martedì 8 febbraio 2011

La germanizzazione dell'economia europea



Un giorno molti italiani saranno fatti tornare a vivere in Europa, scoprendo così le cose che sono successe mentre erano nell’altro loro mondo, quello fatto di isole dei famosi e grandi fratelli, di talk show e telegiornali fasulli. Chissà quale metafora verrà in mente a Tremonti quando, accogliendoli, dovrà spiegare loro che sono scattati i meccanismi automatici di punizione per i paesi che superano il limite del 3% del deficit nei conti pubblici o il 60% del rapporto tra debito e Pil. Dovrà cominciare, ai sensi del “patto di competitività”, con l’eliminazione di qualsiasi indicizzazione, a cominciare da quelle sulle pensioni e seguita da quelle salariali eventualmente previste dai contratti. Quindi i nuovi e ancor più drastici tagli alla sanità e alla scuola, alle infrastrutture e agli enti locali, eccetera. Chissà che nome sarà dato alla patrimoniale e simili balzelli.
Tutto questo è stato discusso a Bruxelles la scorsa settimana, mentre noi in Italia ascoltavamo alte parole d’indignazione per altri fatti, e sarà messo, tra molti mugugni ma senz’altro indugio, in bella copia nelle prossime settimane chiamandolo "patto di convergenza economica rafforzata". A fine marzo il patto (ovvero il diktat franco-tedesco) sarà sul tavolo del summit a 27 in programma sempre a Bruxelles. Sarà quello il momento di chiudere la partita con un accordo globale: in cambio di una stretta della disciplina sui conti pubblici cui si aggiungerà un governo economico europeo in stile tedesco su pensioni, fisco e salari, la Germania finalmente unificata (do you remember?), azionista di maggioranza dell'euro, promette di fare la sua parte erogando eventuali aiuti da destinare al fondo di stabilizzazione della zona euro (Efsf).
T’è capì, Ruby?

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