Dopo oltre 40anni ho ripreso in mano il Rapporto, dal
titolo The Limits to Growth, redatto dal System
Dinamics Group del Mit, noto soprattutto come rapporto del Club di Roma, e pubblicato
in Italia con il titolo un po’ improprio de I
limiti dello sviluppo (1972). Le cose più interessanti del Rapporto e alle
quali è stata giustamente prestata maggior attenzione sono le tabelle e i grafici.
Ma prima di dire di alcuni dati ivi contenuti, vorrei proporre una citazione che
introduce il Rapporto, tratta dal discorso di un celebre personaggio di
allora i cui moniti non mancavano mai di farsi sentire nei telegiornali scolorati
(in ogni senso) di quell’epoca. Si trattava del birmano U Thant, segretario generale
dell’Onu, il discorso è del 1969, quasi mezzo secolo fa. Diceva:
Non vorrei
sembrare troppo catastrofico, ma dalle informazioni di cui posso disporre come
segretario generale si trae una sola conclusione: i paesi membri dell’Onu hanno
a disposizione a malapena dieci anni per accantonare le proprie dispute e impegnarsi
in un programma globale di arresto della corsa degli armamenti, di risanamento
dell’ambiente, di controllo dell’esplosione demografica, orientando i propri
sforzi verso la problematica dello sviluppo. In caso contrario, c’è da temere
che i problemi menzionati avranno raggiunto, entro il prossimo decennio,
dimensioni tali da porli al di fuori di ogni nostra capacità di controllo.
La tabella
più interessante del rapporto è la IV, laddove sono elencate le principali
materie prime non rinnovabili in tempi storici, tra le quali il petrolio. Si
rilevava che le riserve conosciute di petrolio ammontavano allora a circa
455mld di barili, con un indice esponenziale – definito come numero degli anni di
durata prevedibile delle riserve accertate con un indice del consumo esponenzialmente
crescente – di soli 20 anni. Bene
che andasse, secondo queste previsioni, molto prima dell’anno 2000, il petrolio
si sarebbe esaurito.
C’è però anche
la colonna che chiamo “indice
esponenziale paraculo”, laddove in base alla stessa formuletta matematica è
stimato l’aumento dell’indice delle riserve di cinque volte (si ottiene ponendo
5s al posto di s). Aveva ragione Lenin quando ne L’imperialismo fase suprema del capitalismo scriveva che con i
numeri si può dimostrare tutto e all’occorrenza anche il contrario. A ogni buon
conto, in forza a siffatto escamotage, cioè di aumentare le riserve di ben il
500%, l’ipotesi di allora porterebbe che fra sette anni (2020) noi non dovremmo
più stillare dal sottosuolo nemmeno una goccia di petrolio.
Il 4 aprile
scorso, senza aver rinvenuto ancora questi vecchi dati del Rapporto, scrivevo:
Qualche
dato storico: negli anni 1920 le riserve mondiali di petrolio erano stimate
intorno agli 8 miliardi di tonnellate e, quindi, mantenendo costante il livello
di sfruttamento dell’epoca, i giacimenti sarebbero diventati esausti entro gli
anni 1950. In quel decennio invece le riserve furono valutate sui 13 miliardi
di tonnellate, mentre l’estrazione annuale era di ben 500 milioni di
tonnellate. Si fa presto a fare il conto. Da quegli anni agli anni 1970 la
produzione annuale quintuplicò e con i nuovi giacimenti scoperti si accertarono
riserve per almeno 80 miliardi di tonnellate. Secondo i dati (2012) del Servizio Geologico degli
Stati Uniti nel sottosuolo della Terra ci sarebbero almeno 2 mila miliardi di barili di greggio (291.000.000.000 t).
Ebbene, la produzione di petrolio dopo la data
del Rapporto quintuplicò effettivamente di nuovo, così come era già successo
dagli anni 1950 agli anni 1970! E tuttavia dopo 43 anni dal Rapporto (lo studio
è stato redatto nel 1970), le riserve sono oggi almeno quattro volte quelle
degli anni 1970. Scrivevo sempre nel post del 4 aprile:
Le
riserve di petrolio non sono infinite, ma le nuove tecnologie di prospezione e
perforazione e il raggiungimento di depositi sempre nuovi, prima considerati
inaccessibili, hanno più volte spostato in avanti nel tempo il picco di
produzione.
*
* *
Del Rapporto sono curiose, forse più ancora, le stime relative
all’indice
esponenziale dei metalli: stagno, 15 anni;
tungsteno, 28; zinco, 18; argento, 13 anni! Secondo
la colonna che io chiamo “indice
esponenziale paraculo”, cioè truccando le stime e ipotizzando riserve 5
volte superiori a quelle accertate allora, l’argento sarebbe comunque dovuto
finire, in base al Rapporto, nel 2012!
Oggi non manca di certo. Il più grande produttore d’argento è il Perù, ovvio,
ma neanche Bartezzaghi indovinerebbe che la Polonia è il sesto produttore e ben
il secondo paese quanto a riserve monetarie di quel metallo.
A proposito dell’argento mi viene in mente la vicenda di un
metallo che da esso ha avuto nome (in spagnolo). Vedo di raccontarla un poco
nel prossimo post.
Plata? ;-)
RispondiEliminaStefano