Come
ho già avuto modo di dire, a me la televisione piace quando non è solo
spazzatura. Va presa con moderazione, discernimento e, per quello che si può,
armati di senso critico. Ieri sera, per esempio, Raitre ha trasmesso One Life, un film documentario della
Bbc, semplicemente da non perdere. Panorami mozzafiato e soprattutto aspetti
della vita animale fuori dall’ordinario televisivo: formiche che alimentano un fungo
con vegetali da esse stesse raccolti per poi alimentarsi a loro volta di quel
particolare fungo; oppure il corteggiamento delle megattere e il topo che crea
un itinerario ad hoc per sfuggire al
suo predatore. Come avranno fatto – mi chiedo – a girare le immagini del varano
indonesiano? Il documento mostra l’attaccamento dei genitori alla propria prole
e le tecniche di gruppo per la caccia, alcune ingegnose abilità sviluppate
nella lotta per l’esistenza.
Come
sanno descrivere bene con le immagini, le parole e la punteggiatura musicale,
il regno animale. Sapessero fare altrettanto nel raccontare il regno del
capitalismo dal volto umano, la follia come condizione sociale normale, la
somatizzazione dei rapporti mercantili secondo specificazioni di classe, di
stato e di gruppo! Ma non divaghiamo che c’è gente che aspetta di leggere le
mie perle di saggezza quasi quirinalizie.
Come
ogni documentario sulla natura animale, anche One Life non si sottrae alla fregola di tracciare paragoni tra
l’intelligenza degli animali e quella degli esseri umani. Gli accostamenti in
simili casi vanno tutti sostanzialmente nella stessa direzione: quanto sono ingegnose
le scimmiette a rompere il guscio durissimo di grosse noci usando delle pietre,
cui segue l’inevitabile ed esplicito invito allo spettatore a riflettere su
quest’aspetto dell’intelligenza animale.
È
questo dell’intelligenza animale un tema assai spinoso (eufemismo), poiché
attorno ad esso circolano le più metafisiche teorie – che neanche le
coglionaggini sull’11/9 – tratte dell’approccio biologistico alle problematiche
umane e sociali; lo stesso kit biologistico in uso ai movimenti e organizzazioni
antireligiose che puntano fondamentalmente sull’evoluzionismo per dimostrare
l’insussistenza della fola creazionista, come se fosse necessario citare
Copernico per smentire gli oroscopi.
Per qualche
spunto di riflessione sull’argomento è necessario partire da Marx ed Engels
(sì, sempre loro!):
Ciò che distingue fin da principio il
peggior architetto dall’ape migliore è il fatto che egli ha costruito le
cellette nella sua testa prima di costruirle in cera. Alla fine del processo lavorativo
emerge un risultato che era già presente al suo inizio nella idea del
lavoratore, e quindi era già presente idealmente.
Poco
importa se le scimmie non progettano e costruiscono cattedrali gotiche e possono
invece rompere una noce con un sasso e dimostrare abilità stupefacenti. Esse
tuttavia non lavorano le pietre per produrre degli utensili veri e propri, sia
pure rudimentali. Soprattutto la loro mano
non diventa autonoma, non solo come organo del lavoro, ma anche come prodotto stesso
del lavoro. E ciò che è acquisito per la mano – o per il piede per la necessità
del cammino e di una stabile posizione eretta – è acquisto anche per tutto il
corpo, secondo la legge darwiniana di correlazione dello sviluppo.
Le
scimmie e i delfini non procedono per generalizzazioni e formulazione di
concetti, categorie, leggi, sistemi di numerazione, ecc.; non pensano
verbalmente e non esprimono rapporti e pensieri; non sanno organizzare
socialmente il cervello, la volontà, la memoria, la percezione, ecc.;
controllare il comportamento, o scaricare le tensioni interne. In breve: non
sviluppano funzioni psichiche superiori e un linguaggio extra-genetico.
Sensazioni, concetti, ecc., non sono ciò che
noi conosciamo, come pretenderebbero i filosofi idealisti, ma sono ciò mediante
cui noi conosciamo. E proprio per questo – scriveva Ludovico Geymonat – possono venire perfezionati
permanentemente, potenziati, affinati; come siamo soliti perfezionare,
potenziare, affinare, i nostri strumenti d’indagine.
Il loro carattere strumentale non esclude
che ci facciano raggiungere un certo livello di obiettività, escude soltanto
(la pretesa dogmatica) che esauriscano tale obiettività”.
Sin
dalle origini il processo lavorativo umano si qualifica ed ha inizio con la
produzione di un progetto e di uno scopo. È appunto tale scopo che “determina
come legge il modo di operare del lavoratore", tant’è vero – aggiunge Marx – che
ad esso quest’ultimo “deve subordinare la sua volontà”.
Che
ciò avvenga in forma coatta come nel modo di produzione capitalistico o nella
forma evoluta in cui il lavoratore “gode come gioco della propria forza fisica
ed intellettuale”, ciò non modifica la sostanza del processo lavorativo umano,
in cui primo e fondamentale momento semplice resta comunque l’attività mediata
da strumenti e segni conformi a uno scopo. A differenza degli animali, anche i
più evoluti, l’uomo non si limita – scrive Engels – ad “usufruire” della
natura esterna e ad interagire con essa, bensì vi interagisce per modificarla
secondo i suoi bisogni, per piegarla ai suoi scopi, in una parola per dominarla.
E
tuttavia questo rapporto di dominio non si caratterizza tanto per il fatto di
essere mediato da strumenti materiali di lavoro, ma anzitutto perché esso è
finalizzato, preordinato al conseguimento di risultati anticipatamente
stabiliti.
Eh
sì, con la comparsa dei segni scritti anche il cervello umano compì un salto di
complessità e si riorganizzò per ricevere ed operare in rapporto a due sistemi
di significazione, uno auditivo e l’altro visivo. Ed infatti, l’uso dei segni
scritti comporta un significativo spostamento nella specializzazione umana del
sistema biologico. È il sistema percettivo-visivo a doversi perfezionare e
plasmare socialmente. I sensi dell’uomo sociale – questa la posizione marxiana
– sono altri da quelli del
paleantropo, e “l’occhio è divenuto occhio umano
in quanto il suo oggetto è divenuto
un oggetto sociale, umano, dell’uomo
per l’uomo”.
Vedere
in modo umano vuol dire sapersi rapportare ad oggetti creati dall’uomo e per
l’uomo, a oggetti divenuti sociali avendo assunto un significato nel processo
di produzione della vita. Non solo, ma sempre nei Manoscritti economico-filosofici, Marx sottolinea: “Parimenti i
sensi e il modo di goderne degli altri uomini sono diventati la mia propria
appropriazione. Oltre questi organi immediati si formano quindi organi sociali,
nella forma della società, per esempio, l’attività che io esplico
immediatamente in società con altri, ecc. è diventata organo di una manifestazione vitale e un modo di appropriarsi
la vita umana”.
Cervello,
orecchi, occhi, mani, ecc., sono anch’essi il risultato di una produzione
interamente umana. È all’interno di questo processo essenzialmente sociale che
venne costruendosi l’uomo come rete sempre più fitta di rapporti sociali.
Perciò tanto Marx quanto per Engels, l’essenziale del dominio dell’uomo sulla
natura consiste nella capacità pratica di piegare tutte le forme di esistenza
della materia, compresa quella sociale, alla soddisfazione e alla produzione
dei bisogni umani. E ciò è possibile alla condizione di conoscere proprietà e
leggi di movimento e di impiegare queste conoscenze “nel modo più appropriato”.
Questo, del resto, è anche il significato più profondo del concetto di libertà.
La libertà non consiste nel sognare
l'indipendenza dalle leggi della natura, ma nella conoscenza di queste leggi e
nella possibilità, legata a questa conoscenza, di farle agire secondo un piano
per un fine determinato.
Ciò vale in riferimento tanto alle leggi della natura
esterna, quanto a quelle che regolano l'esistenza fisica e spirituale dell'uomo
stesso: due classi di leggi che possiamo separare l'una dall'altra tutt'al più
nell'idea, ma non nella realtà. Libertà del volere non significa altro perciò
che la capacità di poter decidere con cognizione di causa. Quindi quanto più
libero è il giudizio dell'uomo per quel che concerne un determinato punto
controverso, tanto maggiore sarà la necessità con cui sarà determinato il
contenuto di questo giudizio; mentre l'incertezza poggiante sulla mancanza di
conoscenza, che tra molte possibilità di decidere, diverse e contraddittorie,
sceglie in modo apparentemente arbitrario, proprio perciò mostra la sua
mancanza di libertà, il suo essere determinato da quell'oggetto che
precisamente essa doveva dominare.
La libertà consiste dunque nel dominio di
noi stessi e della natura esterna fondato sulla conoscenza delle necessità
naturali: essa è perciò necessariamente un prodotto dello sviluppo storico. I
primi uomini che si separarono dal regno degli animali erano tanto privi di
libertà in tutto quello che è essenziale, quanto gli stessi animali, ma ogni
progresso verso la civiltà era un passo verso la libertà (Anti-Dühring, cap. XI).
Nota: non ho quasi accennato nel post
alla questione – fondamentale – del linguaggio nei suoi diversi aspetti, poiché
essa merita un esame specifico, tenendo conto che il pensiero viene alla luce
attraverso la parola ma non si esaurisce in essa.
Chissà tutti i simpatici animali di One Life dove andranno a finire in una società basata sulla dialettica marxista, popolata di decine e decine di miliardi di umani che il nostro pianeta può sostenere senza problemi.
RispondiEliminaLa concezione di Engels del dominio umano sulla materia piegato ai bisogni umani è splendidamente ottocentesca e da lì, pare, qualcuno non si è mosso di una virgola.
Gli orrori ed errori del 900 non sono ancora avvenuti ... ci si può librare nei cieli delle magnifiche sorti e progressive.
Si ha la pretesa di capire la complessità del mondo animale, nello stesso tempo si parla di libertà, in una accezione proprietaristica che tradisce l'origine borghese ottocentesca dei concetti. Marx ed Engels, infatti, benché "rivoluzionari", incarnavano perfettamente lo spirito borghese dell'epoca, la mitologia del progresso umano.
L'uomo è l'animale che crea miti. Modifica la natura in base ai suoi sogni, non ai suoi bisogni che, dal punto di vista strettamente materiale, non sono poi tanto diversi da quelli degli altri animali.
Nel frattempo è passato un secolo e mezzo, nel quale la realtà di quello di cui è capace l'umano è diventata palese. Sovraffollamento, inquinamento, distruzione, guerre, ipnosi collettive. Oggi, a fronte di qualche élite tecnologico-capitalista che fa il bello e il cattivo tempo abbiamo una massa di semianalfabeti totalmente impotenti.
Marx e Engels si rivolgevano a un tipo di uomo che semplicemente non esisteva allora e non esiste neanche oggi. L'uomo di allora non è l'uomo di oggi, ma l'uomo "giusto" per l'utopia, non è mai arrivato. La storia continua a muoversi e va dove vuole lei, senza compimento, secondo le semplici leggi scritte dal più forte. A volte al più forte conviene darsi una regolata, a volte se ne fotte.
Le obiezioni alla "scienza" marxista sono oggi le stesse che nel 900.
Se si applica alla lettera la vetusta diamat si arriva a una concezione che fa dell'uomo il "proprietario" del mondo e quindi valgono stronzate tipo "il pianeta può sostenere decine di miliardi di umani senza problemi". Se si cerca un compromesso capitalista abbiamo il rovescio della medaglia, un ritorno fittizio alla natura, in "armonia" e "decrescita felice".
Lasciamo a Marx il primato della più perfetta analisi mai fatta del capitalismo e delle sue contraddizioni e non pretendiamo di renderlo la medicina per tutti i mali. Ha già storicamente dimostrato di non esserlo.
Capitalismo e comunismo, intesi come conflitto tra capitale e lavoro, hanno la stessa radice, l'ottocento borghese. Ha vinto quello più adatto a sopravvivere: il capitale. Adesso ci mangerà tutti. L'altro, semplicemente, non poteva farcela. Quando il mondo sarà drasticamente più povero, allora, forse ...
I problemi da risolvere in questo XXI secolo sono giganteschi e forse non sono nemmeno più risolvibili. Il futuro non è mai stato così incerto, credo.
Forse i nodi creati dalla così saccente razza umana, sono arrivati al pettine della natura.
su una cosa lei ha ragione, la massa di semianalfabeti. alla quale lei di diritto appartiene perché non sa capire quello che legge, non dico di quello che scrivo io, ma il significato delle citazioni riportate
Eliminache lei sia un semianalfabeta è provato dal fatto che i proprietari del pianeta esistono proprio in causa del capitalismo:
la ricchezza delle 80 persone più ricche del mondo, è superiore al PIL della Cina, cioè la ricchezza di 1 miliardo e 300 milioni di persone.
Il 4% della ricchezza delle 200 persone più ricche del mondo sarebbe sufficiente per i primi interventi dal punto di vista sanitario, scolastico, alimentare, idrico dell'intera umanità.
Il 38% della ricchezza va all'1% della popolazione.
legga il rapporto Capgemini, magari impara qualcosa, si sa mai
Guardi (visto che mi da del lei, glielo do anch'io) che nonostante il mio semianalfabetismo i dati di cui lei parla li conosco. E' evidente che neanche lei legge le obiezioni che vengono riportate. I proprietari del pianeta esistono proprio in causa del capitalismo: e chi l'ha mai negato? i
EliminaMa da questo, a dire che il pianeta può sostenere decine e decine di miliardi di umani senza problemi, basta redistribuire ecc, ecc., ce ne corre.
E' bello questo suo modo di dare dell'ignorante e semianalfabeta a chi non si inchina totalmente al verbo marxista.
Non ho detto che Engels ha scritto stronzate, mi sono solo permesso di dire che tutto questo è molto ottocentesco e che citarlo adesso, dopo che le magnifiche sorti e progressive e la dettagliata analisi dell'universo attraverso la dialettica hanno fatto sfracelli, mi pare francamente poco utile.
Mi riporta ai vecchi tempi. Che sembra non vogliano cambiare mai. Io imparo sempre volentieri qualcosa, lei, naturalmente, avendo già un Verbo a disposizione (mi scusi, una Scienza), sa già tutto e non ne ha bisogno.