mercoledì 27 febbraio 2013

Né di destra né di sinistra, grillini



L’ho scritto altre volte, il Movimento cinque stelle non dev’essere demonizzato, ma valutato per ciò che è, per quello che fa. Il M5S è la risposta alla crisi e all’immobilismo delle classi dirigenti di questo paese, un riferimento per lo scontento di chi vive una situazione di proletarizzazione sempre più marcata a causa della nuova fase del ciclo economico capitalistico che ha prodotto una nuova gerarchia nell’ambito della divisione internazionale del lavoro, cui è seguita una demenziale politica economica di austerità (vedi post di lunedì e ieri).

Resta dunque da vedere di quale tipo di risposta si tratti, soprattutto da oggi, cioè da quando il M5S non può più essere valutato come un fenomeno esogeno, ma come un elemento politico importante e anzi decisivo del sistema parlamentare. Con le elezioni il Movimento ha già ottenuto due risultati concreti: è entrato massicciamente in parlamento scompaginandone il quadro tradizionale, e con la presenza di un suo candidato ha dato la vittoria alla Lega in Lombardia.

Le dichiarazioni scritte e verbali del suo attuale leader, peraltro privo di qualsiasi carica ufficiale, meritano attenzione. Anche perché di questo Movimento non conosciamo quasi nulla, se non il fatto che dice di porsi contro questo sistema e di volerlo cambiare entro le stesse coordinate fondamentali sulle quali regge, proponendosi di agire dall’interno delle istituzioni e nelle forme costituzionali. E questo è sufficiente per denotarlo nella sua sostanza.

L’obiettivo dichiarato del Movimento è di rendere il sistema più giusto e trasparente, più partecipato e controllato da parte dei cittadini, quindi più razionale ed efficiente nei suoi gangli funzionali, avendo particolare cura per i temi ambientali. Insomma una serie di classiche proposte di buon senso che però astraggono dai rapporti sociali reali. Ecco perché il suo leader insiste nel connotare il Movimento in chiave interclassista, concentrando i propri strali contro le posizioni di privilegio e determinati comportamenti della “finanza” (*).

Pertanto, la critica che deve essere rivolta a questo tipo di movimenti politici che raccolgono il malcontento e la protesta popolare, non meno che una forte richiesta di status, non deve incentrarsi semplicemente a riguardo di dichiarazioni e aspetti esteriori, pur importanti, ma deve guardare alla sostanza. Questo tipo di movimenti politici hanno poco in comune con le idee “progressiste” del secolo scorso, anche se genericamente alludono a una possibile diminuzione dell’orario di lavoro e a un reddito minimo garantito. Si propongono di salvare i fiumi e i mari, di per sé indifferenti all’inquinamento, e sono dunque a favore di uno sfruttamento della natura più assennato e meno anarchico, ma Casaleggio e Grillo s’illudono (e vogliono illudere) quanto al fatto che il loro movimento in realtà nulla potrà salvare se non con l’abolizione del lavoro-merce. La gestione detta democratica del capitalismo, non offre altro che le elezioni-dimissioni, tentativi di aggiustamento. Nella produzione capitalistica è prodotto solo quello che può essere prodotto con profitto e nella misura in cui tale profitto può essere ottenuto. Mai come ora l’essenza del capitalismo (e il suo limite storico) si rivela ai nostri occhi per ciò che essa effettivamente è, di là delle chiacchiere grilline: “produrre per distruggere, distruggere per produrre”. Non solo merci, ma con esse anche le nostre vite.


(*) Tra i punti programmatici più noti del movimento vi sono quelli che riguardano l’ineleggibilità dei condannati, l’incandidabilità dopo due mandati, la forte riduzione dei compensi parlamentari, l’eliminazione di privilegi castali particolarmente odiosi. Si tratta di aspetti non dirimenti in rapporto alla situazione economica e sociale del paese, ma molto avvertiti e non solo dall’elettorato di rifermento. L’avversione popolare per la casta politica e i relativi privilegi, prese le mosse anni or sono con un’operazione mediatica tendente a far credere che simili guasti siano un prodotto tipico delle classi dirigenti nazionali, come in parte è vero. Tuttavia  se la classe dirigente italiana è tra le più corrotte d’Europa, si deve tener conto che ciò dipende dai meccanismi stessi di riproduzione della classe dirigente, dal contesto sociale ed economico entro il quale essa agisce, e non semplicemente per una particolare vocazione nostrana. Pertanto, senza un cambio di “struttura”, gli effetti di nuove legislazioni particolarmente severe in materia di corruzione e privilegi, avranno solo un effetto momentaneo e assai blando.


2 commenti:

  1. Ho una sola domanda: quale sarebbe questa "nuova gerarchia nell’ambito della divisione internazionale del lavoro"?

    saluti

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    Risposte
    1. molto semplice: guardi la nuova divisione internazionale del lavoro, alla fabbrica mondo cinese, all'india, ma anche alla romania per quanto riguarda più direttamente l'italia. chiaro che si tratta di una nuova gerarchia laddove il salariato italiano entra in competizione con gli altri paesi citati dove la manodopera ha costi nettamente inferiori e che pertanto ci mettono in una condizione di concorrenza e di crisi

      cordialmente

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