Tutte queste sono idee
assolutamente chiare;in esse non v'è la
garanzia che la rivoluzione avverrà;ma in esse si mette
l'accento su una precisa caratteristica di fatti e di tendenze.Chi dice, a proposito
di questi argomenti e di questi ragionamenti,che prevedere lo
scoppio della rivoluzione significa illudersi,ha dimostrato di
avere, verso la rivoluzione stessa,un atteggiamento non
marxista,ma struvista,
poliziesco, da rinnegato (*).
Come
premessa ma anche come conclusione (provvisoria)
L’attenzione alla dialettica come teoria della
conoscenza e segnatamente ai concetti di caso/necessità, ci serve anzitutto per
stabilire il nostro effettivo rapporto con la realtà – naturale e sociale (che
fa lo stesso) – , per scoprirvi il nesso autentico del rapporto tra libertà e
necessità, quindi la possibilità di poter trasformare la realtà laddove è dato di farlo, in modo che – scriveva Marx – “l’uomo faccia
consapevolmente ciò che altrimenti è costretto a fare inconsapevolmente dalla
natura” (**).
A riguardo del rapporto tra caso/necessità vale il
noto esempio del signor Maier e della tegola che dal cornicione gli cade sul
capo mentre va al lavoro. Chiaro che si tratti di un evento casuale, e
nell’ambito delle possibilità poteva capitargli oppure no. In genere si parla
di sfiga, la quale, come già la fortuna, è cieca per definizione. Ma ciò
appartiene al senso comune e ai suoi modi di dire.
Quell’evento è casuale, ma dal lato della caduta
della tegola essa segue la necessità (ossia la legge di gravità), così come,
dall’altro, l’uscita di casa del poveretto segue la necessità di recarsi al
lavoro. La connessione (causa-effetto)
tra le due diverse necessità, è solo temporanea.
Però, fatto importante, non sono le necessità a provocare l’evento, il quale è
accaduto casualmente. In altri
termini, non la legge di gravità ha provocato quel particolare evento, sebbene in
generale la caduta delle tegole segua la legge di gravità. Non tutti quelli che
vanno al lavoro incorrono in simili incidenti con le tegole. Non
tutte le tegole che cadono dai cornicioni finiscono in testa alla gente che passa di lì.
In altri termini, la necessità non determina il reale
ma solo il possibile. Ciò che è possibile
(la caduta della tegola dal cornicione, da un lato, e, dall’altro, il passaggio
in quel momento del signor Maier che si reca al lavoro) è determinato secondo
necessità, ossia segue le leggi del
mondo e dei fenomeni che stanno nel possibile. Se una cosa è determinata
soltanto secondo legge e per necessità come una cosa possibile, allora essa
nella realtà può accadere, manifestarsi, solo casualmente.
Se viceversa il possibile accadesse per necessità e
non casualmente, se fosse retto dal principio che una cosa o un fatto accade
per necessità, allora tutto sarebbe determinato non come un semplice possibile,
ma già come una necessità.
Di questo passo, si potrebbe dimostrare che la tegola
è caduta in testa al signor Maier per necessità diretta, “per una
concatenazione – dice Engels – irrevocabile di cause ed effetti, per
un’incrollabile necessità”. In tal modo si potrebbe dire che l’incontro tra
Maier è la tegola era già iscritto nella necessità con la comparsa del sistema
solare e anzi prima ancora.
In questo modo non
si dà ragione della casualità mediante la necessità, ma piuttosto sarebbe la
necessità a essere degradata alla generazione del puramente casuale.
Ripeto: il nesso causa-effetto è temporaneo, relativo
a quel fatto, segue nella sua dinamica le leggi generali della necessità, ma i
singoli fatti nel loro accadere sono assolutamente casuali. Ma in tutto questo
continuo mutamento – scrive Havemann in Dialettica
senza dogma – , in questo flusso
delle cose, c’è tuttavia qualche cosa di durevole, il motivo più profondo dei
nessi: la rispondenza alla legge.
Dal punto di vista della scienza, ciò che noi conosciamo
sulla natura, sull’essenza più profonda delle cose, non è ciò che è accaduto,
bensì il perché, perché ciò sia possibile.
Il grado di possibilità in cui accadono i singoli
fatti ed eventi, è dato dalla probabilità.
L’accadere o il non accadere di ogni singolo fatto è dato dal suo grado
di possibilità. Compito della scienza teorica, nella fattispecie, è stabilire la possibilità e di
calcolare il grado di probabilità. Perciò la casualità è effettivamente una categoria oggettiva, indipendente dalla
nostra coscienza.
Poiché i fatti reali, cioè possibili, non derivano
per necessità l’uno dall’altro (la tegola che cade e Maier che passa), ma soltanto le possibilità di nessi casuali diversi
(sempre la tegola da un lato e Maier dall’altro) sono determinate per necessità secondo legge, e così si
ha la casualità oggettiva del
singolo processo reale (l’accaduto) (***).
Questi concetti – come detto in premessa – hanno
grande importanza per il nostro rapporto con il mondo. La concezione dialettica
fra casualità e necessità – scrive Havemann nella 7a lezione – ci riporta a ideali reali della libertà
umana. Come ho accennato nei due post precedenti che trattano di queste
questioni, noi acquistiamo libertà in quanto modifichiamo le necessità, creiamo
nuove possibilità e variamo il possibile. Possiamo aumentare il grado di
possibilità di certi fatti e diminuire quello di altri.
“L’uomo, con
la sua attività, non è il trastullo di casi ciechi e fantastici, ma, al
contrario, egli fa uso pratico della
casualità dei fatti per raggiungere ciò che desidera. Se non ci fosse la cecità
del caso, noi non potremmo mutare il mondo con i nostri occhi aperti. L’uomo è
libero proprio perché il futuro del mondo può essere determinato, non essendo
ancora [completamente] determinato”.
Scrive Marx nell'Ideologia tedesca: La
comunità apparente nella quale finora si sono uniti gli individui si è sempre
resa autonoma di contro a loro e allo stesso tempo, essendo l’unione di una
classe di contro a un’altra, per la classe dominata non era soltanto una comunità
del tutto illusoria, ma anche una nuova catena. Nella comunità reale gli
individui acquistano la loro libertà nella loro associazione e per mezzo di
essa.
Tradotto: in un sistema sociale di merda dominato da
una classe di furfanti della cui irresponsabilità paghiamo le conseguenze, ciò
che conta veramente, dunque, è rompere le catene che ci legano a questa sorte apparentemente inesorabile. Ed è lasciato un solo modo
per farlo: la bontà. Quella autentica, così come l’ha descritta Bertolt Brecht
e che riassumo: bontà oggi significa distruzione di coloro che impediscono la
bontà.
(*) V.I. Lenin, Il
fallimento della II Internazionale.
(**) «Sua
Maestà il caso», ebbe a scrivere ironicamente Karl Marx. Caso e necessità,
“singolarità e universalità”, relativo e assoluto, sono i poli di una stessa essenza, quella del
movimento del reale. “Sono ciò che sono
soltanto come una determinazione differenziata, e cioè come questa differenziata determinazione dell’essenza”. Il fondamentale
dualismo di Hegel – afferma criticamente Marx – è di trattarli come reali opposti.
L’individuale
è l’universale – scrive Lenin –, gli opposti sono dunque identici:
l’individuale non esiste altrimenti se non nella connessione che lo congiunge
con l’universale. L’universale esiste soltanto nell’individuale, attraverso
l’individuale. […] Ogni individuale entra in modo incompleto
nell’universale, ecc., ecc.. Ogni individuale è collegato da migliaia di
trapassi agli individui (cose, fenomeni, processi) di un’altra specie, ecc. Già
qui – sottolinea Lenin nei Quaderni
filosofici – di dànno elementi, embrioni del concetto di necessità, di connessione
oggettiva della natura, ecc. Accidentale
e necessario, fenomeno ed essenza
sono già qui presenti […].
Per tal
modo, in ogni proposizione possiamo (e dobbiamo) scoprire, come in una
“cellula”, gli embrioni di tutti gli
elementi della dialettica, mostrando così che la dialettica inerisce in
generale all’intera conoscenza umana. Le scienze naturali ci presentano (e, di
nuovo; questo va dimostrato con un qualsiasi esempio
molto semplice) la natura oggettiva con questa stesse sue proprietà:
trasformazione dell’individuale in
universale, dell’accidentale in
necessario, trapassi, digradamenti, connessione reciproca degli opposti. La
dialettica è appunto la teoria della conoscenza (di Hegel e) del marxismo: proprio
a questo “lato” (che non è un “lato”, ma l’essenza) del problema non ha
prestato attenzione Plechanov, per non dire di altri marxisti.
(***) Dice Hegel: “Il casuale ha un motivo, perché è casuale”: vuol
dire che nulla avviene senza motivo (legge). Ma poiché il motivo (legge)
determina il reale solo come possibile (che può accadere o non accadere), il
motivo (legge) appare anche nel casuale (nella dinamica dell’accaduto).
“Il casuale, in pari tempo, non ha motivo alcuno,
perché è casuale”. Infatti, in quanto casuale, può accadere o non accadere, e
ciò che realmente accadrà, cioè l’essere o il non essere, non ha motivo (legge)
alcuno.
“Il casuale è necessario”, vuol dire che nel
fuggevole e nell’irripetibile compare per necessità il permanente e il duraturo
(le leggi), ma solo casualmente.
“La casualità è la necessità assoluta”, per ciò che è
già stato detto, ossia che senza casualità tutto ciò che è irripetibile e
transitorio sarebbe invece necessario. Solo nella forma (nel modo – nelle leggi – in cui avviene) della casualità il
necessario è assoluto.
«L’uomo è libero proprio perché il futuro del mondo può essere determinato, non essendo ancora determinato».
RispondiEliminaBellissimo.
sì, ma non trova interesse, non come il cazzeggio spinto
Eliminavedremo sul da farsi
ciao caro
Uno dei tuoi migliori post di sempre :)
RispondiEliminaslurp!
Elimina"Di questo passo, si potrebbe dimostrare che la tegola è caduta in testa al signor Maier per necessità diretta, “per una concatenazione – dice Engels – irrevocabile di cause ed effetti, per un’incrollabile necessità”. In tal modo si potrebbe dire che l’incontro tra Maier è la tegola era già iscritto nella necessità con la comparsa del sistema solare e anzi prima ancora."
RispondiEliminaDi fatto, non c'è realmente modo di sapere che NON è così. Possiamo solo crederlo, o supporlo, o sperarlo.
Allo stesso modo possiamo credere o supporre, o sperare di essere liberi, perché non possiamo determinare il futuro, ma non lo sappiamo veramente.
Sono questioni filosofiche che non hanno mai avuto una soluzione definitiva e presumibilmente non l'avranno mai.
Neanche la dialettica risolve soddisfacentemente il quesito del determinismo, al limite introduce una FEDE nell'assenza di esso.
Sulla categoria della bontà intesa come distruzione di chi impedisce la bontà, mi sembra una frase, quella di Brecht, infarcita di assoluti che non hanno mai portato a nulla di buono. La bontà della distruzione altrui (che poi è sempre distruzione fisica, è inutile girarci intorno) non è altro che vendetta.
Consiglio la lettura di un piccolo gioiello (ormai quasi introvabile): La scheggia di Vladimir Zazubrin edito da Adelphi. Quando lo lessi, una ventina di anni fa mi lasciò un'impressione indelebile. E' la storia del periodo leninista visto da un funzionario della ceka, incaricato delle migliaia e migliaia di esecuzioni capitali, nel periodo 1918 - 1922. Descrive bene la psicologia dei carnefici e quella delle vittime, soprattutto la bontà dei boia. Zazubrin era un fervente rivoluzionario, sparito durante le purghe del 1938.
Certe cose è meglio solo scriverle e leggerle.
Se il mondo dovesse tornare a quei fasti non c'è garanzia di salvezza per nessuno, neanche per il più fervente marxista.
solo sulla tua interpretazione che dai della frase brectiana:
Eliminapensi che la borghesia sia diventata la classe dominante per vie pacifiche? pensi che il fascismo e il nazismo siano stati dei fenomeni casuali? pensi che la democrazia borghese operi per vie pacifiche? se è così hai ragione.
No, Olympe, non lo credo affatto. Credo anzi che la borghesia si sia macchiata dei delitti più atroci, genocidi compresi, nel corso dei secoli. A questo punto mi viene da pensare che la storia non è altro che il susseguirsi di delitti atroci perpetrati dal forte contro il debole.
EliminaViolenza e sempre violenza, sotto forme diverse, pare non esserci mai stato altro al mondo.
E quante volte io stesso ho avuto desideri di violenza, magari contro il politicante di turno o il fascista di turno o anche la becera umanità che mi circonda e della quale faccio pur parte. Siamo anime inquiete.
Credo che però che il cosiddetto "socialismo reale" sia stato un incubo per milioni di persone. Non era il vero socialismo, naturalmente, ma è stato anch'esso "necessario". E purtroppo questo fatto incontrovertibile getta un'ombra incancellabile su tutti i tentativi di progredire verso una valida alternativa al sistema operante. Credo anzi che sia l'ostacolo più forte di tutti. C'è stata troppa morte al servizio della bontà.