Ho già cercato in altri post di dire che cosa sono le forze produttive e i rapporti di produzione (*), due concetti
che vanno intesi come unità di opposti nell’ambito più generale del concetto di
modo di produzione, ossia il modo
determinato nel quale gli uomini di ogni epoca producono e riproducono la loro
vita immediata, e cioè la struttura dei rapporti determinati, necessari, indipendenti
dalla loro volontà, in cui essi operano a ogni determinato grado di sviluppo delle
forze produttive.
Il modo di produzione implica una duplice serie di rapporti:
quelli degli uomini con la natura e quelli degli uomini tra di loro. Com’è
facilmente intuibile, la forma di
questi rapporti è decisiva per la comprensione dell’intero movimento della
produzione. Da notare che è tutto interesse della borghesia denotare il
concetto di forze produttive come
avente una propria autonomia rispetto ai rapporti
di produzione, dando cioè ad intendere che essi si svilupperebbero secondo
leggi proprie e neutrali – rapporti autonomi appunto – e il loro
movimento determinerebbe casualmente i rapporti
di produzione. Ciò non è casuale e, al solito, ambisce a mistificare la
realtà sociale e storica, non senza conseguenze
pratiche.
Noi oggi possiamo constatare anzitutto come i rapporti di produzione rimangano
indietro rispetto allo sviluppo delle forze
produttive, ossia come il “progresso tecnico” non vada di pari passo con il
“progresso sociale”, di come l’uno non sia la misura dell’altro così come
vorrebbero farci intendere gli ideologi borghesi. Dobbiamo considerare sotto
tale riguardo come il “progresso tecnico” sia semplicemente “progresso delle
tecniche capitalistiche” e come esso goda di una speciale feticizzazione da
parte della propaganda. Esso non ha e non può avere lo stesso significato per
gli sfruttati e i loro sfruttatori, proprio perché diverge anzitutto il
significato di “progresso sociale”.
Quale progresso sociale può dirsi effettivamente tale se lo
sviluppo delle forze produttive si
traduce immediatamente come aumento della produttività da un lato, ossia come
intensificazione del lavoro, e dall’altro lato come accrescimento del tempo di
pluslavoro? Astraendo da altre considerazioni, noi potremmo parlare di
progresso anzitutto se l’aumento
della produttività del lavoro significasse una diminuzione della durata del
tempo di lavoro, ma ciò allude alla rimodellazione delle forze produttive, della tecnica e
della scienza entro un nuovo quadro di
razionalità fondato sulla liberazione del lavoro – e con esso dell’uomo – e
non sulla priorità capitalistica che è quella di estrarre plusvalore dal lavoro. Ma fino a quando il movente
fondamentale, l’essenza, del capitale sarà la produzione di plusvalore, la
classe operaia in particolare e i lavoratori salariati in generale resteranno
sempre più indietro rispetto all’impetuoso sviluppo tecnico della produzione
capitalistica, più sfruttati materialmente, repressi intellettualmente e
schiacciati politicamente.
Un altro scopo che si prefiggono gli specialisti della
mistificazione nel separare il concetto di forze
produttive rispetto a quello dei rapporti di produzione, scimmiottando la
dipendenza delle scienze sociali da quelle naturali, è essenzialmente quello di
negare la lotta di classe. Infatti,
come ho detto, se poniamo come valida l’equazione che il “progresso tecnico” va
di pari passo con il “progresso sociale”, di come l’uno sia la misura
dell’altro, la lotta di classe stessa non avrebbe alcun nesso e senso. Soprattutto
se al concetto di “progresso sociale” diamo un determinato significato. Che “progresso sociale” abbiamo nelle
metropoli sovrappopolate e inquinate, dove i rapporti interpersonali sono quasi
scomparsi, dove tutto è monopolio dei grandi poteri, economici, politici,
mediatici, dove la cultura è solo ciò che si può vendere, dove il lavoro – quando c'è – non è
più la passione e la gioia di creare qualcosa di utile, la spiritualità è
atrofizzata, la banalizzazione delle aspirazioni e dei desideri diventano
sofferenza psicologica e anche l’ozio è un segmento del circuito
commerciale?
Intendiamoci, le forze
produttive sono sempre, per così dire, plasmate, modellate, dai rapporti di produzione che le mettono in
funzione, ossia le une e le altre non si possono intendere separate; quindi è
la crescita delle forze produttive
l’elemento promotore delle trasformazioni sociali, poiché se non si sviluppa la
base materiale della società anche il resto sta fermo; tuttavia si tratta di
trasformazioni sociali che avvengono sempre sotto il segno e il dominio dei rapporti di produzione dominanti. Nel modo
di produzione capitalistico, per esempio e come detto, è la razionalità del plusvalore che
definisce, in ultima istanza, la forma delle modificazioni sociali apportate e
come esse vengano interiorizzate, nel loro sviluppo, nei rapporti di produzione dominanti. Questo dimostra come la coscienza
sociale, cioè le teorie
scientifiche, politiche, sociali, la cultura, l’arte di una certa epoca, siano espressione, per quanto non
meccanica e invece mediata, della società che le produce e delle lotte sociali di quella
società. Dimostra anche come la classe che domina la società imponga le proprie
idee e le proprie teorie opponendosi in ogni modo alle iniziative e alle lotte
che puntino alla trasformazione dei rapporti sociali in senso favorevole agli
sfruttati. Altrimenti non si spiegherebbe tra l’altro come la borghesia, da
classe rivoluzionaria, sia divenuta conservatrice (**).
È quest’ultima una considerazione che oggi può essere intesa
quasi per banale e scontata, ma che riveste un’enorme importanza nelle sue conseguenti
determinazioni, e non solo a livello epistemologico, ma a livello della
psicologia sociale non meno che a livello pratico, concreto, nella nostra vita
di tutti i giorni:
Non basta che le condizioni di lavoro si
presentino come capitale a un polo e che dall’altro polo si presentino uomini
che non hanno altro da vendere che la propria forza-lavoro. E non basta neppure
costringere questi uomini a vendersi volontariamente. Man mano che la
produzione capitalistica procede, si sviluppa una classe operaia che per
educazione, tradizione, abitudine, riconosce come leggi naturali ovvie le
esigenze di quel modo di produzione
(Il Capitale, I, VII, 3).
È proprio per mezzo degli strumenti della comunicazione,
della cultura e dell’educazione che si compie incessantemente quel lavoro che
consente di sottomettere e controllare il proprio come l’altrui comportamento.
Ecco anche perché è fondamentale sotto ogni riguardo il materialismo
storico-dialettico, una concezione rivoluzionaria finora poco compresa soprattutto
nella ricerca scientifica e che trae origine dalla rottura epistemologica
compiuta da Marx ed Engels con l’idealismo e il materialismo d’impronta
naturalistica, segnatamente con l’idealismo tedesco e il materialismo
feurbachiano. Le parole che hanno mutato la nostra percezione secolare del
mondo furono queste:
L’essere umano non è qualcosa di astratto che sia immanente
all’individuo singolo. Nella sua realtà esso è l’insieme dei rapporti sociali
(***).
Solo sulla base
del materialismo storico-dialettico e del marxismo può fondarsi e organizzarsi la
lotta di classe che abbia come obiettivo quello di rivoluzionare i rapporti di
produzione capitalistici e di rimodellare le forze produttive, di costruire una
società con una nuova dimensione e ricomposizione unitaria tra sapere e lavoro,
tra bisogni e gestione sociale dei mezzi di produzione.
(*) La condizione umana – materiale e
spirituale – è determinata dallo sviluppo raggiunto storicamente dalle
forze produttive e dai rapporti di produzione. Per quanto riguarda
segnatamente le forze produttive capitalistiche, dobbiamo intendere in primo
luogo la classe dei lavoratori produttivi (di capitale) che è la principale
forza produttiva. Per rapporti di produzione e di scambio s’intendono tutti
quei rapporti oggettivi, cioè indipendenti dalla coscienza, che si stabiliscono
tra gli uomini nella realizzazione del prodotto sociale e nella successiva
ripartizione di esso. I rapporti di proprietà dei mezzi di produzione sono,
tra i rapporti di produzione, quelli essenziali poiché da essi dipende la forma
di tutti gli altri. Perciò ogni discorso sulla libertà e l’uguaglianza
non può prescindere dall’analisi di tali rapporti.
(**) Proprio la
razionalità del plusvalore che sta alla base del modo di produzione capitalistico
costringe la borghesia a rivoluzionare di continuo i mezzi e le tecniche della
produzione, quindi i rapporti di produzione e cioè l’insieme di tutti i
rapporti sociali. Questo dualismo, tale ambivalenza, sta alla base della
ribellione delle moderne forze produttive contro i moderni rapporti di
produzione, contro i rapporti di proprietà che sono le condizioni di esistenza
della borghesia e del suo dominio.
(***) La prima
proposizione della VI Tesi su Feuerbach
in originale dice così: Feuerbach löst das religiöse Wesen in
das menschliche Wesen auf. Aber das menschliche Wesen ist kein, dem einzelnen
Individuum innenwohnendes Abstraktum. In seiner Wirklichkeit ist es das
Ensemble der gesellschaftlichen Verhältnisse [*].
Ci sono due versioni della sua traduzione,
l’altra è questa: L’essenza umana
non è qualcosa di astratto che sia immanente all’individuo singolo. Nella sua
realtà esso è l’insieme dei rapporti sociali.
"Proprio la razionalità del plusvalore che sta alla base del modo di produzione capitalistico costringe la borghesia a rivoluzionare di continuo i mezzi e le tecniche della produzione, quindi i rapporti di produzione e cioè l’insieme di tutti i rapporti sociali".
RispondiEliminaCara Olympe, può farmi un esempio, o spiegare altrimenti cosa significa "costringe la borghesia a rivoluzionare di continuo i mezzi e le tecniche della produzione, quindi i rapporti di produzione e cioè l’insieme di tutti i rapporti sociali"?
"rivoluzionare i mezzi e le tecniche della produzione", avrei bisogno di qualche esempio.
Poi: "i rapporti di produzione e cioè l’insieme di tutti i rapporti sociali", non restano sempre e comunque quelli che si poggiano sul sistema del lavoso salariato?
grazie per l'attenzione.
F.G
non è per non spiegartelo, ma trovi tutto nella prima parte del Manifesto di Marx (si legge in mezz'ora)
EliminaCIAO
Ok, grazie lo stesso.
Eliminaall'inizio del Manifesto, Marx scrive:
EliminaLa borghesia non può esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di produzione, i rapporti di produzione, dunque tutti i rapporti sociali. Prima condizione di esistenza di tutte le classi industriali precedenti era invece l'immutato mantenimento del vecchio sistema di produzione. Il continuo rivoluzionamento della produzione, l'ininterrotto scuotimento di tutte le situazioni sociali, l'incertezza e il movimento eterni contraddistinguono l'epoca dei borghesi fra tutte le epoche precedenti. Si dissolvono tutti i rapporti stabili e irrigiditi, con il loro seguito di idee e di concetti antichi e venerandi, e tutte le idee e i concetti nuovi invecchiano prima di potersi fissare. Si volatilizza tutto ciò che vi era di corporativo e di stabile, è profanata ogni cosa sacra, e gli uomini sono finalmente costretti a guardare con occhio disincantato la propria posizione e i propri reciproci rapporti.
Il bisogno di uno smercio sempre più esteso per i suoi prodotti sospinge la borghesia a percorrere tutto il globo terrestre. Dappertutto deve annidarsi, dappertutto deve costruire le sue basi, dappertutto deve creare relazioni.
forse conviene abbandonare proprio il concetto di progresso ai progressisti, ricominciando a distinguere accuratamente la sinistra borghese, anche quella che si fregia d'essere marxista, dalla proposta marxiana
RispondiEliminaMarx stesso mi pare che usi il termine di emancipazione e non quello di progresso, ma non so il tedesco e mi devo fidare dei traduttori, se ne sai di più mi potresti dare qualche informazione utile
è sicuramente presente in Marx, da un certo punto in poi, un linguaggio che si accosta alle scoperte dell' evoluzionismo darwiniano -credo influenzato dalla passione engelsiana per la oggettività scientifica che purtroppo è confluita nell' accettazione del positivismo scientista- , mi chiedo quanto la capitalizzazione successiva di saperi, appunto, positivi -che è sottesa al concetto di progresso- sia nel suo fondo una logica di dominio
da
sì, l'uso del termine progresso si presta a diverse interpretazioni, perciò da lettore attento ti sarai accorto che uso l'espressione “progresso sociale” tra virgolette.
EliminaEngels ci ha lasciato gioielli come la Dialettica della natura laddove per la prima volta la dialettica è spiegata molto bene
in generale Marx ed Engels erano uomini del loro tempo ed è naturale che facessero commercio con le idee della propria epoca
ciao