E la donna
vide che il frutto dell’albero era buono a mangiarsi, ch’era bello a vedere, e
che l’albero era desiderabile per diventare intelligente; prese del frutto, ne
mangiò, e ne dette anche al suo marito ch’era con lei, ed egli ne mangiò.
Allora si apersero gli occhi ad ambedue, e s’accorsero ch’erano ignudi; e
cucirono delle foglie di fico, e se ne fecero delle cinture. Genesi, 3, 6-7.
Mangiando il frutto dell’albero della conoscenza,
l’uomo mutò la sua concezione del mondo; anzi, la storia degli uomini e delle
loro concezioni del mondo ebbe inizio
da quel momento. Scrive Feuerbach:
“L’animale
ha sì per oggetto se stesso come individuo – perciò ha sentimento di sé –, ma
non come genere – perciò gli manca quella
coscienza che deriva il suo nome da scienza.
Dov’è la coscienza, c’è facoltà di scienza. La scienza è la coscienza dei generi. Nella vita
trattiamo con individui, nella scienza con i generi” (*).
Il punto di partenza fu lo svincolarsi dell'uomo dal
regno degli animali e come suo contenuto il superamento di difficoltà quali mai
più si opporranno agli uomini associati dell'avvenire. Sul piano della
coscienza, gli uomini cominciarono a farsi delle idee sulle forze che muovevano
la natura, dapprima immaginando esseri soprannaturali, delle potenze della
natura personificate, capricciose e imprevedibili. Scrive Engels a riguardo: “ogni religione non è altro che il
fantastico riflesso nella testa degli uomini di quelle potenze esterne che
dominano la sua esistenza quotidiana, riflesso nel quale le potenze terrene
assumono la forma di potenze sovraterrene. All'inizio della storia sono
anzitutto le potenze della natura quelle che subiscono questo riflesso e che
nello sviluppo ulteriore passano nei vari popoli per le più svariate e
variopinte personificazioni”.
Poi, man mano, gli uomini intrapresero a riconoscere
le leggi e i nessi naturali nel movimento delle forze della natura. E tuttavia
solo una minoranza di uomini ricavava vantaggi diretti dalle nuove conoscenze, poiché
essi non avevano interesse a diffondere la loro scienza alla quale dovevano il
loro potere. Ponevano in essere uno dei presupposti dell'ineguaglianza. Serviranno millenni prima che si venga a concepire la moderna
rivendicazione dell'eguaglianza tra gli uomini, pur essendo antichissima l'idea
che tutti gli uomini essendo tali hanno qualche cosa di comune e che essi sono
anche eguali nei limiti di questo elemento comune.
Nelle comunità naturali, nelle società più antiche,
si poteva parlare di eguaglianza dei diritti tutt’al più tra i membri della
comunità; va da sé che donne, schiavi, stranieri ne erano esclusi. La moderna
rivendicazione dell'eguaglianza consiste invece – scrive Engels nell’Anti-Dühring – nel dedurre da quella
proprietà comune dell'essere umano, da quell'eguaglianza degli uomini in quanto
uomini, il diritto ad un eguale valore politico, ovvero sociale, di tutti gli
uomini, o almeno di tutti i cittadini di uno Stato, o di tutti i membri di una
società (**).
Nelle fasi dello sviluppo della società umana è
contenuta una necessità che un tempo non si poteva conoscere. Il cammino che
porta l’uomo dal regno della necessità a quello della libera sarà lungo,
difficile e assai contraddittorio (***). Ed infatti nonostante siano stati
compiuti dei passi importanti, tuttavia finora le trasformazioni sociali hanno
modificato solo la forma dell’illibertà, ossia, per dirla con Marx, “in tutte le rivoluzioni finora avvenute non è mai stato
toccato il tipo dell’attività, e si è trattato soltanto di un’altra
distribuzione di questa attività, di una nuova distribuzione del lavoro ad
altre persone”.
I processi nella coscienza degli
uomini, dei popoli come nei singoli, sono processi che noi dobbiamo comprendere
nella loro necessità. Posto che il passaggio dal regno della necessità a quello della libertà,
ossia il comunismo (****), deriva certo da una necessità storica, tuttavia ciò non vuol dire che comunque dovrà
accadere. Esso è dato come possibilità dello sviluppo storico, sia
pure come possibilità che si sviluppa
con la regolarità della legge. Ma può anche andare diversamente.
Osserva Robert Havemann nella nona lezione raccolta nel suo Dialettica senza dogma: “ … il difficile sta nel riconoscere le leggi dello sviluppo umano. Il processo storico si distingue dal processo naturale – dall’adattamento dei fatti di natura – in quanto irripetibile. Nel carattere irripetibile e definitivo del decorso storico sta una delle difficoltà principali che ostacolano la comprensione delle sue leggi. Anche per questo è difficile acquistare la libertà mediante la cognizione della necessità dei rapporti umani e riconoscere le possibilità di trasformare questi rapporti umani, in modo che possano promuovere consapevolmente una trasformazione e uno sviluppo ulteriore senza violare o ignorare le leggi immanenti alla società, e anzi proprio col loro aiuto”.
Osserva Robert Havemann nella nona lezione raccolta nel suo Dialettica senza dogma: “ … il difficile sta nel riconoscere le leggi dello sviluppo umano. Il processo storico si distingue dal processo naturale – dall’adattamento dei fatti di natura – in quanto irripetibile. Nel carattere irripetibile e definitivo del decorso storico sta una delle difficoltà principali che ostacolano la comprensione delle sue leggi. Anche per questo è difficile acquistare la libertà mediante la cognizione della necessità dei rapporti umani e riconoscere le possibilità di trasformare questi rapporti umani, in modo che possano promuovere consapevolmente una trasformazione e uno sviluppo ulteriore senza violare o ignorare le leggi immanenti alla società, e anzi proprio col loro aiuto”.
Da questo punto di vista è fondamentale, nell’ambito
della lotta di classe, stimolare la coscienza di classe, cioè diffondere la
cognizione scientificamente fondata di noi stessi e dei nostri rapporti
sociali. Perciò è indispensabile combattere l’ideologia borghese, ossia le
illusioni e gli inganni che questa società ha interesse a promuovere su se
stessa come una necessità ineliminabile.
Nel divenire della crisi sociale, la classe dominante, il suo monopolio mediatico, tende a promuovere, da un lato, una proliferazione selvaggia di
linguaggi e teorie, un tipo di cultura schizofrenica e di paradigmi in lotta
fra loro, e, dall’altro, a esercitare la censura e la rimozione delle
sollecitazioni trasgressive che possono minacciare seriamente i suoi modelli di
riferimento. All’apparente ampia libertà di comunicare si affianca la schiavitù
della coscienza sottoposta a una codificazione dispotica che non controlliamo.
Dal lato politico, della politica politicante, noi
vediamo bene, anche in questi giorni, come i partiti borghesi hanno come unico
scopo fondamentale quello di conservare questa società e se stessi quali
mediatori del conflitto sociale tra padroni e schiavi, di mantenere salde le
catene che ci rendono prigionieri degli interessi del parassitismo borghese, delle
contraddizioni del modo di produzione capitalistico, delle sue crisi e
sperequazioni.
(*) L’essenza
del cristianesimo, Laterza, p. 25; Ponte alle Grazie, p. 65. La traduzione
nell’ed. Feltrinelli (1960) differisce dalle altre due, ma i concetti sono gli
stessi.
(**) «Ora per
la prima volta spuntava la luce del giorno; da ora in poi la superstizione,
l'ingiustizia, il privilegio e l'oppressione dovevano essere soppiantati dalla
verità eterna, dalla giustizia eterna, dall'eguaglianza fondata sulla natura,
dai diritti inalienabili dell'uomo. Noi sappiamo ora che questo regno della
ragione non fu altro che il regno della borghesia idealizzato, che la giustizia
eterna trovò la sua realizzazione nella giustizia borghese; che l'eguaglianza
andò a finire nella borghese eguaglianza davanti alla legge; che la proprietà
borghese fu proclamata proprio come uno dei più essenziali diritti dell'uomo; e
che lo Stato secondo ragione, il contratto sociale di Rousseau, si realizzò, e
solo così poteva realizzarsi, come repubblica democratica borghese» (Anti-Dühring. Introduzione. Considerazioni
generali).
(***) «Hegel fu il primo a rappresentare in modo
giusto il rapporto di libertà e necessità. Per lui la libertà è il
riconoscimento della necessità. "Cieca è la necessità solo nella misura in
cui non viene compresa".» (Anti-Dühring.
Morale e diritto. Libertà e necessità).
(****) «Il
comunismo si distingue da tutti i movimenti finora esistiti in quanto rovescia
la base di tutti i rapporti di produzione e le forme di relazione finora
esistite e per la prima volta tratta coscientemente tutti i presupposti
naturali come creazione degli uomini finora esistiti, li spoglia del loro
carattere naturale e li assoggetta al potere degli individui uniti. La sua
organizzazione è quindi essenzialmente economica, è la creazione materiale
delle condizioni di questa unione, essa fa delle condizioni esistenti le
condizioni dell’unione. Ciò che è tradotto in esistenza dal comunismo è appunto
la base reale che rende impossibile tutto ciò che esiste indipendentemente
dagli individui, nella misura in cui questo non è altro che un prodotto delle
precedenti relazioni degli individui stessi» (L’ideologia tedesca, cap. IV).
*
L’analisi del comportamento umano differisce qualitativamente da quello animale
quanto l’adattabilità e lo sviluppo
storico degli esseri umani differiscono dall’adattabilità e dallo sviluppo
degli animali. E, soprattutto, lo sviluppo storico degli esseri umani – per
dirla con il più grande psicologo marxista russo – è parte dello sviluppo
storico-generale della nostra specie e deve essere inteso così.
L’uomo non è semplicemente un mammifero, subisce
l’influsso della natura, ma egli nello stesso tempo è capace di creare,
attraverso continue trasformazioni di essa, nuove condizioni naturali della sua esistenza. Non è solo il punto più alto raggiunto della
materia nel suo divenire come pretende il riduzionismo materialistico, poiché è
proprio in questa reazione trasformatrice
sulla natura che l’uomo dimostra di essere qualitativamente irriducibile, nei
suoi processi sociali e psicologici, al mondo animale dal quale si è
emancipato.
È ingenua ogni riduzione evoluzionistica intesa come
semplice “accumulazione graduale di piccole trasformazioni e graduali
conversioni di una forma in un’altra”, poiché con questo si trascura il
carattere rivoluzionario, non unilaterale, non rettilineo, discontinuo dei
processi sociali. Il concetto di sviluppo non può essere ridotto allo schema
“più – meno”, poiché in tal caso questo concetto non è adeguato alla cosa e
sarebbe più esatto usare concetti come maturazione e crescita.
Anche nel modello darwiniano in cui l’ambiente
esterno svolge un ruolo importante e l’evoluzione si realizza mediante un
conflitto permanente tra organismo e ambiente, si tratta di un conflitto che si
attua senza svolte qualitative, dove nei
processi il rapporto caso/necessità è in sé esaustivo, essendo
l’adattamento delle specie animali di natura passiva, e cioè non mediato da alcun genere d’intervento
attivo e di strumenti.
Laddove i processi sono mediati dall’intervento umano
cosciente, dunque i processi storico sociali, nel passaggio dal comportamento
dei paleantropi ad un comportamento umano, si realizza un salto di qualità, un
salto dialettico che non consente più di spiegare il tipo di adattamento e di
sviluppo storico dell’uomo con gli schemi di adattamento e di evoluzione
precedenti. La nuova qualità, in altri termini, non si lascia cogliere
adeguatamente dal meccanismo di spiegazione proposto dalle concezioni
naturalistiche, noto come “stimolo-risposta”.
In natura le forme di comunicazione animale sono
geneticamente ereditate, il singolo individuo non può apportare variazioni
creative che si configurino come significanti dotati di un qualsiasi
significato per il gruppo. È la natura a condizionare il comportamento, non
solo quello individuale. Un adattamento del tutto passivo, casuale
nell’individuale, e necessario nel collettivo. Il riflesso condizionato regola
nel cervello dell’animale la formazione di nessi sulla base di un rispecchiamento che, per così dire,
copia dei nessi naturali tra tutti i possibili agenti della natura. La
comunicazione animale, per esempio, è sempre direttamente collegata con la loro
azione e non raggiunge mai lo stadio della rappresentazione oggettiva. Perciò il comportamento animale è spiegato
dal punto di vista naturalistico e non storico.
Nel caso del rapporto uomo-natura, l’adattamento e il
comportamento sono invece attivi, e si compiono attraverso una modificazione
della natura e dunque anche – come detto nei post precedenti – della natura
stessa dell’uomo. Per questo motivo, il comportamento umano deve essere
spiegato nella genesi di un nuovo principio regolativo del comportamento che
non si lascia tuttavia ridurre ad essa, essendo il risultato di un’attività
sociale trasformatrice, vale a dire
il risultato del lavoro, e cioè di un’attività collettiva finalizzata a scopi
determinati e mediata da strumenti
diversi. Perciò il comportamento umano
va spiegato anzitutto dal punto di vista storico-sociale.
Voici donc
la différence!
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