Se pensate che il problema fondamentale del XXI
secolo (così come del precedente) sia lo sfruttamento sconsiderato e
insaziabile delle risorse, la loro iniqua distribuzione, la rapina che l’1 per
cento continua a danno del 99 per cento, gli ottanta individui che hanno una
ricchezza superiore al Pil della Cina, vi sbagliate. Il problema vero è che
facciamo troppi figli. Solo la Chiesa cattolica non vi si oppone, ma per calcolo:
come farebbe senza i poveri da consolare e da tosare? Tuttavia – come scrissi
qualche giorno fa citando Nicholas Georgescu-Roegen – solo un pazzo o un
economista può credere che una crescita infinita sia compatibile con un mondo
finito.
Poi, in risposta a un commento di un lettore, dicevo e
non solo per paradosso, che “il nostro
pianeta può sostenere senza alcuna difficoltà e con consumi adeguati decine di
miliardi di esseri umani” (*). Aggiungevo che il problema demografico è anzitutto
un concetto storico nella misura in cui riflette le conseguenze sociali di un
determinato modo di produzione. Laddove
predomini il modo di produzione capitalistico è inesatto parlare genericamente
di sovrappopolazione, poiché si tratta di sovrappopolazione relativa.
Il capitale ha bisogno di forza-lavoro, non solo quella strettamente necessaria
alla produzione, ma anche di forza-lavoro non occupata in modo da tenere i
salari più bassi possibile.
Chiaro che se questo sistema economico è in
difficoltà nel sostenere – proprio nel
modo in cui sostiene – sette miliardi di persone, con venti miliardi d’individui sarà al collasso. Oggi,
peraltro, noi vediamo come laddove le condizioni materiali d’esistenza
migliorano, anche il tasso natalità declini nel modo auspicato e si giunga
perfino a un problema opposto, come in molti paesi d’Europa e dopo il 2020
anche in Cina, laddove si presenterà il problema dell'invecchiamento (**). Ma anche il problema dell’invecchiamento della popolazione è un
problema relativo che diventa assoluto in questo sistema economico e sociale.
Soprattutto vorrei invitare a una riflessione, breve e
semplice: dei 7 miliardi di persone che hanno bisogno di nutrirsi, vestirsi e
di tutto il resto, oltre 4 miliardi consumano poco o pochissimo rispetto allo
standard di poco più di un miliardo di persone che vivono nell’emisfero nord.
Ripeto ciò che ho scritto più volte: non ci sono troppe bocche per troppo
poco cibo, ma sicuramente troppo cibo per alcune bocche! Solo uno
sviluppo pianificato, regolato e controllato può risolvere questo genere di
problemi. Perciò insisto nel dire che dopo il capitalismo o ci sarà il
comunismo oppure dominerà la barbarie.
Lo so con
quale inchiostro è stata scritta la storia del comunismo novecentesco, ma non è
a quel tipo di regimi che mi riferisco. E a chi mi dice – sempre gente ben
tranquilla nel suo status e nutrita di inalienabili certezze – che il comunismo
può essere declinato solo a quel modo, rispondo che finché miliardi di persone
conoscono solo il bisogno di mangiare, o meglio soltanto il bisogno di mangiare
un determinato cibo, e anzi ancora soltanto il bisogno di mangiare quel
determinato cibo della qualità più scadente, e che anche per i salariati delle
zone opulente del mondo si vanno sempre più facendo chiare certe cose, vale la
pena di tentare facendo tesoro di quelle esperienze fallite approfittando delle
nuove e migliori contingenze storiche.
* * *
Per quanto riguarda le risorse naturali, quando si consuma la
metà della produzione cerealicola per produrre carne, o ingenti quantità di
petrolio per produrre contenitori di plastica, qualche grave problema si pone
inevitabilmente. E qui si sperimenta l’abilità degli ideologi di spostare la responsabilità
dalle cause agli effetti e viceversa. In realtà si prende atto che i sistemi
politici non solo non sono in grado di frenare le forze spontanee del mercato
capitalistico e di evitare le crisi economiche, ecologiche e i cataclismi
sociali, ma che anzi le istituzioni politiche favoriscono e proteggono tale
anarchia chiamandola “libero mercato”.
Quanto all’esaurirsi di alcune risorse naturali non
rinnovabili, prima tra tutte il petrolio, si tratta di un problema reale. Tuttavia
il catastrofismo ecologico non aiuta a risolvere i problemi, ed è anzitutto
utilizzato dagli speculatori di borsa, oltre a essere giocato in chiave
politica. Ricordo il famoso rapporto del Club di Roma redatto da Forrester, Meadows
e da altri colleghi del Mit, poi più volte aggiornato, cioè corretto. Saranno
stati dei grandi specialisti nel campo del modello matematico – e sappiamo come
la matematica sia il linguaggio universale della scienza moderna – ma l’errore
non diventa verità solo perché rivestito di formule matematiche. Soprattutto
quando si trascurano alcune variabili fondamentali o non vengono prese in
considerazione le deficienze teoriche e metodologiche che per l’appunto non
possono essere compensate da nessun computer.
Qualche dato storico: negli anni 1920 le riserve mondiali di
petrolio erano stimate intorno agli 8 miliardi di tonnellate e, quindi,
mantenendo costante il livello di sfruttamento dell’epoca, i giacimenti
sarebbero diventati esausti entro gli anni 1950. In quel decennio invece le
riserve furono valutate sui 13 miliardi di tonnellate, mentre l’estrazione
annuale era di ben 500 milioni di tonnellate. Si fa presto a fare il conto. Da
quegli anni agli anni 1970 la produzione annuale quintuplicò e con i nuovi giacimenti
scoperti si accertarono riserve per almeno 80 miliardi di tonnellate. Secondo i
dati (2012) del Servizio
Geologico degli Stati Uniti nel sottosuolo della Terra ci sarebbero almeno 2
mila miliardi di barili di greggio (291.000.000.000 t). Le riserve di petrolio non sono infinite,
ma le nuove tecnologie di prospezione e perforazione e il raggiungimento di
depositi sempre nuovi, prima considerati inaccessibili, hanno più volte
spostato in avanti nel tempo il picco di produzione.
Fosse dipeso da questi studi, il petrolio si sarebbe esaurito
decenni or sono. Va tenuto presente che la famosa teoria di Hubber è del 1956 e
poi, come sempre succede, fu più volte rivista. Il progresso tecnico-scientifico non provoca soltanto un crescente consumo
di risorse naturali, ma nello stesso tempo anche una colossale economia di
materiali e di lavoro nel processo produttivo. Prendiamo l’esempio del
trasporto e delle comunicazioni: il trasporto aereo non significa solo
risparmio di tempo, ma economizzare anche un’enorme quantità di acciaio e di
altre materie prime per la costruzione di navi e per la loro navigazione. E i
satelliti quanti milioni di materiali non ferrosi fanno risparmiare in cavi?
Chi decide quanto petrolio estrarre e raffinare, e soprattutto per quali impieghi? Sono questi i punti veri della questione, senza rispondere
ai quali non si va da nessuna parte, e anzi si finisce nella retorica morale e
demagogica, caricando le responsabilità sul consumatore spensierato ed ingordo.
E quando si parla di sviluppo sostenibile o di vecchie cazzate come la
decrescita, rispondo: prova a dirglielo a chi produce, trasforma e
commercializza petrolio e derivati. Persino il proporre alcuni semplici metodi
tecnici per contenere i consumi di materie prime e d’energia attraverso una
maggiore durata degli oggetti d’uso, una loro sostituzione con altri di minor
impatto ambientale, o l’impiego di fonti energetiche alternative (vedi il caso
Enel - incentivi al fotovoltaico), significa scontrarsi con l’accanita
resistenza dei monopolisti, che scorgono in queste proposte un attentato alla
libertà di mercato e un attacco al profitto.
Per questo sperpero ingiustificato delle risorse naturali e
per l’inquinamento, l’umanità paga e pagherà sempre più un duro prezzo. Se il
petrolio è realmente – oggi – una materia prima fondamentale e non rinnovabile
in tempi storici, perché lasciare decidere della sua produzione e impiego le
multinazionali? E ciò vale anche per tutte le materie prime, i prodotti
strategici e i beni fondamentali come l’acqua e la qualità dell’aria. Ridurre i
problemi sociali agli aspetti ecologici del rapporto tra l’uomo astratto e la
natura, significa non comprendere che l’ambiente
fa parte della struttura economica. Diversamente, invece di trasformare le
foreste in pascoli e ridurre le terre coltivate a deserti, potremmo lasciar
vivere le foreste e trasformare i deserti in terre coltivabili.
Perciò la questione riguarda direttamente un nuovo modo di
produzione quanto un nuovo oggetto della produzione, quindi nuova attuazione
della forza essenziale dell’uomo e nuovo arricchimento dell’essere umano.
Nell’ambito del capitalismo la questione è posta esattamente nel significato
opposto. Ci s’ingegna a procurare nuovi bisogni per costringerci a nuovi
sacrifici, per ridurci a una nuova dipendenza e spingerci a sempre nuovi modi
di godimento e quindi a reciproci inganni e reciproche spoliazioni. Lo vediamo
ogni giorno, la nostra povertà materiale e la nostra miseria spirituale aumenta
in misura in cui aumenta la potenza del denaro; il bisogno del denaro è il vero
bisogno prodotto dall’economia, la sua quantità il simbolo di potenza.
Tutta la così detta storia del mondo non è altro che la
generazione dell’uomo mediante il lavoro umano, null’altro del divenire della
natura per l’uomo, dello sviluppo delle sue facoltà e della sua intelligenza.
Il cervello umano è il più alto prodotto della natura e della società, una
risorsa inestinguibile. L’intelletto umano non solo si rinnova, ma si arricchisce
di sempre nuove acquisizioni. La maggior parte dei prodotti oggi in uso prima
del 1900 era sconosciuta, in gran parte anche solo cinquant’anni fa. Oltre i
nove decimi di tutti gli scienziati mai vissuti sono nostri contemporanei. Chi
oggi può azzardarsi dal dire che tutte le maggiori scoperte e invenzioni siano
state già compiute e che l’umanità non è capace di scoprire e mettere a frutto
nuove fonti di energia e nuovi materiali?
Solo poco più di un secolo fa il volo dell’uomo era
considerato un’ipotesi, i viaggi spaziali fantastiche congetture, mentre è
quasi mezzo secolo che l’uomo ha passeggiato sulla Luna e stiamo aspettando che
si rilevi la presenza di acqua su Marte per fare altrettanto. Tuttavia, così come noi vediamo anche quali siano i gravi problemi economici in cui s’imbatte
questo assurdo sistema, dobbiamo prendere atto che anche la scienza è
sottoposta a forti costrizioni da parte del capitale e a moltissimi
condizionamenti da parte dell’ideologia borghese, per cui essa non può
progredire come in realtà potrebbe. E anche l’inquinamento della coscienza
sociale va considerato, per i danni che provoca continuamente!
Segnalo un post da leggere, qui.
(*) Naturalmente la mia affermazione è basata su dei dati di alcuni studi, che naturalmente vanno presi anch'essi con le molle. I quali studi, partono peraltro da un presupposto diverso dal mio.
(**) A causa di un tenore di vita sempre più alto e di una longevità che va ad aggravare le storture indotte dalla politica del “figlio unico”, la Cina ha una delle popolazioni in più rapido invecchiamento del mondo. Si prevede che la popolazione totale attiva del paese raggiungerà i picco nel 2015. Da quel momento in poi, un numero sempre più esiguo di cittadini cinesi di età compresa tra i quindici ei sessantaquattro anni dovrà mantenere una popolazione anziana sempre più numerosa. I cambiamenti demografici saranno notevoli: si valuta che nel 2030 i lavoratori agricoli di età compresa tra i 20 e i 29 anni saranno la metà di quelli attuali. Nel 2050 la metà della popolazione cinese avrà dai 45 anni in su (H. Kissinger, Cina, p. 468).
Che soddisfazione leggerti.
RispondiEliminaA parte, una domanda: cosa potrà impedire a degli auspicabili pianificatori comunisti di non replicare gli errori del passato?
grazie Luca. la domanda, con il tuo permesso s'intende, la porrei così: cosa potrà impedire a noi di non replicare gli errori del passato, dato che le questioni apertamente poste implicano già certe risposte e non ne vengono mai poste di quelle che porterebbero ad altro che a un certo tipo obbligatorio di risposta?
Eliminanulla potrà impedirlo: il pensiero teorico è un prodotto storico che assume fome differenti in tempi diversi. la scienza del pensiero è perciò, come tutte le altre, una scienza storica, la scienza dello sviluppo storico umano. La teoria delle leggi del pensiero non è affatto una "verità eterna", fatta una volta per tutte, come il senso comune immagina quando si pronuncia la parola "logica".
ad ogni buon conto non temere per la tua sorte, ti riserveremo un trattamento speciale, fucilandoti senza prima farti passare per il gulag.
Allora mi preparo a scrivere e raccogliere poesie per i posteri.
Eliminanovello Mandel'stam..
RispondiEliminaverità eterne del pensiero a parte che ci sono ma non così tetragone come ci racconta una ontologia che sa tanto di dominio, bisognerà riprendere la critica radicale allo Stato che, a babbo morto, è stata via via espulsa nella socialdemocrazia e nello stalinismo, fino alla concezione che confonde socialismo con statalismo.da qui viene anche l'attuale impotenza delle classi dominate, oggi ceche ad loro percorso autonomo di liberazione
fai bene a citare il Club di Roma, la cui eredità è stata raccolta e riconosciuta dallo stesso Latouche.
da
la critica radicale allo Stato è questione verissima
EliminaIl problema vero è che facciamo troppi figli.
RispondiEliminama se sono proprio i " piu' poveri" a fare "troppi figli " sembrerebbe che il difetto stia nel manico ... della coppa di champagne :-).
Eviterei quindi di dare giudizi troppo tranchant , visto che e' anche accertato che tutto il " decrescismo" ha da sempre il sostegno (interessato ovviamente ) dei "piu' ricchi "..
cerca di cogliere l'ironia della frase
EliminaNon sono daccordo con la fiducia nella capacità della specie umana di risolvere i propri problemi.
RispondiEliminaNon è detto che si possa trovare sempre una soluzione tecnologica, sociale economica o politica alla sovrapopolazione e non è detto che possano farlo una organizzazione comunista dello stato.
Abbiamo molti esempi di società che sono arrivate ad estinguersi per non aver saputo trovare un equilibrio col proprio ambiente: Le civiltà maya e americane esaurivano la fertilità del suolo e la disponibilità di acqua, tutte le civilta europa india cina venivano spazzate da epidemie e carestie ricorrenti, nell'isola di pasqua avevano distrutto tutti gli alberi prima di accorgersi che non ve ne erano più.
Allo stesso modo ci avviamo inconsapevolmente alla catastrofe con la fiducia che il mondo potrà comunque sfamarci. Siamo al punto che basterebbe una qualunque causa esterna per mettere in crisi il sistema alimentare e provocare migrazioni di massa a cui non potremo rispondere che con misure drastiche. O saremo noi a dover emigrare o morire.