L’ho
scritto altre volte, il Movimento cinque
stelle non dev’essere demonizzato, ma valutato per ciò che è, per quello
che fa. Il M5S è la risposta alla crisi e all’immobilismo delle classi dirigenti
di questo paese, un riferimento per lo scontento di chi vive una situazione di
proletarizzazione sempre più marcata a causa della nuova fase del ciclo economico capitalistico che ha
prodotto una nuova gerarchia nell’ambito
della divisione internazionale del lavoro, cui è seguita una demenziale politica economica di austerità (vedi post di lunedì e ieri).
Resta
dunque da vedere di quale tipo di risposta si tratti, soprattutto da oggi, cioè
da quando il M5S non può più essere valutato come un fenomeno esogeno, ma come
un elemento politico importante e anzi decisivo del sistema parlamentare. Con
le elezioni il Movimento ha già ottenuto due risultati concreti: è entrato
massicciamente in parlamento scompaginandone il quadro tradizionale, e con la
presenza di un suo candidato ha dato la vittoria alla Lega in Lombardia.
Le
dichiarazioni scritte e verbali del suo attuale leader, peraltro privo di
qualsiasi carica ufficiale, meritano attenzione. Anche perché di questo
Movimento non conosciamo quasi nulla, se non il fatto che dice di porsi contro
questo sistema e di volerlo cambiare entro le stesse coordinate fondamentali
sulle quali regge, proponendosi di agire
dall’interno delle istituzioni e nelle forme costituzionali. E questo è
sufficiente per denotarlo nella sua sostanza.
L’obiettivo
dichiarato del Movimento è di rendere il sistema più giusto e trasparente, più
partecipato e controllato da parte dei cittadini, quindi più razionale ed
efficiente nei suoi gangli funzionali, avendo particolare cura per i temi
ambientali. Insomma una serie di classiche proposte di buon senso che però astraggono dai rapporti sociali reali. Ecco
perché il suo leader insiste nel connotare il Movimento in chiave
interclassista, concentrando i propri strali contro le posizioni di privilegio
e determinati comportamenti della “finanza” (*).
Pertanto,
la critica che deve essere rivolta a questo tipo di movimenti politici che
raccolgono il malcontento e la protesta popolare, non meno che una forte richiesta di status, non deve incentrarsi
semplicemente a riguardo di dichiarazioni e aspetti esteriori, pur importanti,
ma deve guardare alla sostanza. Questo tipo di movimenti politici hanno poco in
comune con le idee “progressiste” del secolo scorso, anche se genericamente
alludono a una possibile diminuzione dell’orario di lavoro e a un reddito
minimo garantito. Si propongono di salvare i fiumi e i mari, di per sé
indifferenti all’inquinamento, e sono dunque a favore di uno sfruttamento della
natura più assennato e meno anarchico, ma Casaleggio e Grillo s’illudono (e
vogliono illudere) quanto al fatto che il loro movimento in realtà nulla potrà
salvare se non con l’abolizione del lavoro-merce. La gestione detta democratica
del capitalismo, non offre altro che le elezioni-dimissioni, tentativi di
aggiustamento. Nella produzione capitalistica è prodotto solo quello che può
essere prodotto con profitto e nella misura in cui tale profitto può essere
ottenuto. Mai come ora l’essenza del
capitalismo (e il suo limite storico) si rivela ai nostri occhi per ciò che
essa effettivamente è, di là delle chiacchiere grilline: “produrre per
distruggere, distruggere per produrre”. Non solo merci, ma con esse anche le nostre vite.
(*) Tra i punti programmatici più
noti del movimento vi sono quelli che riguardano l’ineleggibilità dei
condannati, l’incandidabilità dopo due mandati, la forte riduzione dei compensi
parlamentari, l’eliminazione di privilegi castali particolarmente odiosi. Si tratta
di aspetti non dirimenti in rapporto alla situazione economica e sociale del
paese, ma molto avvertiti e non solo dall’elettorato di rifermento.
L’avversione popolare per la casta politica e i relativi privilegi, prese le
mosse anni or sono con un’operazione mediatica tendente a far credere che
simili guasti siano un prodotto tipico delle classi dirigenti nazionali, come
in parte è vero. Tuttavia se la classe
dirigente italiana è tra le più corrotte d’Europa, si deve tener conto che ciò
dipende dai meccanismi stessi di riproduzione della classe dirigente, dal
contesto sociale ed economico entro il quale essa agisce, e non semplicemente
per una particolare vocazione nostrana. Pertanto, senza un cambio di
“struttura”, gli effetti di nuove legislazioni particolarmente severe in
materia di corruzione e privilegi, avranno solo un effetto momentaneo e assai
blando.
Ho una sola domanda: quale sarebbe questa "nuova gerarchia nell’ambito della divisione internazionale del lavoro"?
RispondiEliminasaluti
molto semplice: guardi la nuova divisione internazionale del lavoro, alla fabbrica mondo cinese, all'india, ma anche alla romania per quanto riguarda più direttamente l'italia. chiaro che si tratta di una nuova gerarchia laddove il salariato italiano entra in competizione con gli altri paesi citati dove la manodopera ha costi nettamente inferiori e che pertanto ci mettono in una condizione di concorrenza e di crisi
Eliminacordialmente