatici, quando siamo
costretti a vivere
come schiavi le nostre giornate in capannoni e angusti uffici, in attesa di
qualche momento sfuggevole di piacere ingannevole, spesso solitario, offertoci
al prezzo dell’obbedienza e della mansuetudine?
I grandi proprietari e gestori politici di questo pianeta sono
convinti, almeno nelle loro dichiarazioni pubbliche, che non c’è alternativa a
questo loro sistema. Essi fingono d’ignorare – a tutela dei loro interessi – i
problemi sempre più gravi di sostenibilità e i rischi concreti d’irreversibilità
complessiva ai quali stiamo andando incontro a grandi passi. E anche quando non
possono più ignorarli, s’ingegnano nel raccontarci frottole alle quali non
credono neppure loro. Del resto, presi singolarmente, sono essi stessi
prigionieri di questo sistema, dei loro stessi miti ideologici e tecnologici,
dei loro trionfi mondani. Tuttavia a riguardo delle loro colpe tale attenuante
non li assolve.
Anche i rimedi proposti a me pare siano lontani dalla
realtà. Le contraddizioni del modo di produzione capitalistico sono già state
analizzate nel merito e non è necessario aggiungere nulla in proposito, anche
perché queste stesse contraddizioni o vengono in gran parte negate, oppure a
esse si oppongono misure di riforma alle quali questo sistema è impermeabile. A
tale riguardo ho già scritto numerose volte, per esempio, che la cosiddetta “decrescita”
è fondamentalmente priva di effetti pratici su grande scala, non perché non si
debbano attuare comportamenti virtuosi e parsimoniosi, diventando meno spreconi
e consumistici, quanto per il fatto semplicissimo che il processo di
accumulazione del capitale segue una razionalità opposta a tutte le mistiche
sottoconsumistiche.
Negli ultimi decenni abbiamo assistito a una vera
rivoluzione, antropologica però. In effetti noi cosa vogliamo? Più denaro, più
merci, più gadget costosi. I nostri modelli di riferimento, per quanto diciamo
di detestarli, sono quelli della réclame. Assomigliamo molto alla plebe
dell’antica Roma: le grandi disuguaglianze non venivano mantenute solo mediante
la distribuzione gratuita di viveri, il circo e l’arena non erano meno
necessari e gli spettacoli vennero sistematicamente organizzati in misura
incredibile. Anche allora le plebi vivevano alla giornata nelle gioie
ingannevoli delle più ingegnose brutalità. Basta leggere Seneca.
A noi pensa la televisione a intrattenerci e sviarci,
promovendo violenza e banalità erotiche, coglionaggini politiche che devono
coprire la natura limitata dei presunti successi di questo sistema. Proprio gli
stessi mezzi di comunicazione e di scambio che hanno reso possibile al capitale
la conquista del mondo, stanno accelerando i processi di decadimento. Il
commercio non è soltanto uno smercio di prodotti, l’ideologia delle élite che
giocano a rubamazzo sul tavolo dell’economia finanziaria, dello sfruttamento
delle risorse, delle sperequazioni più sadiche, ha prevalso e domina dappertutto.
Non si tratta di farne una questione morale, ma di porre dei problemi concreti
all’analisi per trovare delle soluzioni, del resto, ripeto alla nausea,
irresolubili nell’ambito di questo sistema economico. E l’unica soluzione che
ci si pone davanti è un salto di binario per non finire nel burrone. Eppure è
lì che finiremo.
Socialismo o burrone. :)
RispondiEliminabuona!
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